La crisi influirà sui fondi pensione ma farsi prendere dal panico non serve
28 Ottobre 2008
Giunti ormai allo spirare del mese di ottobre e visto l’andamento dei mercati finanziari, non occorre certo essere Nostradamus per prevedere che gli esiti reddituali dell’anno 2008 per i fondi di previdenza complementare saranno tutt’altro che positivi. E’ anzi probabile che il 2008 si connoterà per risultare la peggior annata della pur breve storia dei piani pensionistici privati a contribuzione definita nel nostro Paese.
E’ profezia ancor più facile il vaticinare che tra fine anno e i primi mesi del 2009 contro la previdenza complementare si scatenerà il furore ideologico di chi reputa che lo sviluppo della pensione privata a capitalizzazione sia un attentato alla pensione pubblica di primo pilastro e non già l’unica strada ragionevole per assicurare la sostenibilità sociale di quest’ultima (con assegni di livello più contenuto), senza compromettere esizialmente il livello reddituale complessivo degli anziani di domani. Le confuse vicende che hanno coinvolto i fondi pensione argentini saranno certo utilizzate come ulteriore carburante per attizzare le polemiche e l’irrazionale astio che monta verso il mercato, anche in ambienti sinora insospettabili, non contribuirà certamente a rasserenare l’ecologia del comparto.
Se contro i furori (e gli apriorismi) ideologici c’è assai poco da fare, è invece doveroso aprire un dialogo e confrontarsi con quanti hanno investito porzioni del proprio risparmio (e, dallo scorso anno , le annualità di TFR in maturazione) nella previdenza complementare – magari in linee di gestione a maggior contenuto di rischio – ed ora manifestano sensate preoccupazioni circa gli esiti della scelta compiuta . Per questi lettori, correttamente consapevoli delle proprie prospettive ed esigenze pensionistiche future, ma oggi comprensibilmente timorosi e dubbiosi, la parola d’ordine non può che essere: stare calmi e valutare lucidamente la situazione. L’irrazionalità è nemica di qualsiasi forma di risparmio: in quello previdenziale può veramente divenire causa di rovina irreparabile.
Occorre in primo luogo considerare come, per definizione, gli accantonamenti di risorse finanziarie con finalità previdenziali si configurano quale risparmio di lungo o di lunghissimo periodo. In un arco temporale siffatto (un piano pensionistico ha una durata fisiologica di trenta – quarant’ anni ) solamente un impiego con una ragionevole componente di rischio, in titoli del comparto azionario (globale) , è suscettibile di consentire un accumulo finale di risorse idoneo alla costituzione di una rendita pensionistica quantitativamente valida, da giustapporre all’assegno di primo pilastro. Il grafico allegato, in tema di evoluzione storica dell’indice azionario, va compulsato con attenzione. Esso risulta così eloquente, da non dover essere commentato. E’ ovvio che l’impiego dello strumento azionario va approcciato con l’oculatezza tecnica e la prudenza sistematica dispiegate da una struttura dedicata, qual è un fondo pensioni, o da un operatore specializzato, promotore di piani previdenziali.
In quest’ ottica i periodi di crisi del mercato borsistico (anche di crisi nera) non debbono spaventare: i piani pensionistici procedono un passo dopo l’altro e, quindi, in primo luogo, attenuano fortemente il rischio del timing di ingresso, tipico di qualsiasi investimento compiuto in un’unica soluzione. Piuttosto,in momenti di collasso dei mercati, soprattutto di arretramenti importanti e, probabilmente, di qualche durata, il partecipante al piano pensionistico dovrebbe cercare di contingentemente aumentare le risorse destinate al piano stesso. Questo, per poter incrementare le porzioni della propria posizione individuale acquistate a prezzi di saldo. Le vicende dei mercati di questi giorni, in effetti, hanno offerto e, probabilmente, ancora offrono e offriranno per un certo periodo vere e proprie “occasioni” da cogliere.
Quanto da ultimo sottolineato, mi rendo conto, rischia di attirare su chi scrive l’accusa d’essere una sorta di Don Ferrante redivivo. A dispetto delle facili ironie, sono le serie storiche dei mercati nel lungo periodo che veramente impongono fiducia. E’ proprio la sfiducia irrazionale la vera peste da cui guardarsi.
La tranquillità basata sulla razionalità, impone, tuttavia, ad ogni partecipante a un piano previdenziale la massima vigilanza e l’esercizio di senso critico.
Se, infatti, sarebbe folle fuggire oggi da un piano di previdenza complementare a forte contenuto azionario, a suo tempo scelto dopo aver valutato la propria propensione al rischio (in primo luogo considerando l’anagrafe e i lustri che separano dal traguardo pensionistico), non è affatto detto che il gestore utilizzato si sia dimostrato tecnicamente abile a reggere la bufera.
Anche in campo previdenziale vale il principio secondo cui è quando il gioco diventa aspro che il giocatore veramente dotato sa esprimere al meglio la propria valentia. Fuori di metafora , sono questi i momenti in cui il partecipante ad un piano pensionistico complementare ha modo di soppesare la professionalità di gestione finanziaria espressa dal “veicolo” previdenziale da lui scelto. Se, compiuti gli opportuni approfondimenti e confronti, in chiave del tutto razionale, il partecipante giunge ad un giudizio negativo circa il gestore utilizzato, egli “deve” esercitare il diritto di portabilità della propria posizione individuale. La posizione va trasferita presso un altro “veicolo” offerto dal settore, nell’ambito però di un comparto che presenti le medesime caratteristiche di quello di provenienza, così da poter beneficiare della futura ripresa dei mercati.
In sintesi: il partecipante accorto (ma è intrinseco alla previdenza privata a capitalizzazione l’esercizio di una costante vigilanza critica circa le scelte compiute e la loro realizzazione) deve continuare a coltivare il piano a base azionaria a suo tempo individuato come idoneo, in ragione delle proprie caratteristiche soggettive e, in particolare, della connessa propensione al rischio. Se sussistono le condizioni, sarebbe saggio alimentare il piano stesso con maggiori risorse economiche. Tuttavia, se constata la debolezza tecnica della gestione a cui sono affidati i suoi risparmi previdenziali, deve cambiarla senza indugio. Occorre, però, la massima cura nel trasferire la posizione individuale presso un diverso gestore, perché bisogna assolutamente collocarla nell’ambito di un comparto il più possibile morfologicamente analogo al precedente. Si può, anzi, si deve, sostituire il pilota che si sia dimostrato poco abile, ma guai a cambiare il tipo di autovettura. E’ scegliendo una vettura di tipo completamente diverso che si rischia davvero di farsi del male.