La deriva politica del cattolicesimo teo-dem
07 Luglio 2007
Nell’ultima lettera agli amici della comunità di Bose,
guidata da Enzo Bianchi, diffusa in occasione della Pentecoste di quest’anno,
leggiamo:”Non possiamo negare che nei mesi trascorsi dalla nostra ultima
lettera si sia accresciuta una sensazione di disagio e di sofferenza
all’interno della Chiesa di Dio che è in Italia e nei rapporti tra i cristiani
e la società civile: la contrapposizione sembra aver preso il sopravvento
sul dialogo, lo schierarsi in
antagonismi sulla riflessione condivisa, l’affermazione di sé sull’ascolto
dell’altro. (…) Quante durezze in nome di “valori non negoziabili” che fanno
trasparire nello stesso linguaggio usato un approccio “mercantile” ai
fondamenti etici del bene comune! Vi sono prese di posizione che sembrano
affrontare problemi complessi negandoli o riducendoli a “capricci” di persone
viziate, quando addirittura non si finisce per imporre sugli altri fardelli che
noi stessi non tocchiamo neppure con un dito. (…) Perché ci si accanisce a
coltivare l’inimicizia, quando le medesime energie potrebbero essere impiegate
a comprendere l’altro e a confrontarsi per una convivenza rappacificata?”.
Lunga e necessaria citazione. A Bose si sono incontrati tutti i cattolici
demo-progressisti e neoclericali (dirò tra breve perché li definisco così) e
Franceschini, insieme alla Bindi, hanno messo in piedi un’operazione di ampio
taglio ideologico: separare la Chiesa in quanto tale, cioè la “loro” Chiesa,
dalla Cei, trascurando volutamente che quest’ultima sia l’insieme delle
gerarchie della Chiesa, dunque ciò che una volta almeno si soleva definire
l’autorità ecclesiastica e magisteriale, il cuore del corpo ecclesiale in
sostanza. Operazione non riuscita, ma, a parer mio, se non ci fosse stata,
avrebbero dovuto inventarla, perché essa dimostra, con rigore quasi
scientifico, lo stato di salute del cattolicesimo politico italiano, in larga
parte fatto di eredi di Moro e di sinistra cattocomunista con qualche retaggio,
spesso neppure troppo compreso, di dossettismo (ché il dossettismo è fenomeno articolato
e su cui occorrerebbe fare una riflessione seria, non lasciando troppo andare
il motore della critica ideologica, giustificata s’intende, ma forse non
sufficiente a far cogliere il fenomeno in sé), lo stato comatoso del
cattolicesimo come realtà politica. Il cattolicesimo non produce più politica e
questo punto è l’unico realmente condivisibile delle argomentazioni di Pezzotta
a favore di un non meglio definito soggetto parapolitico di centro e
cattolico-popolare. Dopodiché, essendo sbagliata la soluzione di Pezzotta,
siamo al capolinea con l’aggiunta della fatica sprecata. Questo è il quadro
storico-politico del cattolicesimo italiano.
La Chiesa gerarchica se n’è
accorta da lunga pezza e provvidenzialmente è diventata fattore di divisione,
come proprio quel Vangelo, all’apparenza così caro ai religiosi della comunità
di Bose, auspica. Franceschini propone per il Pd una “politica ecclesiale”,
volendo con ciò riprendere il dialogo con la Cei, senza concedere alcunché alle
“scorribande” di quest’ultima. Equilibrismi sterili. Ormai il dado è tratto e
Franceschini, insieme alla Bindi, non si rendono conto, essendo appunto viziati
dalle scorie ideologiche del cattolicesimo “adulto”, che la partita religiosa,
etica e politica si è spostata dalla Chiesa come tale alla storia come insieme
di momenti non dirigibili in una chiave deducibile a priori. Questo lascito,
una sorta di costruttivismo religioso, è l’eredità di Maritain e della sua
perniciosa idea secondo la quale la democrazia tutto sommato aveva il sopravvento
perfino sulla fede in quanto prodotto immediato e spontaneo del Vangelo. Il che
ha frenato lo sviluppo etico della democrazia, facendola sprofondare nel
relativismo etico e religioso, nonché della fede come fatto di popolo,
essendosi ricollocato al centro della società una classe di intellettuali
cattolici che consideravano il nesso con la gerarchia un cappio al collo e non
una condizione di crescita religiosa, etica e culturale. E’ il crollo oggettivo
della Cristianità come fatto totale della civiltà, come esperienza comune di
una storia occidentale intrisa fino al midollo di Vangelo e di Cristianesimo.
Cioè, di Chiesa.
La deriva politica del cattolicesimo demo-progressista è la
cifra sociale della sua ricaduta neo-clericale, che fa scivolare i giudizi
dall’oggetto al comportamento privato (i leaders del centrodestra non
potrebbero allora sostenere la famiglia naturale in quanto divorziati e/o
separati: un approccio moralistico che la Chiesa, nella sua plurisecolare
pastorale, non ha mai seguito). Con la scomparsa dei fatti e della realtà.
Dunque del fronte di lotta. La Binetti richiama la famiglia come perno della
politica del Pd, trascurando che il Family Day ha prodotto la più drammatica
battaglia aperta della Chiesa contro il fronte progressista e laicista. E la
Chiesa ha vinto, tenendo ferma la barra sulla dimensione etico-religiosa. E’
stata la politica a seguire la scia della Chiesa, ma con una razionalità
interamente volta alla costituzione di un disegno organico di azione politica e
di pensiero sociale adeguato a quest’ultima. Di qui il richiamo all’art. 29
della Costituzione. Paradossale ma vero: i cattolici progressisti sono i più
clericali e anche i più retrivi sul piano del giudizio morale, laddove il
centrodestra – avendo sferrato l’attacco al nichilismo con un’impronta laica e
secolare, e per ciò gradita alla Chiesa gerarchica, che non viene mai meno al
principio della laicità come separazione della sfera religiosa da quella
statuale – testimonia una baldanza illuministica, pragmatica e assai moderna.
Ecco, in ciò il dossettismo, anti-moderno e clericale (volendo cristianizzare
lo Stato, come voleva anche Eusebio di Cesarea, un semi-eretico da questo punto
di vista), determina il tratto non politicamente spendibile della sinistra
cattolica.
Péguy avrebbe bollato i dossettiani con l’etichetta più giusta:
intellettuali clericali. E Pèguy, uomo della tradizione e della fede come
realtà mistica e popolare insieme, era addirittura un socialista francese, un
allievo di Jaurès. Eppure così distante dalla sinistra di sempre, dalla
sinistra cattolica, la peggiore, la più clericale, la più sciattamente
ideologica e la più cattiva. Figlia di due perversioni intellettuali, eresie
vere e proprie: il pelagianesimo e lo spiritualismo. Se questa è la “differenza
cristiana”, aridatece gli atei di una volta. Ci basterebbe un “Sanvoltaire”
(Contri).