La Colombia diventa modello di democrazia per il Sud America
24 Aprile 2010
Inserita in un contesto regionale caratterizzato da autoritarismi e regimi populisti, la Colombia ha saputo mantenere nel tempo il proprio status di “democrazia funzionante”. Come dimostrato dai risultati politici ottenuti dal presidente Uribe nei suoi otto anni di governo, la Colombia ha compiuto numerosi passi in avanti per il consolidamento della propria democrazia, riuscendo ad assestare duri colpi al terrorismo interno e migliorare i propri livelli di sviluppo economico e sociale, così come mantenendo una autonomia nelle proprie scelte di politica internazionale, non soggiogando all’antiamericanismo imperante in Sud America.
Un emblema di tale democraticità è stata la pronuncia della Corte Costituzionale colombiana del febbraio 2010, che ha dimostrato come l’ottima amministrazione statale di un Presidente non possa derogare o prevalere sui principi cardine della Carta Costituzionale. La vicenda prende avvio quando, giunto quasi al termine del suo secondo mandato, il presidente Álvaro Uribe aveva presentato richiesta per un referendum costituzionale, che gli avrebbe permesso la presentazione della propria candidatura per un terzo mandato. Dopo una lunga analisi, la Corte Costituzionale colombiana, nella figura del suo presidente Felipe González, ha dichiarato inammissibile il referendum, inapplicabile nella sua interezza, in quanto in “violazione sostanziale” della Costituzione. Il presidente Uribe e il suo entourage, nelle figure di Luis Guillermo Giraldo e del senatore Armando Benedetti, accogliendo la pronuncia della Corte, hanno sottolineato come la suprema priorità politica resta sempre la “Sicurezza Democratica”del Paese. La decisione della Corte Costituzionale colombiana ha demarcato pertanto il primato della democrazia nel Paese, salvaguardia della sicurezza e stabilità nazionale, che vedono nelle elezioni, nelle libertà fondamentali e nello stato di diritto i veri pilastri di legittimazione dell’operato governativo, soprattutto in tempi di particolare difficoltà, come quelli affrontati dall’amministrazione di Uribe.
Adam Isacson, analista del Center for International Policy di Washington, ha posto in risalto come una possibile rielezione a “tempo indeterminato” di Uribe avrebbe messo seriamente a rischio le garanzie costituzionali, come ampiamente dimostrato dalla prassi politica regionale latinoamericana. Infatti, analizzando la disciplina costituzionale dell’elezione della massima carica governativa nei paesi dello scacchiere latinoamericano, si nota una disomogeneità di fondo. Quattro paesi, quali Venezuela, Bolivia, Ecuador e Nicaragua, hanno riformato la propria costituzione per garantire il perdurare del dominio autoritario dei loro Governi. In Honduras, invece, il tentativo di riforma costituzionale del presidente Manuel Zelaya ha scatenato il golpe militare del 28 giugno 2009, descritto dalla Corte Suprema honduregna come “un atto in difesa della Costituzione”. Cile, Uruguay e Perù prevedono la possibilità di una rielezione, con alternanza di mandato, mentre Brasile e Argentina lasciano aperta la possibilità a mandati consecutivi, sebbene in entrambi i casi non a tempo indeterminato. Messico e Paraguay, invece, prescrivono la possibilità di un doppio mandato. La previsione di una rielezione senza limite di mandato è senza dubbio espressione di un’antidemocraticità latente, concretizzandosi nella maggior parte dei casi come una “previsione ad personam”, come nel caso del Venezuela, Bolivia, Ecuador e Nicaragua.
In una realtà come quella colombiana, in cui per decenni i gruppi terroristi hanno dominato grazie anche all’ausilio e beneplacito di alcune frange politiche, è facile la tentazione di cadere in regimi autoritari. Ed è proprio nel quadro della lotta al narcotraffico e al terrorismo che Uribe ha visto la chiave di volta per il rafforzamento democratico colombiano. Infatti, dopo l’elezione nel 2002 il Presidente Uribe ha dato avvio ad una strategia dal doppio binario: se da un lato, ha agito attraverso il raddoppiamento delle forze di polizia e militari colombiane da impiegare nella lotta contro le FARC e ELN, con un’azione a tappeto in tutto il Paese, dall’altro ha promosso l’adozione di nuovi strumenti legali a favore delle vittime del terrorismo e dei narcotrafficanti, per una loro tutela e reinserimento sociale. Una politica del pugno duro contro il terrorismo interno, quindi, sviluppatasi tra il potenziamento dell’azione operativa sul territorio e l’approvazione della c.d. Ley de Justicia y Paz del 2005. Con questo ottimo provvedimento è stato finalmente interrotta la triste prassi che vedeva le precedenti amministrazioni negoziare con i capi armati delle FARC e ELN, tra amnistie e indulti, modificando il loro status giuridico da “ribelli politici” a “fuorilegge e terroristi”. Inoltre, grazie alla Ley de Justicia y Paz, si è riconosciuta per la prima volta dignità giuridica alle vittime del terrorismo. I risultati di questa politica del doppio binario, tra braccio armato e legale, sono stati dal 2002 ad oggi la deposizione delle armi di circa 21.000 combattenti, il risarcimento economico per 30.000 vittime della violenza, un dimezzamento del tasso di omicidi e una riduzione del 90% dei rapimenti.
Inoltre, mantenendo fede agli impegni internazionali assunti nei maggiori fora globali di cui il paese è membro, la Colombia ha conservato una sostanziale autonomia decisionale nelle proprie relazioni esterne, senza farsi condizionare o intimidire dal fronte neobolivarista. Grazie ai fiorenti scambi commerciali verso il mercato statunitense che riceve il 38% delle esportazioni colombiane, Washington occupa il primo posto come partner commerciale e politico di Bogotà. Gli ingenti investimenti statunitensi hanno permesso negli ultimi otto anni di portare avanti una politica di liberalizzazione del mercato colombiano, che ha portato il PIL a circa $ 401 miliardi, il 29° posto nella classifica mondiale. Un’alleanza che si spinge sino al campo strategico-militare, suggellata il 30 ottobre 2009 dalla sigla degli accordi per la realizzazioni di operazioni e attività sul territorio colombiano nel quadro della lotta al narcotraffico e terrorismo interno. Un autentico sposalizio, quello tra Bogotà e Washington, che nella lotta al terrorismo ha il suo principale obiettivo di politica internazionale.