La cittadinanza “in fasce” è un’assurdità…

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La cittadinanza “in fasce” è un’assurdità…

La cittadinanza “in fasce” è un’assurdità…

23 Novembre 2011

Il tema della cittadinanza è tornato prepotentemente al centro dell’agenda politica. Un paio di anni fa era stato Gianfranco Fini ad individuare nella “cittadinanza breve” il Cavallo di Troia per smarcarsi da Silvio Berlusconi e per avviare le pratiche fondative del suo nuovo partito. Oggi è Giorgio Napolitano che, forte del battesimo del suo primo Governo del Presidente, si lancia con decisione sul tema è tuona:”è un’assurdità che bambini nati in Italia non possano diventare cittadini italiani”.

Al netto di ogni considerazione di natura tattico – politica (su cui torneremo) ciò che sorprende è la perentorietà del Presidente. Una perentorietà che è del tutto ingiustificata se proviamo ad analizzare pacatamente il problema della cittadinanza e delle c.d. seconde generazioni. In realtà, già oggi l’ordinamento vigente in materia di acquisto della cittadinanza prevede accanto allo jus sanguinis (è cittadino chi nasce da cittadino) uno spazio significativo per lo jus soli (può diventare cittadino, a seguito di concessione presidenziale, chi vi risiede legalmente per almeno 10 anni, e, sulla base di un processo amministrativo più rapido e non discrezionale, chi nato in Italia da genitori stranieri vi risieda fino al compimento del 18 anno).

Già oggi cioè i bambini che nascono in Italia ed in Italia trascorrono la propria infanzia e la propria adolescenza possono diventare italiani in modo assai semplificato. Naturalmente, l’attuale disciplina potrà pure essere bisognosa di qualche correzione che ne elimini alcune storture. Ad esempio è diffusa la voce di chi lamenta che i fiscali uffici delle prefetture respingano domande di cittadinanza avanzate da diciottenni nati in Italia ma che si sono allontanati dal nostro Paese per qualche mese semmai per andare nel Paese natio dei propri genitori. O di diciottenni che si dimenticano di avanzare domanda entro il termine di un anno e che quindi decadono da tale facoltà e devono avanzare la domanda (assai più lunga e faticosa) di concessione presidenziale della cittadinanza.

Non sappiamo quanto fondate e frequenti siano queste situazioni. Non avendo particolare fiducia nell’efficienza degli uffici dell’anagrafe nutriamo, ad esempio, qualche dubbio sul fatto che siano in grado di venire a conoscenza che un ragazzo nato in Italia da genitori stranieri con regolare permesso di soggiorno si è allontanato dal Paese per tre mesi. Ma tant’è se questi sono i problemi sarebbe sciocco chiudersi in una posizione pregiudizialmente ostile. Basterebbe ad esempio prevedere che per ottenere in modo semplificato la cittadinanza italiana al compimento della maggiore età il ragazzo debba dimostrare di avere frequentato in Italia l’intero ciclo scolastico dell’obbligo. O basterebbe differire un po’ il termine entro il quale si deve domandare la cittadinanza.

Ma si tratta evidentemente di dettagli. Il fatto è che nella proposta sulla cittadinanza breve si nascondo insidie assai pericolose. Un punto soprattutto va chiarito. La cittadinanza può essere chiesta e riconosciuta solo a soggetti maggiorenni. E ciò per due motivi. In primo luogo, perché la scelta se diventare cittadino di un Paese è scelta assai impegnativa perché coinvolge profili culturali e identitari profondi. E come scelta impegnativa non può che essere compita consapevolmente esclusivamente dal diretto interessato pienamente capace dal punti di vista giuridico. In secondo luogo, perché riconoscere la cittadinanza a soggetti minorenni (semmai dopo 5 anni dalla nascita in Italia) determinerebbe un uso del tutto improprio di tale possibilità. Riconosciuto cittadino italiano un ragazzino di 7 anni, ne deriverebbe, naturalmente, che i genitori del minore avrebbero diritto al permesso di soggiorno per potere curare il proprio figlio fino al compimento della maggiore età. E semmai avrebbero diritto al medesimo permesso per ricongiungimento ad un familiare, dopo il compimento della maggiore età. Riconoscere la cittadinanza anche a soggetti minorenni, renderebbe impossibile qualunque politica di gestione dei flussi migratori sia di tipo quantitativo (quella basata sui famigerati flussi) che di tipo qualitativo (quella basata sull’effettivo inserimento sociale e lavorativo dell’immigrato).

Né differire al compimento del18° anno la scelta se domandare o meno la cittadinanza determina alcuno svantaggio per il minore. A parte il diritto di elettorato, che non può in nessun caso essere esercitato dai minorenni, la condizione del ragazzo italiano e quella del ragazzo straniero legalmente residente in Italia è del tutto identica rispetto alla fruizione dei sevizi e delle prestazioni pubbliche.

Ed allora la domanda che sorge spontanea è perché un uomo saggio e prudente come Giorgio Napolitano ha deciso di lasciarsi andare ad un’esternazione così smisurata nei toni e approssimativa nei contenuti. L’impressione è che in realtà al nostro Presidente non importasse tanto il merito della questione quanto le ricadute politiche, proprio in una fase assai delicata quale quella che stiamo vivendo. Si è trattato soprattutto di un’occasione per complicare ulteriormente (come se ce ne fosse bisogno) i rapporti fra il PdL (che è comunque l’azionista di maggioranza del Governo Monti) e la Lega (che si è chiamata fuori). E si è trattato anche di un messaggio mandato dal Colle su quale sia l’effettivo assetto istituzionale dell’Italia in questo momento, su quale sia il baricentro politico e su quale sia la missione del nuovo Governo.

La cosa più triste è che, anche in questo caso, dei problemi degli immigrati e delle strategie per favorire una loro reale integrazione non pare importare molto a nessuno. La cittadinanza agli immigrati è solo una clava da usare per mettere in difficoltà una parte politica. Prendendo posizione in modo così netto, Napolitano corre il rischio di accentuare queste difficoltà su un fronte non strategico in questa fase di crisi economica- I partiti politici hanno già l’arduo compito di far comprendere e digerire agli italiani misure dolorore e spesso vessatorie. Tutto bisognerebbe fare meno che indebolirli e farli litigare.