La crisi non ci contagerebbe se Monti rispettasse gli obblighi di Ue e Bce
19 Giugno 2012
Mario Monti dice che la sua politica economica e fiscale ha ritratto l’Italia dal burrone e ha fatto diminuire lo spread sotto quota 400 ed aggiunge che il suo aumento oltre quota 450, verso quota 500, che si registra anche ora, dopo le elezioni in Grecia, dipende dal fatto che il baratro non era un normale precipizio di montagna, ma era un cratere, che ora si è allargato. Sicché l’arretramento effettuato da Monti rispetto alla linea del baratro, ora è stato smangiato dall’ampliamento del cratere. La spiegazione geografica non mi convince. Mi sembra simile, in senso inverso, alla famosa vicenda di Maometto che non essendo in grado di spostare la montagna, ci si avvicinò. Poiché la montagna non va da Maometto, è Maometto che va dalla montagna.
Invertendo, poiché non è Monti che sposta l’Italia all’indietro dal precipizio, è il precipizio, trasformato in cratere, che si sposta in avanti verso Monti. In sostanza sarebbero vicende internazionali esogene, su cui il governo può far poco, che generano le difficoltà attuali. Se questa tesi è vera, lo era anche quando lo spread si ampliò, sotto il governo Berlusconi. Ma non bisogna dimenticare che se è vero che lo spread, nel 2011, si ampliò, per fattori esogeni, la crisi greca e problemi della Spagna, che indussero la BCE a intervenire sul mercato finanziario per sostenere i titoli pubblici greci, spagnoli e italiani, è anche vero che la BCE e Commissione europea indirizzarono all’Italia una lettera raccomandandole manovre di bilancio aggiuntive, strutturali (riforma delle pensioni), di breve termine (manovre aggiuntive sul deficit) la liberalizzazione del mercato del lavoro e altre liberalizzazioni per rilanciare la produttività, politiche pro crescita. Il governo Berlusconi varò le misure sul deficit e ne stava varando altre, varò una riforma del mercato del lavoro basata sui contratti aziendali (articolo 8 del ministro Sacconi nel decreto estivo del 2011), non riuscì a varare la riforma pensionistica per il veto della lega e si impantanò sul decreto pro crescita, perché il ministro dell’Economia non metteva a disposizione i 7 miliardi necessari, che la commissione Finanza e Tesoro del senato per altro era in grado di reperire con una sanatoria per lo smaltimento del contenzioso tributario e mediante l’eliminazione delle partite IVA dormienti (8 milioni).
Il governo Monti ha fatto la riforma delle pensioni (impantanandosi ora nella questione degli “esodati”), ha attuato la riduzione del deficit, per altro con misure tributarie che hanno aggravato la recessione per metà del loro importo, ha varato liberalizzazioni con limitati effetti di medio termine nel settore dei servizi al consumatore, ma non nelle reti (tale non è il passaggio di Snam rete gas alla cassa Depositi e Prestiti ) ha bloccato la riforma del mercato del lavoro del Ministro Sacconi e ha varato una diversa riforma, di limitato effetto, sull’articolo 18 dello statuto dei laboratori, che non serve per gli scopi del rilancio della produttività e sta varando un decreto pro crescita deludente. Lo spread sui nostri titoli è disceso per effetto delle misure iniziali di Monti e poi per effetto della politica della BCE, che ha iniettato mille miliardi di euro nel sistema bancario, al tasso dello 1 per cento con prestiti triennali. Ma poi lo spread è risalito perché l’Italia è entrata in recessione e l’azione del governo Monti si è impantanata. I fattori esogeni consistenti nella crisi della Spagna e nelle sofferenze della Grecia ci toccherebbero molto meno, se il governo Monti adempisse ai punti mancanti delle due lettere della BCE e della Commissione europea della scorsa estate.
