“La Convenzione vada al Centrodestra”

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“La Convenzione vada al Centrodestra”

“La Convenzione vada al Centrodestra”

01 Maggio 2013

Gaetano Quagliariello, fino a ieri solo "saggio" e adesso anche ministro (per le Riforme), fissa i suoi paletti: «La Costituzione – spiega – è frutto di un altissimo compromesso ma è anche rappresentativa della prima ondata di democratizzazione del dopoguerra. Dunque è valida ma vecchia. Oggi, nell’attuale fase di emergenza finanziaria mondiale e per affrontare la geopolitica del Terzo millennio, siamo tutti consapevoli che il mancato rinnovamento delle istituzioni comporta un insopportabile prezzo economico. L’ho detto come una battuta ma non lo è: non possiamo più immaginare che al tempo di twitter servano sette passaggi parlamentari per approvare una legge».

Dunque il suo e quello della costituenda Convenzione per le riforme sarà solo un lavoro di revisione, ripulendo qua e là la Carta dalle incrostazioni e dalla patina di polvere del tempo?

«Tutt’altro. Se l’attuale governo Letta – prodotto da uno sforzo di realismo anche di tipo machiavellico, dunque assai nobile – ha un senso, esso risiede nella necessità di pacificazione. E questa pacificazione si realizza davvero se insieme si fanno le regole, se insieme si modificano le istituzioni. Solo così si diventa non più nemici bensì avversari: proprio perché si ha qualcosa in comune».

Ministro, parliamoci chiaro. Garanzia di una reale volontà di pacificazione è dare la presenza della Convenzione a Silvio Berlusconi?

«Se al vertice delle istituzioni, nelle loro varie articolazioni, ci sono rappresentanti di un solo schieramento, allora significa che la pacificazione è di tipo cartaginese. Il processo di pacificazione è lungo e si nutre di tanti passaggi. Il più importante di questi è la fine della conventio ad excludendum nei riguardi del centrodestra. Poi tocca alla politica trovare le soluzioni».

Sulle riforme sono stati scritti tomi. E ogni volta è stato un lavoro inutile. Quale deve essere il vostro principio guida? E’ il semipresidenzialismo francese con il doppio turno l’obiettivo finale?

«I modelli cui ispirarsi, come abbiamo scritto nelle conclusioni della Commissione di "facilitatori" voluta da Napolitano, sono due: premierato forte e semipresidenzialismo. Se ben costruiti, incarnano entrambi il meccanismo democratico. Il problema, appunto, è che devono essere ben costruiti, ognuno con adeguati contrappesi. Bisogna procedere senza sbocchi predefiniti, altrimenti la Convenzione non avrebbe senso. Anche con maggioranze trasversali. Nessuno può dire di avere in tasca la verità».

Capisco che c’è un divenire, ma c’è anche la necessità di arrivare ad una conclusione. E allora?

«Io vorrei arrivare a definire uno scadenzario, in modo che i cittadini possano controllare passo dopo passo quel che si fa».

Concretamente che significa: entro quella data si deve aver fatto quella riforma, entro quell’altra la seconda eccetera?

«Esattamente. Tenendo conto che una legge ordinaria ha dei tempi, una legge costituzionale altri più lunghi».

Ma quando lei parla di maggioranze trasversali, cosa intende? Un appello ai 5Stelle sulla scia di quel "scongelatevi!" detto in aula dal premier?

«Voglio essere chiaro. Uno dei compiti di questo governo è, sulla base di identità di schieramento che si sono sedimentate, rafforzare il bipolarismo, ristrutturandolo. In un sistema bipolare maturo le parti centrali dei due schieramenti hanno una egemonia. Il sistema va in cortocircuito quando la parte estrema de due schieramenti prende il sopravvento. Noi dobbiamo ristrutturare i due schieramenti; non modificarli. Soprattutto non li dobbiamo far diventare una poltiglia centrista. Detto questo, sulla dicotomia presidenzialismo-premierato, un confronto trasversale è doveroso».

Qual è l’errore da evitare per non fare la fine della Bicamerale di D’Alema?

«Rispetto a quella volta, adesso c’è un antidoto storico. Allora del fallimento poteva avvantaggiarsi questa o quella parte politica. Stavolta, come ha detto il premier Letta, se falliamo, veniamo coinvolti tutti. Poi c’è un errore di fondo da evitare, che non è stato solo della Bicamerale. Pensare, cioè, che basta cambiare la legge elettorale per aver risolto il problema del buon funzionamento del sistema politico. Le leggi elettorali seguono l’architettura istituzionale, non la precedono».

Scusi, ma così come fanno i cittadini ad essere sicuri che non si tratta dell’ennesima volontà dilatoria?

«Come ha fatto il premier Letta che ha preso un impegno specifico: che la prossima volta non si andrà più a votare con l’attuale sistema elettorale».

Letta ha fornito una data: 18 mesi per completare le riforme. Sono troppi, o troppo pochi?

«Lo scadenziario che ho in mente serve proprio per capire come vanno le cose. Diciotto mesi è il lasso di tempo di lavoro della Costituente. Inoltre è il tempo per approvare leggi costituzionali. E’ chiaro che se dopo 18 mesi non sei neanche è partito, il fallimento è lì. Se invece seguendo lo scadenziario verifichiamo con esattezza cosa abbiamo fatto e cosa resta, vediamo per così dire il traguardo avvicinarsi, allora le cose cambiano».

Ma in definitiva la Convenzione che poteri deve avere? Scriverà le riforme o sarà solo un bis dei facilitatori?

«Un organismo del genere deve avere natura proporzionale. Dunque i componenti saranno indicati sulla base dei consensi, non dei seggi, ottenuti da ciascuna forza politica alla Camera. Lo scettro dei poteri deve stare nelle mani del Parlamento. Che può chiedere una modifica ma non emendare il testo. In ogni caso ci dovrà essere un referendum confermativo».

(Tratto da Il Messaggero)