La crisi potrebbe farci scoprire che il Natale è la grande “trasformazione”

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La crisi potrebbe farci scoprire che il Natale è la grande “trasformazione”

29 Dicembre 2011

Una volta i tempi della città erano scanditi dai tempi liturgici. Erano i tempi della chiesa, il tempo ordinario e i cosiddetti tempi “forti”, che segnavano i tempi della vita civile, i giorni feriali e quelli di festa. Ma oggi non è più così. Le feste religiose vengono festeggiate ormai come se la religione non esistesse. Nessuna sorpresa, quindi, se, un po’ dappertutto, abbiamo visto accendersi le luminarie natalizie ben prima dell’inizio dell’Avvento. Erano appena passati i morti e già si incominciavano a vedere le prime bancarelle con i pupi, i presepi, le palle colorate e quel pizzico di euforia che l’Avvento e il Natale portano sempre con sé. Eppure in questo anticipo delle feste c’è qualcosa che non va. 

Come canta Lucio Dalla, c’è forse il desiderio che sia “tre volte Natale e festa tutto il giorno”; ma non c’è più lo spirito che conferiva all’Avvento e al Natale vita e magia. Manca soprattutto la materia prima per poter veramente festeggiare e comprendere il Natale, e cioè i bambini. Sono loro la “lieta novella” nella quale si radica la fiducia nel futuro di una comunità. Ma di bambini in Italia ne nascono sempre meno. Di conseguenza vediamo tante luci, dietro le quali, però, non c’è più alcuna luce. Un’atmosfera che fa sentire, non la trepidazione di chi non vede l’ora di arrivare a una festa, ma la malinconia di chi arriva quando la festa è già finita e da consumare non gli restano che gli avanzi.

Qualcuno dirà che è semplicemente la secolarizzazione e che è inutile perdersi dietro a stucchevoli nostalgie per un passato che non tornerà più e che forse era meno bello di quanto si vorrebbe far credere. Il mondo ha preso la piega che conosciamo e gli affari sono affari. Punto. Oltretutto, in Italia e in Europa, viviamo tempi di vacche molto magre. Persino la politica ha deciso di autosospendersi, in attesa di tempi migliori. Ben venga dunque questo anticipo natalizio, se può servire a tirarci un po’ su il morale e a farci spendere qualche soldo in più. A proposito: specialmente chi può farlo, lo faccia; spenda senza ritegno, magari senza darlo a vedere, poiché in tempi di recessione è il modo migliore per servire senza retorica il bene comune. E chissà che, pur lasciando inalterata una certa tristezza, non sia proprio la crisi a farci guardare più a fondo la realtà.

Si potrebbe scoprire allora che, ben al di là delle nostre luminarie e dei nostri mercatini, il tempo d’Avvento e di Natale è un’altra cosa; è un tempo che può arrivare in ogni momento; è la grande “trasformazione” (già che ci siamo, continuiamo con Lucio Dalla), grazie alla quale il mondo può essere guardato con altri occhi, con speranza, con fiducia, verrebbe quasi da dire, con benevolenza. Anche e soprattutto quel mondo che, vecchio e spaesato, accende le luci natalizie e accatasta i pupetti del presepio sulle bancarelle molto prima del tempo.