Non si dimentichi che Silvio Berlusconi si è dimesso volontariamente ed ha deciso, come leader del PDL, di appoggiare il governo tecnico, di coalizione, per dargli quella forza politica per la realizzazione del programma chiestoci dall’Europa, che la sua compagine di governo non riusciva ad attuare. La cattiva recezione da parte dei mercati finanziari dei risultati delle elezioni in Grecia, che ha fatto registrare la caduta della borsa e il ritorno dello spread sopra 360 punti, mentre vola lo spread della Spagna non è un fattore esogeno inatteso, ma un fattore esogeno che era non avrebbe inciso su di noi o non così tanto, se Monti avesse adempiuto al suo programma. Queste elezioni greche testimoniano la volontà della maggioranza politica emersa dalle urne, di restare nell’euro. Ma i mercati, con la loro reazione, ci dicono che c’è una sola via di uscita dall’avvitamento in cui si trovano gli stati dell’eurozona che stanno adottando politiche di rigore di bilancio: la politica di crescita a livello nazionale ed europeo accompagnata dall’abbattimento dei costi del lavoro per unità di prodotto, per accrescere la competitività, come alternativa alla svalutazione della moneta che si avrebbe solo con la fuoriuscita dall’euro. Lo dice, oltre ai mercati, anche il Fondo Monetario Internazionale, con un messaggio urgente e allarmato, rivolto all’Unione europea e ai suoi stati membri.
Urge, dunque, in Italia, liberalizzazione dei salari, mediante contratti di lavoro nazionali flessibili, compresi quelli deprecati delle partite IVA, in deroga ai contratti nazionali rigidi e contratti aziendali di produttività, in cui si baratta il minor salario orario con un orario più lungo o/e più scomodo. Questo compito compete ai governi nazionali alle organizzazioni degli imprenditori e dei datori di lavoro. La politica della crescita invece compete al governo europeo e ai governi nazionali. Da entrambi questi punti di vista, dei salari orientati alla produttività e della politica della crescita, la linea del governo Monti è sbagliata. Infatti, per quanto riguarda i costi del lavoro, esso sta varando un provvedimento sul lavoro a firma del ministro Fornero che nulla concede alla contrattazione aziendale flessibile, in deroga ai contratti collettivi di lavoro nazionali ed arretrata per i contratti nazionali flessibili, in particolare quelli delle partite IVA.
La Confindustria esprime un giustificato malessere per i passi indietro che questa legge effettua, con riguardo ai contratti di lavoro flessibili, ma non osa pronunciarsi per i contratti aziendali, che sono il solo modo per ridurre i salari reali orari, in alternativa alla svalutazione della moneta, che si attuava in passato, quando invece dell’euro c’era la lira. I sindacati hanno accettato l’ipocrisia delle svalutazioni della moneta per la riduzione dei salari reali, in cambio del mantenimento del loro monopolio sul mercato del lavoro, ingessando la produttività. Ora l’ipocrisia della svalutazione della moneta non è più possibile. Urge una svolta, nei contratti di lavoro, per ritrovare la competitività e una forza autonoma di crescita, in regime di cambio fisso. Ma il governo Monti ha ancora, come suo interlocutore privilegiato, i DS e non si vede nei DS alcun segno di sganciamento dalla linea dei contratti di lavoro nazionali e da quella di ostilità ai contratti nazionali flessibili, in particolare le partite IVA, che hanno la grave colpa di trasformare i lavoratori dipendenti in autonomi, che non hanno bisogno di tessere sindacali.
Ma vengo, adesso, alla questione della crescita, su cui il Ministro Passera ha appena varato un decreto legge che, nella sua retorica, è una scatola vuota e un provvedimento ministeriale sulle privatizzazioni, che spreca dieci miliardi che la Cassa Depositi e Prestiti potrebbe dedicare al credito agevolato per costituire una nuova IRI, mediante il conferimento ad essa di tre società pubbliche, dopo che essa ne ha impegnati altri 20 in Snam Rete Gas. Il decreto legge è molto lungo, ma l’unica cosa concreta che contiene è l’aumento al 50% del credito di imposta per la ristrutturazioni edilizie, per altro limitato a un solo anno. Per il resto esso contiene misure di efficacia ipotetica o irrilevanti e a norme che non hanno niente a che fare con la crescita. Fra le misure di efficacia ipotetica vi è la adozione della cedolare secca del 12,5% per i project bond, ossia per le obbligazioni emesse per finanziare progetti di investimento di iniziativa privata nell’ambito pubblico. Fra le misure irrilevanti, il bonus per l’importo di 50 milioni per un biennio per la assunzione di personale molto qualificato per le imprese ad alto contenuto tecnologico, che invece si attendevano il credito di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo, con una dotazione di 500 milioni annui. Che l’attuale governo non ha saputo trovare, per lo sviluppo della nostra alta tecnologia!