La Dottrina sociale della Chiesa non può essere incatenata

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La Dottrina sociale della Chiesa non può essere incatenata

La Dottrina sociale della Chiesa non può essere incatenata

«Il vivere nella pluralità di sistemi di valori e di quadri etici richiede un viaggio al centro del proprio io e al nucleo del cristianesimo per rinforzare la qualità della testimonianza fino alla santità, trovare sentieri di missione fino alla radicalità del martirio».

(Benedetto XVI, discorso all’aeroporto da Portela, Lisboa, martedì 11 maggio 2010).

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In Portogallo, durante il viaggio apostolico in quel Paese, Benedetto XVI ha pronunciato una frase che abbiamo assunto a guida di questa Sintesi introduttiva: “la parola di Dio non è incatenata!” (2Tm 2,9). La Dottrina sociale della Chiesa non è immediatamente Parola di Dio, eppure essa si fonda sulla Parola di Dio ed è proclamata e vissuta dalla Chiesa. Possiamo allora dire che anche per la Dottrina sociale della Chiesa vale questo richiamo: essa non è incatenata.

Gettando uno sguardo sull’anno 2010, a cui è dedicato questo Rapporto, ci accorgiamo che tante sono le catene che vorrebbero tenere legata la Dottrina sociale della Chiesa. Sono catene esterne e sono catene interne.

Catene esterne sono l’aggressiva cultura laicista che con grande violenza anche in questo hanno si è mobilitata per secolarizzare la società non solo dalla religione ma dall’etica e perfino dal buon senso comune; sono le forze che a livello internazionale stanno programmando un brutale e continuo attacco alla vita e alla famiglia, operando con grandi mezzi perché tutti i Paesi assumano leggi che favoriscano l’aborto e distruggano la famiglia; sono le agenzie culturali che impongono un pensiero unico sui temi della libertà individuale, delle relazioni tra i sessi, della visione della procreazione; sono i grandi interessi economici e la scarsa sensibilità cristiana ed etica nella gestione dell’impresa e della finanza che mantengono situazioni di povertà e di sofferenza. Nel presente Rapporto descriviamo con precisione molti di questi fenomeni.

Ma ci sono anche le catene interne, che impediscono alla Chiesa e ai cattolici stessi di assumere fino in fondo la Dottrina sociale e di farne un impegno personale e comunitario. Per esempio sono catene interne la disattenzione nei confronti del magistero del Papa che spesso, con colpevole trascuratezza, viene inteso solo come una possibilità tra le altre con il rischio che la luce di verità che Benedetto XVI sta diffondendo non scenda a fecondare nella concretezza della vita l’operato dei fedeli; il non applicare alla Dottrina sociale della Chiesa il criterio ermeneutico suggerito da Benedetto XVI a proposito del Concilio e quindi continuare a parlare di due Dottrine sociali, una preconciliare ed una postconciliare, impedendo così ai fedeli di attingere ad una Dottrina sociale della Chiesa vista nella sua totalità e pienamente inserita nella tradizione; la debolezza e la estemporaneità con cui ci si dedica alla Dottrina sociale della Chiesa, che conosce alternativamente periodi di ripresa ma anche di abbandono; la secolarizzazione della Dottrina sociale della Chiesa che spesso, con la scusa di farne uno strumento laico di confronto con tutti, viene presentata come una morale umana, una sapienza di questo mondo con la perdita della sua vera ragion d’essere che è la gloria di Dio; l’intellettualizzazione della Dottrina sociale della Chiesa, fatta unicamente oggetto di convegni tra esperti e non trasmessa alla base della comunità ecclesiale in modo sistematico e vitalmente connesso con i percorsi di formazione e testimonianza cristiana.

Queste sono alcune delle catene che trattengono la Dottrina sociale della Chiesa e che anche nel 2010 hanno dimostrato tutta la loro resistenza. Ma il Santo Padre ci dice che essa non è fatta per rimanere incatenata. E quando ce lo dice ci parla anche di testimoni, di santi e di martiri, di profezia e di coraggio, di nuovo vigore missionario, di ardore di santità, di chiamata ad operare per il Regno di Dio, di unione con Cristo e di azione del suo Spirito, di rinnovare la faccia della terra partendo da Dio, di vigore e gioia nell’annunciare la resurrezione di Cristo, di un vasto sforzo capillare da compiere, di un vigoroso pensiero cattolico fedele al magistero, di richiamo coraggioso e integrale ai principi, di fervore delle origini, di gioia dell’inizio dell’esperienza cristiana, di qualità della testimonianza, di identità ben evidente. Tutte queste espressioni sono tratte da discorsi di Benedetto XVI pronunciati nel 2010.

