La Corea del Nord fa paura a tutti ma Pechino prende tempo
29 Novembre 2010
L’ultimo sviluppo dell’ennesima crisi tra le due Coree viene dalla Cina e dal suo inviato Wu Dawei, vice-ministro degli esteri e coordinatore dei colloqui a sei. Ma non l’attesa condanna dell’attacco nordcoreano all’isola di Yeongpyeong dello scorso 23 novembre. E’ invece la proposta di convocare per dicembre un incontro d’emergenza a Pechino tra le due Coree, la Cina, gli Usa, la Russia e il Giappone. E’ la risposta diplomatica allo spiegamento di forze che domenica ha visto le manovre congiunte nel Mar Giallo tra la portaerei americana George Washington, la sua flottiglia e una squadra navale sudcoreana.
Le manovre erano già previste prima dell’incidente all’isola di Yeongpyeong. Ma la partecipazione della portaerei costituisce una significativa novità. Il suo arrivo è stato “benedetto” direttamente da molti e influenti senatori americani, tra cui John McCain, Lindsay Graham e Claire McCaskill. La presenza della George Washington si fa sentire anche sul bilanciere delle forze in campo – la potenza di fuoco della sola portaerei può neutralizzare il nocciolo duro degli arsenali nordcoreani.
Sarebbe questo un esempio della vendetta moltiplicata “per mille volte” così come promesso dall’Ammiraglio Yoo Nak Yoon per l’attacco a Yeongpyeong, che è costato la morte a due soldati sudcoreani? Ma prima di farlo, Pyongyang sarebbe comunque in grado, con la superiorità numerica dei suoi missili al confine con il Sud, sferrare durissimi colpi a Seoul, dove vive oltre il 60% dell’intera popolazione sudcoreana.
E’ sempre la solita scena: una crisi militare scatena un’escalation da cui potrebbe, da un momento all’altro, divampare qualcosa come la terza guerra mondiale – salvo poi vedere la crisi rientrare tanto velocemente quanto si era aperta. Questo copione ha trasformato la Corea del Nord in un fenomeno mediatico.
Per quanto remota e inavvicinabile sia questa fortezza della follia ideologica, ad ogni suo minimo scossone militare l’opinione pubblica internazionale trattiene il respiro per paura di una guerra mondiale. Infatti la minuscola penisola coreana è legata a doppio filo sia alla Cina che agli Usa. Uno scontro militare tra le due Coree scatenerebbe un terribile effetto domino destinato a travolgere Pechino e Washington, coinvolgendo anche potenze regionali come il Giappone e l’Australia. Ma non c’è solo la geopolitica ad alimentare questo mito mediatico della Corea, soprattutto quella del Nord. Per i filosofi della politica la “Juche”, l’ideologia ufficiale della Corea del Nord, è un inestricabile incrocio tra marxismo, stalinismo e maoismo, con forti elementi teologici.
Anche la sua dinastia, da Kim Il-sung a Kim Jong-il, ha sempre attirato curiosità per le sue stravaganti manie da vera e propria stirpe imperiale. Circolano aneddoti famosi su Kim Jong-il, come la storia per cui il “presidente eterno” della Repubblica Popolare Democratica Coreana non defeca né urina. Gira voce che Kim Jong-il faccia ispezionare ogni chicco di riso prima di mangiarlo, si sottoponga a trasfusioni di sangue di ragazze vergini allo scopo di conservarsi giovane – senza dimenticare che né lui né il padre, Kim Il-sung, crearono il mondo e detengono il controllo del clima.
Favole, leggende, maldicenze, comunque con un fondo di verità nella megalomania di questi personaggi. Ma è la stessa Corea del Nord ad alimentare sogni e fantasie. Dato che è praticamente impossibile entrarvi, anche qui si diffondono racconti tra il surreale e l’inconcepibile. Diversi anni fa, quando l’Europa valutava l’ipotesi di una dieta vegetariana in seguito allo scandalo del morbo di Creutzfeldt-Jacok (la “mucca pazza”), la Corea del Nord si era offerta per ricevere i capi di bestiame malati. Preferivano morire fra vent’anni che morire di fame oggi.
Eppure la Corea del Nord dispone di cinquemila tonnellate di armi biologiche e chimiche, mentre continua a sviluppare il suo programma di arricchimento dell’uranio. Per non parlare dei tre milioni e mezzo circa di vittime politiche, condannata a mortali lavori forzati nei campi rieducativi. Basta anche una telefonata all’estero per rischiare la pena capitale. Ecco, il “fascino” della Corea del Nord è scoprire come nel 2010 possa ancora esiste non tanto uno stato “canaglia”, come l’aveva appellato George W. Bush, quanto uno stato “galera” – un minuscolo e montagnoso stato che fa morire di fame i suoi abitanti ma è sempre capace di scatenare una guerra mondiale.