La divisione dei cristiani in Libano è una delle spine nel fianco di Hariri

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La divisione dei cristiani in Libano è una delle spine nel fianco di Hariri

20 Ottobre 2009

Lo scorso 7 ottobre un ragazzo musulmano viene aggredito in un quartiere cristiano di Beirut. Decine di giovani islamici organizzano la ritorsione, scontrandosi con i cristiani e le truppe dell’esercito regolare. Sul terreno resta un giovane morto e altri feriti.

La difficile situazione politica che sta vivendo il Libano, che attende da giugno la formazione di un governo di unità nazionale, si può comprendere solo nel quadro della “politica confessionale” che ha caratterizzato la storia del Paese fin dalla  sua indipendenza (e ancor prima durante il "mandato" francese). Un sistema che fissava un’equa ripartizione delle funzioni pubbliche tra le diverse comunità religiose, secondo il loro peso politico. Gli accordi di Taif nel 1989 hanno stabilito l’uguaglianza politica (art. 95 della Costituzione) e una proporzione del 50 per cento tra musulmani e cristiani all’interno del Parlamento. Ma l’ultima legge elettorale, approvata dal Parlamento nel settembre del 2008, e che ha regolato le elezioni della scorsa primavera, per certi versi è tornata nel solco del confessionalismo.

Il fatto che oggi i cristiani siano una parte importante nel mondo politico libanese è un elemento di grande importanza in un’area dove la presenza musulmana è egemonica. I cristiani nelle istituzioni libanesi sono una garanzia per il rispetto della libertà religiosa, e una forma di tutela per tutti quei fedeli che vivono nel Medio Oriente arabo e islamizzato. Quella dei cristiani libanesi però è una situazione delicata, in cui la fede si sente e viene spesso minacciata.

I cristiani in Libano sono politicamente spaccati. La coalizione antisiriana e filo-occidentale del "14 Marzo" del sunnita Saad Hariri può contare sui cristiani maroniti come Samir Geagea, a capo delle Forze Libanesi (che però ha frenato Hariri nella formazione del nuovo governo). Ci sono anche Amin Gemayel della Falange, Dory Chamoun del Partito Nazionale Liberale, Nassib Lahoud con il Movimento per il rinnovamento democratico, Samir Franjiyeh, Elias Atallah, Carlos Edde, e gli ortodossi come Ghassan Tueini. Dall’altra parte, i cristiani alleati del movimento "8 Marzo", vicino alla Siria e all’Iran. Il generale Michel Aoun con la sua Corrente Patriottica Libera, Sleiman Franjieh, gli armeni del Tashnak e il greco cattolico Elias Skaff.

C’è poi la presenza ingombrante dell’Hezbollah libanese, che i cristiani del 14 Marzo non accettano come un protagonista della vita democratica del Paese, almeno fino a quando il gruppo sciita non avrà deposto le armi. Solo allora potrebbe aprirsi un dialogo. In Libano molti cristiani stanno lentamente abbandonando il Paese, in fuga dalla crisi economica e dalle incertezze politiche, ma soprattutto impauriti dall’estremismo islamico.

Le divisioni di questa comunità cristiana rispecchiano la complessa situazione della politica e della società libanese, e i giochi di forza interni ed esterni che ne determinano i già precari equilibri nazionali. La stabilità nel Paese dei cedri deriva soprattutto dalla sua politica estera, che ne influenza le dinamiche e le preferenze interne. Stare da una parte o dall’altra, come fanno i cristiani, vuol dire subire l’influenza di altri Paesi che indeboliscono il Libano, imprigionando la "libera scelta" di un popolo e negandogli una vera indipendenza.