“La cultura liberale riveda il concetto di individuo e passi a quello di persona”

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“La cultura liberale riveda il concetto di individuo e passi a quello di persona”

08 Luglio 2011

La lezione del Cardinale Bagnasco mi conforta in una convinzione che ormai ho maturato molto solidamente, e cioè che non si possa più avere una visione sociale o politica senza avere insieme una chiara visione antropologica: oggi non si può fare politica senza una base antropologica su cui appoggiare le proprie convinzioni economiche, sociali, eccetera. Bisogna sapere non solo quale società vogliamo costruire, ma su quale idea di umanità ci basiamo, che cosa dell’umano è irrinunciabile, non negoziabile, che cosa ci rende uguali e cosa diversi. La catena concettuale che il Cardinale Bagnasco ha implicitamente costruito, cioè persona-famiglia-sussidiarietà-comunità-società, è imperniata sul personalismo cristiano, sull’idea dell’essere umano come  persona. Io penso che ormai sia evidente come la cultura liberale abbia un peccato di origine, perché si fonda sul concetto di individuo e non su quello di persona. La sinistra, invece, questo peccato lo ha acquisito nel tempo: all’inizio, e fino a pochi decenni fa, al centro delle sue teorie politiche non c’era l’individuo ma la collettività. E’ sorprendente che oggi, abbandonate le antiche ideologie collettiviste, difenda strenuamente i cosiddetti nuovi diritti individuali.

Mi auguro che la cultura liberale riesca ad adeguarsi meglio ai tempi, e sia in grado di rivedere e integrare il concetto di individuo, passando a quello di persona. Io che vengo da una giovinezza nel Partito Radicale, questo passaggio l’ho fatto a livello personale, anche grazie alla critica al concetto di individuo espressa dal pensiero delle donne. “Individuo” infatti significa qualcosa che non si divide, mentre le donne si dividono, possono essere due in un corpo solo, con la maternità. L’individualismo non considera, in sostanza, il femminile. Non è un caso che nella politica riuscire a pensare la maternità è pressoché impossibile, perché la cittadinanza, fondandosi sul concetto di individuo, tende ad escludere la relazionalità, che nasce proprio – quasi biologicamente – dalla maternità. Pensiamo per esempio a un termine che oggi viene usato tantissimo, “autodeterminazione”. Noi non nasciamo autodeterminati quanto piuttosto affidati, nasciamo addirittura all’interno del corpo di un’altra persona, completamente affidati a questa persona. La relazionalità è questo: la capacità e il bisogno di essere profondamente legati a qualcun altro, fino alla dipendenza; ed è insita nel concetto di persona. Sul concetto di persona si fondano e si sviluppano quello di famiglia e quello di sussidiarietà. Il cuore della sussidiarietà, il suo significato primario, nasce nella famiglia, ed è a partire dalla procreazione e dalla genitorialità che la sussidiarietà acquista senso e si proietta verso l’esterno. Questo è chiaro quando si pensa che la famosa frase di Marx, nella Critica del Programma di Gotha, “Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni”, soltanto nella famiglia è stata applicata in modo spontaneo, naturale, e senza violenza, mentre altrove ha dato origine a forme spesso tragiche di violenza e di distopia.

(Intervento alla due giorni di formazione "Per vincere domani. Famiglia e lavoro al tempo della sussidiarietà", promossa dall’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà – Roma, 18/19 novembre 2010)

* Sottosegretario al Ministero della Salute