La debolezza (sin troppo “tranquilla”) di Gentiloni
08 Gennaio 2018
di Carlo Mascio
Si sa che in campagna elettorale se ne vedono di tutti i colori. Può accadere tutto e il contrario di tutto. E così capita che uno come il buon Paolo Gentiloni, la “forza tranquilla” del Pd o, come lo chiamano i romani, “Er moviola” si ritrovi in televisione dal solito Fabio Fazio per ribadire concetti del tipo: “Penso che il Centrosinistra abbia dimostrato, nonostante le difficoltà, di avere le capacità per governare: il Pd ha una squadra di governo forte, nessun altro è minimamente comparabile”.
Ma se così fosse, viene spontaneo chiedersi: allora per quale ragione il Pd è in costante emorragia di consensi? Non avrebbe dovuto trarre benefici dall’efficientissima squadra di governo? I fatti, dunque, checchè ne dica il povero Gentiloni, dimostrano il contrario. E d’altronde è difficile dare credibilità ad un governo, come quello da lui presieduto, nato essenzialmente per (cercare) di coprire il clamoroso fallimento del sogno renziano, culminato con la vittoria del No al referendum costituzionale, ma praticamente identico a quello precedente. Così come è difficile dare fiducia ad un premier che più volte ha dato l’impressione di essere pronto a ritornare sui suoi passi pur di assecondare il volere dell’ex inquilino di Palazzo Chigi, come se avesse il Renzimaker di crozziana memoria ben fisso al petto. Il caso della legge elettorale è emblematico in tal senso. Dopo la disfatta referendaria, infatti, il povero Paolo aveva più volte solennemente escluso “intrusioni governative” in materie di competenza parlamentare come la legge elettorale, salvo poi, sotto diktat renziano, come se nulla fosse, chiedere la fiducia sul Rosatellum.
E se a tutto questo aggiungiamo i vari (e vani) tentativi gentiloniani di provare a intestarsi scelte chiaramente fatte da altri, o meglio da un altro (della serie: “La Boschi l’ho voluta io al governo”), il dare supinamente seguito a intestardimenti renziani come l’apertura della commissione d’inchiesta sulle banche a fine legislatura e le innumerevoli forzature parlamentari (vedi il biotestamento) e non (vedi il caso Visco) che con lo stile gentiloniano hanno davvero ben poco a che fare, allora più che ad una “forza” sembra che si è di fronte ad una “debolezza” sin troppo “tranquilla”.
Se poi accanto a Gentiloni inizia ad invocare credibilità (più per se stesso, per la verità) verso Renzi e il centrosinistra anche il ministro Calenda (“mi auguro che se il centrosinistra vincerà il premier lo faccia Renzi” ha dichiarato a Circo Massimo su Radio Capital), dopo che nei giorni scorsi ha provato a prendere le distanze dal renzismo un giorno sì e l’altro pure e dopo aver rilasciato dichiarazioni a raffica sui più svariati temi come se fosse in campagna elettorale ma allo stesso tempo continuando imperterrito a dire di non voler scendere nell’agone politico, allora è evidente che mostrarsi credibili inizia ad essere un tantino difficile. E i sondaggi parlano chiaro.