La cultura dello spettacolo nasce in vetrina

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La cultura dello spettacolo nasce in vetrina

10 Giugno 2007

Oggi i consumi
non sono solo uno dei tratti che più caratterizzano il nostro modo di vita:
costituiscono anche un oggetto di grande interesse per gli studiosi. In
consonanza con questo atteggiamento, Vanni Codeluppi prende in esame in La vetrinizzazione sociale. Il processo di
spettacolarizzazione degli individui e della società
, Bollati Boringhieri,
Torino, 2007, il processo di “vetrinizzazione” del sociale.

Di che si tratta?
Da quando nel Settecento è apparsa la vetrina, si è verificata una rottura –
afferma l’autore – nella cultura occidentale: la vetrina mette l’individuo di
fronte alle merci e lo mette di fronte a esse da solo. Le merci non appaiono
più né mediate dal venditore né sono poste di fronte a lui alla rinfusa, ma
vengono  allestite in una scenografia. Da
quel momento l’individuo è posto nella condizione di dover interpretare senza
l’aiuto di altre mediazioni il linguaggio delle merci. Prima che faccia la sua
comparsa la pubblicità, la vetrina assolve dunque al compito – a cui poi
assolverà quella – di presentare le merci, attrarre l’attenzione su di esse,
collegarle a valori: e, in effetti, la vetrina riesce ad attrarre lo sguardo
del passante, a valorizzare le merci, ad  assegnare alle merci un significato positivo.

La nascita della
vetrina si colloca all’inizio del mondo che è ancora il nostro, in un paesaggio
metropolitano nel quale fanno la loro comparsa nello stesso momento lavori di
nuovo tipo (industriali, svolti insieme da una grande massa di lavoratori,
ripetitivi) e quell’oggetto inedito che è rappresentato dal tempo libero dal
lavoro: un tempo da riempire con passatempi e attività che offrano una
compensazione rispetto al lavoro compiuto. Si innesca il circolo che ben
conosciamo tra offerta di beni a basso costo (quelli prodotti appunto in grande
quantità con metodi industriali e ripetitivi) da un  lato e dall’altro possibilità da parte di
quelle grandi masse di operai e impiegati di acquistarli: si inaugura l’epoca della democratizzazione dei consumi e
degli svaghi di massa.

Una ulteriore
caratteristica della vetrina è quella di indirizzarsi allo sguardo: prende
avvio allora la civiltà dell’immagine, la civiltà voyeuristica che guarda tutto
come se  tutto fosse uno spettacolo. Ma
prende avvio anche la società formata da atomi isolati l’uno dall’altro: davanti
alla vetrina, l’individuo impara che il mondo si affronta da soli, senza una
comunità che possa  proteggere. Guardare
ed essere guardati: questo è il nucleo del mondo vetrinizzato che nasce allora
e nel quale ci troviamo ancora oggi. Un mondo del controllo e della ricerca
ossessiva di sicurezza. Un mondo dove regnano l’istante e la soddisfazione
immediata. Un mondo che, proprio perché crede nel progresso e considera il
nuovo un valore, è disponibile a seguire le continue variazioni della moda. Un
mondo dove il corpo (che è legato alle merci e che da esse riceve una identità)
svolge un ruolo centrale. Un mondo che ritiene la bellezza un obiettivo alla portata
di tutti per il quale vale la pena spendere tempo ed energie. Un mondo dove il
privato si perde e si confonde con il pubblico. Un mondo dove realtà e finzione
televisiva si inseguono a vicenda e spesso si scambiano i ruoli. Un mondo dove
anche la morte diventa spettacolo.

In questa summa
portatile della realtà ipermoderna, le concordanze sono decisamente
privilegiate rispetto alle discordanze. L’impressione che se ne trae è che
numerosi tratti di questo mondo (francamente non molto attraente malgrado
vetrine e spettacoli, o forse non molto attraente proprio per la presenza di
vetrine e spettacoli) vadano nella stessa direzione: dal centro commerciale ai
disordini alimentari, dal blog al braccialetto di plastica con su scritto un
logo o un messaggio umanitario, dal videogame ai centri delle città trasformati
in piccole Disneyland a uso dei turisti, dalla consuetudine con la palestra a
Giovanni Paolo II papa mediatico.

Il concetto di “vetrinizzazione”
è suggestivo e proprio per questo avrebbe bisogno di essere delimitato: solo
così potrebbe esprimere tutta la sua efficacia. Qui copre un numero notevole,
forse eccessivo, di significati: infatti, oltre a quelli già ricordati, lungo
il testo viene a coincidere con l’esposizione degli individui, con l’idea che
il corpo sia modificabile a piacimento, con lo studio scientifico della
sessualità, con l’impero del marchio, con l’estensione della dimensione
estetica al sociale, con la comunicazione come contatto permanente. Che cosa
hanno in comune il fenomeno del concepimento di esseri umani in provetta e il
fenomeno del cadavere di una donna caduta dal terzo piano e infilzatasi sulle
punte di un cancello che viene fotografato da alcuni ragazzi con i loro
cellulari? Oppure, che cosa lega il fenomeno della rimozione della morte e il
fenomeno dell’utilizzazione del vetro in architettura? O ancora, vestirsi nel
tempo libero come i propri personaggi a fumetti preferiti ha qualcosa a che
vedere con lo spostarsi in città con un fuoristrada?

L’autore trova la
risposta, il legame, il significato nel processo di vetrinizzazione. Non saprei
dire se dare questo stesso nome a fatti così diversi ci aiuti a capirli meglio,
a classificarli in modo utile, a trovare per essi una spiegazione
soddisfacente. Non saprei dire neppure se la vetrinizzazione, in questa
pluralità di accezioni, si manifesti in epoca contemporanea per la prima volta
nella storia. Sono però certa di una cosa: dal mondo che viene descritto attraverso
l’idea della vetrinizzazione si vorrebbe solo fuggire.