Il 6 giugno 2010 a Varsavia è stato beatificato il Padre Jerzy Popieluszko, martire dei tempi del comunismo. Sempre nel 2010 è iniziato a Roma il processo di beatificazione del Cardinale Van Thuân. Sono due fulgidi esempi di martirio cristiano dalle enormi conseguenze benefiche per la società ma che certo non sono stati mossi primariamente da esigenze sociali ma spirituali, dal desiderio di conoscere e vivere in Dio, dall’assegnargli il primo posto. La signora di Cristo sul mondo è prima di tutto signoria dei cuori e quando il cuore dell’uomo è aperto allo Spirito anche le conseguenze di benessere sociale diventano palpabili. Chi leggerà questo Rapporto, anche solo la Cronologia dei fatti che riportiamo alla fine, si renderà conto che nel 2010 di martiri ce ne sono stati tanti. E sono stati loro a rompere le catene che spesso trattengono la Dottrina sociale della Chiesa.

Non si deve però pensare che il testimone, o addirittura il santo o il martire, debba vivere esperienze eccezionali, come hanno fatto il Padre Jerzy Popieluszko o il Cardinale Van Thuân. Coloro che, per riprendere un’altra frase di Benedetto XVI, non si vergognano di opporsi alle divinità e ai signori di questo mondo anche nella piccola dimensione della loro vita quotidiana e non danno una mano al secolarismo, anche coloro che testimoniano la fedeltà al magistero sociale della Chiesa in un contesto – anche ecclesiale – che talvolta lo deride, quelli che non ripongono tutta la loro fiducia nelle strutture e nei programmi, quelli che lottano per smontare le menzogne della cultura dominante e che denunciano le violenze e i soprusi, quelli che si mobilitano contro le leggi ingiuste e dedicano le loro forze, il loro sonno, le loro risorse alla lotta per la verità e il bene … anche tutti costoro sono dei testimoni che rompono le catene della Dottrina sociale della Chiesa.

Del testimone, però, c’è anche una versione riduttiva e insoddisfacente che lo considera uno che semplicemente fa, che si spende, che mette in gioco se stesso ma che non necessariamente sa perché. La testimonianza viene spesso contrapposta al sapere, alle motivazioni, alla solidità del pensiero. Non è di questo tipo il testimone in grado di rompere le catene della Dottrina sociale della Chiesa. L’agire non è pienamente espressione di amore se non è nello stesso tempo espressione della verità. Avere testimoni della Dottrina sociale della Chiesa significa avere persone che la conoscano all’interno dell’intera dottrina cristiana e che la vivano come atto di amore intelligente. Non si tratta, allora, di scendere alla pratica senza la formazione dottrinale e spirituale, ma nemmeno di fermarsi alla formazione teorica senza una prospettiva di vita. Ecco allora che il testimone – e ancor più il santo e il martire – ci riconducono all’intera esperienza cristiana della Dottrina sociale della Chiesa, che non è se stessa se non dentro la vita della Chiesa, ma la vita della Chiesa è dottrina ed è amore. La testimonianza che Benedetto XI ha particolarmente richiesto nel 2010 affinché il sale non diventi insipido è una testimonianza che renda ragione alla Dottrina sociale della Chiesa come un tutto.

E’ questo, riteniamo, il senso profondo dei continui richiami del magistero alla legge naturale, che non sono diminuiti nel 2010 e che hanno fatto da guida anche agli interventi internazionali della Santa Sede. L’obbedienza alla legge naturale è sia un atto di conoscenza sia un atto di amore, inscindibilmente. Un atto di conoscenza perché la legge naturale è espressione della verità che risulta alla ragione e alla fede rivelata. E’ atto d’amore perché chi ama desidera conoscere l’amato e vuole il suo bene. Obbedire alla verità dell’altro significa amarlo, desiderare il suo bene significa aiutarlo a realizzare la sua natura e conseguire il suo essere in pienezza. I testimoni che in tutto il mondo hanno lottato per la verità, lo hanno fatto anche con amore ed hanno così rotto le due principali catene che impediscono alla Dottrina sociale della Chiesa di diffondersi e incarnarsi: lo scetticismo che dice non esistere nessuna verità e l’individualismo che dice non esistere nessun amore. Ambedue negano che l’altro sia una vocazione, ambedue impediscono di uscire da se stessi anche se nell’attuale società di massa secolarizzata si finisce quasi sempre per vivere fuori di se stessi.

Questa Sintesi introduttiva analizza l’anno in esame – questa volta il 2010 – e tenta di mettere in evidenza la sua caratteristica principale. Indica poi un percorso da fare insieme, dando delle prospettive di azione. Secondo noi la caratteristica del 2010 è stata di aver individuato l’urgenza della testimonianza, della santità e del martirio nella Dottrina sociale della Chiesa. L’indicazione per il futuro è di non separare mai i diversi aspetti della Dottrina sociale della Chiesa ma di tenerli tutti incollati sempre nella autentica vita cristiana nella Chiesa. Testimonianza, santità e martirio ci ricordano questa necessità, senza della quale la Dottrina sociale della Chiesa cede alla feroce secolarizzazione in atto e perde di vista il primato di Dio.

 

Diego Arias Padilla, Direttore del Centro de Piensamento Social Católico della Universidad San Pablo di Arequipa, Perù.

 

Philippe de Saint Germain, Delegato genrale dell’Association pour la Fondation de Service Politique, Parigi.

Stefano Fontana, Direttore dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, Verona.

Fernando Fuentes Alcantara, Direttore della Fundación Pablo VI, Madrid.