La crisi tra le Coree è anche un segno della debolezza di Pechino

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La crisi tra le Coree è anche un segno della debolezza di Pechino

26 Maggio 2010

Nella penisola coreana è in atto una pericolosa escalation tra Seoul e Pyongyang. Dopo che una commissione internazionale d’inchiesta ha certificato che l’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan avvenuto il marzo scorso è opera del regime di Pyongyang, la Corea del Sud ha annunciato un blocco commerciale ed il taglio degli aiuti. Kim Jong-il ha risposto con la rottura totale dei rapporti bilaterali ed impartendo l’ordine di massima allerta. Mentre la Casa Bianca condanna la Corea del Nord e rafforza la cooperazione militare con Seoul, la Cina si mostra tuttora indecisa.

Fonti governative sudcoreane citate dall’agenzia Yonhap affermano che il Governo di Seoul avrebbe deciso di definire nuovamente la Corea del Nord il suo “nemico principale”, terminologia accantonata nel 2004. Questa misura spiega in maniera limpida il cambio di rotta aggressivo adottato da Seoul nella sua politica con il Nord dopo aver ricevuto conferma che dietro l’affondamento della Cheonan, dove persero la vita 46 marinai, vi è l’impronta del regime del “caro leader”.

Lunedì scorso il Presidente sudcoreano Lee Myung-bak ha indirizzato un discorso alla nazione molto chiaro e deciso sulla postura che il suo Paese terrà d’ora in avanti: “L’affondamento della Cheonan costituisce una provocazione militare perpetrata dalla Corea del Nord nei confronti della Repubblica di Corea […] Da questo momento in avanti, nessuna nave nordcoreana potrà passare attraverso le rotte di navigazione in acque sotto il nostro controllo […]  Gli scambi commerciali tra la Repubblica di Corea e la Corea del Nord verranno sospesi […] D’ora in poi, la Repubblica di Corea non tollererà più nessuna azione provocatoria da parte della Corea del Nord e applicherà il principio della deterrenza proattiva. Se le nostre acque territoriali, il nostro spazio aereo o territorio saranno violati, eserciteremo immediatamente il nostro diritto all’autodifesa”. Il Presidente Lee ha inoltre annunciato che chiederà formalmente all’Organizzazione delle Nazioni Unite una misura di condanna sull’azione intrapresa Pyongyang.

Le parole del Presidente Lee sono di inequivocabile durezza ma appaiono in linea con la strategia meno accomodante adoperata nei confronti di Pyongyang da quando ha assunto la guida del Paese nel febbraio del 2008: vincolare gli aiuti concessi al regime di Kim Jong-il ad un engagement fattivo e non di facciata, oltre a consolidare l’alleanza con gli Stati Uniti. Si tratta della cosiddetta “dottrina MB”. Seoul lascia aperta la finestra della collaborazione nel complesso industriale Kaesong (sviluppato da Hyundai in territorio nordcoreano di confine) e degli aiuti destinati all’infanzia. Entro questa settimana la Marina sudcoreana ha comunicato che inizierà esercitazioni  anti-sommergibile.

Seoul gioca tutte le sue carte: indebolimento economico-commerciale; pressione militare;  taglio degli aiuti umanitari; coinvolgimento della Comunità internazionale. Le ripercussioni in territorio nordcoreano si avvertiranno di certo, soprattutto per quanto attiene agli aiuti di prima necessità forniti in gran quantità da Seoul. Eppure, la risposta di Pyongyang è stata altrettanto dura:  rottura totale delle relazioni bilaterali, annunciando di espellere il personale sudcoreano da Kaesong;  dichiarazione dello stato di massima allerta impartito da Kim Jong-il; minaccia di “azioni militari” se Seoul continuerà a non rispettare il limite delle proprie acque territoriali nel Mar Giallo.

Gli Stati Uniti si sono apertamente e fin da subito schierati con l’alleato sudcoreano. Un comunicato della Casa Bianca susseguente al discorso di Lee dichiara che “la Repubblica di Corea può continuare a contare sul pieno sostegno degli Stati Uniti d’America, così come espresso in maniera chiara dal Presidente Obama”.  Tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, oltre a Washington anche Parigi e Londra appoggiano la richiesta di Seoul per un intervento del Consiglio sulla questione; Mosca e Pechino si mostrano attendiste e richiamano Seoul ad un atteggiamento responsabile. Mosca, tuttavia, potrebbe alla fine astenersi da una votazione, de facto dando così via libera all’azione del Consiglio.

La Cina non ha ancora preso posizione. Pechino si sente presa tra due fuochi, rappresentanti di due interessi contrapposti, il primo di breve ed il secondo di lungo periodo:  preservare la stabilità del regime di Kim Jong-il, funzionale alla sua sicurezza interna, oppure non compromettere le relazioni con Seoul, ritenuta pedina fondamentale per lo sviluppo economico nazionale per gli anni a venire? Questa attuale indecisione potrebbe essere interpretata come un segno  – il primo, dopo molti segnali di forza – di debolezza cinese.