La cordata degli immobiliaristi non paga. Roma ne è l’esempio
20 Maggio 2008
In questi ultimi dieci anni Roma è stata il luogo dell’armonia tra costruttori-immobiliaristi (che spesso sono anche editori di importanti quotidiani) mentre Milano ha assistito a più di uno scontro (con contorno anche di interventi giornalistici). Mentre nella Capitale Rutelli 1 e 2, e poi Veltroni 1 e 2 avevano potuto contare su un coro a sostegno largamente unitario, sotto la Madonnina uno dei grandi protagonisti della scena immobiliare, Salvatore Ligresti, aveva sia pure con molta cautela non mancato di dare un appoggio al candidato della sinistra a sindaco, Bruno Ferrante, peraltro suo vecchio amico.
Lo scenario sta rapidamente cambiando. A Roma le ultime elezioni hanno visto un durissimo Francesco Caltagirone dare l’ultima pugnalata al circolo di potere veltronian-rutelliano e così prepararsi (aiutandola) alla vittoria di Gianni Alemanno. Mentre a Milano sembra proprio che gli ultimi fuochi di guerra siano stati quelli visti durante la fase della campagna elettorale: Silvio Berlusconi che attaccava i grattacieli della vecchia Fiera, investimento fondamentale per Ligresti, Luigi Zunino che contro le aree ligrestiane faceva intervenire Renzo Piano e altre simili schermaglie come quelle ispirate dal Corriere della sera che usava Celentano per farsi spazio. Qualche giorno e tutto pare essersi tranquilizzato: Mediobanca ha dato una mano a Intesa per sistemare Zunino, Pirelli RE si prepara a nuove iniziative, la Giunta di Milano dà il via libera ai grattacieli contestati da Berlusconi (peraltro dopo che Ligresti ha espresso l’intenzione di dare il suo contributo alla cordata italiana per Alitalia). L’unico che non capisce il clima nuovo è Vittorio Sgarbi che prosegue la sua guerra contro i “grattacieli storti” fuori tempo massimo e viene licenziato.
Il tramonto della pax romana è segnato dall’uscita di scena dell’ombrello protettivo Banca di Roma-Capitalia (oggi sub Alessandro Profumo) per il mondo immobiliaristico della Capitale che rende più aspri gli scontri su iniziative come il piano regolatore e come quelle per la Fiera, nelle quali peraltro Walter Veltroni aveva esagerato nell’appoggio al gruppo Toti. La nuova armonia ambrosiana che si sta delineando è invece propiziata dal prossimo arrivo dell’Expo 2015.
Al primo giro c’è stato già un vincitore il gruppo Cabassi che ha visto valorizzare improvvisamente le sue aree sulle quali si terrà la manifestazione. Ligresti, che ha investito in abbinata a una Fiera milanese che sarà protoganista dell’evento del 2015, sarà sicuramente un altro vincente. Ma ormai l’atmosfera è diventata rosea per tutti i grandi gruppi: se non vi saranno interventi diretti su aree di proprietà di questo o di quell’immobiliarista, vi sarà comunque qualche scelta di infrastrutturazione (due nuove linee metropolitane, strade sotterranee, ferrovie, svincoli e autostrade) che arricchiranno questo e quel terreno. L’Assimpredil, associazione dei costruttori, ha già chiesto una metodologia particolarmente trasparente nelle scelte per evitare che i più forti condizionino tutto. C’è in una Milano ferita dalla brutalità di Mani pulite anche il rischio contrario: che si inneschino logiche paralizzanti particolarmente deleterie per un evento che ha tempi tutto sommato stretti per la sua preparazione. Come rimediare? Accompagnare a organismi tecnici molto operativi, un sicuro pluralismo nella programmazione e un dibattito politico-culturale molto aperto. L’idea di costruire blocchi urbani troppo potenti che tengano sotto controllo qualsiasi dialettica come è avvenuto a Roma, alla fine si rivela perdente. Se non lo si capisce da soli, ce lo si faccia spiegare da Francesco Rutelli.