La destra romana punta su Mueller per la festa del Cinema
01 Gennaio 2012
di Carlo Zasio
Adeguandosi alla tempestività del governo Monti, il nuovo Cda della Biennale di Venezia – alla cui presidenza è stato appena confermato Paolo Baratta – si è riunito all’indomani del Natale per prendere le prime decisioni, in realtà maturate da tempo. Se la guida del settore architettura affidata a David Chipperfield rientra in un percorso ormai consolidato per la prestigiosa istituzione veneziana, il cambio alla direzione del settore cinema rappresenta uno iato profondo. Baratta ha scelto infatti di non confermare Marco Mueller per il terzo quadriennio e di affidare al direttore del Museo del Cinema di Torino, Alberto Barbera, le prossime quattro edizioni della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica.
Una decisione approvata all’unanimità dal CdA e che risponde a due esigenze: innovare la formula della mostra che, seppur ben condotta da Mueller, risentiva ormai di un certo logoramento creativo, e risolvere un conflitto ormai insanabile tra i vertici della Biennale e il direttore uscente riguardo le infrastrutture al Lido. Se da un lato la ristrutturazione dello storico hotel Des Bains ha provocato notevoli ripercussioni su di un sistema alberghiero già di per sé inadeguato per accogliere giornalisti, addetti ai lavori e pubblico, dall’altro lato l’apertura del cantiere per il nuovo palazzo del cinema e il successivo blocco dei lavori causato dal ritrovamento di amianto ha causato notevoli difficoltà logistiche proprio nel momento in cui Mueller, con il potenziamento della sezione Orizzonti dedicata al nuovo cinema, ampliava a dismisura la programmazione delle dieci giornate di mostra.
Non a caso l’annuncio della Biennale riguardo la nomina di Barbera ha posto l’accento sulla necessità della riqualificazione dei siti del Lido, da perseguire in armonia con la sua popolazione e la città di Venezia. Questo, infatti, è stato il nodo del dissidio, accentuato dalle dichiarazioni dell’ex ministro Galan che, insieme allo sfortunato annuncio della designazione di Giulio Malgara alla Presidenza della Biennale – nomina naufragata sull’onda della caduta del Governo – aveva manifestato la volontà di prorogare Mueller per altri quattro anni. Impensabile quindi la permanenza in laguna del “fabbricante di festival”, come ama egli stesso definirsi.
E qui si apre una partita dai mille risvolti, con potenziali ripercussioni sulla stessa Venezia, e che rivela al contempo una certa vena crepuscolare di Mueller. Se dapprima egli si era affidato alle sorti di un governo morente per tentare di rimanere in sella alla Mostra, all’indomani della riconferma di Baratta è trapelato che Mueller, su richiesta di alcuni notabili del partito putiniano Ednaya Rossya – altra stella cadente – e di alcuni suoi vecchi amici cineasti sanpietroburghesi, come Alexey Gherman padre e figlio, Svetlana Karmalita, Konstantin Lopushansksi, Aleksandr Sokurov (Leone d’oro all’ultima Mostra veneziana con il suo Faust), si e’ incontrato con i dirigenti della città di San Pietroburgo e il vice governatore della regione Vassily Kicezhi per esaminare la possibilità di fare un grande Festival.
Infine, è esplosa la notizia di un accordo con la Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini – anch’essa astro dal destino incerto – per far assumere a Mueller la direzione della Festa del Cinema di Roma. Sarebbe un ritorno alla città che lo ha cresciuto, tra le aule del liceo Tasso e l’ex cinema Universal di via Bari dove sin da piccolo trascorreva interi pomeriggi, ma dove non ritroverebbe i suoi compagni di un tempo. Da Nicola Zingaretti in giù, tutto il Pd romano gli è contro. Se riuscirà a farsi valere, lui, già maoista, diverrebbe la punta di lancia di una Festa del Cinema profondamente rinnovata dalla destra che governa Roma. Con un progetto di rilancio a tutto tondo, che va da Cinecittà a Massenzio, già in grado di non far dormire sogni tranquilli al Leone della laguna.