La ferita del dipinto

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La ferita del dipinto

09 Gennaio 2011

Il professor Fabrizio Corbera stava facendo una disquisizione mentale sulla cattiva qualità dei programmi televisivi del mercoledì: nulla d’interessante, come si fa ad andare avanti con documentari sulla riproduzione del licaone e con quiz a premi con presentatori che non si reggono neanche in piedi da soli? E solo meno male qualcuno iniziava ad avere l’idea di passare a miglior vita.

L’unica sua speranza era l’amico commissario di polizia Giuseppe Falconeri: aspettava una telefonata da lui. Sperava, col lato cinico del suo poliedrico carattere che solo lui sapeva far affiorare a comando, che il serial killer del parco avesse colpito ancora.

Stava per prendere a padellate il televisore quando il telefono trillò.

«Pronto».

«Sì?».

«Sono Giuseppe Falconeri, posso parlare col professor Corbera?».

«Sono io, non mi riconosci?».

«Sai, hai una voce talmente pastosa che pensavo che avessi finalmente assunto una cameriera».

«Mi sto annoiando, stavo tentando di trovare una qualche utilità nel vedere un quiz televisivo condotto dal nonno di Napoleone».

«Rallegrati, il killer ha colpito di nuovo, purtroppo la vittima è ancora più giovane delle altre».

«Vengo!».

Aveva chiuso la cornetta senza nemmeno salutare, si era immediatamente vestito ed era uscito di corsa avvolto nel suo nuovissimo caldo cappotto di cachemire.

Mentre dava gas al motore dell’amata Jaguar (e “amata” era tutt’altro che un eufemismo), pensava alle precedenti vittime: straziate, gli occhi vitrei, spalancati nel nulla. La morte, secondo Corbera, era una questione di sguardi.

                                                                                        ***

Falconeri era già lì che perlustrava la zona attorno alla vittima. Il professore lo chiamò ad alta voce.

«Oh! Finalmente! Guarda un po’, non ha perso la raffinatezza delle altre volte».

«Sembra la Maya desnuda di Goya».

La povera ragazza stava riversa su una panchina, la testa era poggiata su una serie di stracci e le gambe accavallate con una strana fluidità visiva che Corbera aveva notato: come se la ragazza avesse assunto quella posa mentre era ancora viva. Ma preferiva aspettare il referto del medico legale prima di fare ipotesi.

Dalla posa, lo sguardo del professore, si diresse sul corpo. Era stato straziato da un oggetto non identificato: una miriade di piccoli tagli aveva martoriato il viso e il petto, le gambe mostravano solo delle strisce di sangue molto sottili. Gli agenti la portarono via, deponendola nella bara. Gli stracci vennero raccolti in buste di plastica e inviati alla scientifica.

                                                                                     ***

Il professor Corbera stava ricontrollando i vecchi referti e li stava comparando con le analisi che gli erano appena arrivate relative all’ultima vittima. Nelle ferite non era stato rinvenuto altro che cheratina. Corbera non era perplesso per la cheratina, che senza problema poteva trovarsi in ferite presumibilmente prodotte da un animale, ma per il fatto che insieme alla cheratina non ci fossero anche tracce di terriccio, polvere, pelo o quant’altro potesse rivelare la ferinità dell’autore dei raschi. Cosa poteva essere successo allora?

In quel momento gli sfiorò il polpaccio il suo gatto, lo guardò, affascinato come sempre dalla linea sinuosa del suo corpo affusolato, e gli affiorarono alla mente i versi di Baudelaire “Lorsque mes doigts caressent a loisir ta tete et ton dos élastique, et que ma main s’enivre du plaisir de palper ton corps électrique”. Provava sempre un intimo piacere nel vederlo così pulito. Nel mezzo di questo idillio, l’inopportuno urlo del telefono lo riportò per terra, fra la fanghiglia delle follie umane. La ben nota voce di Falconeri lo ammonì di lentezza nel rispondere al telefono e lo invitò a raggiungerlo alla centrale per far parte all’interrogatorio dei sospetti omicidi.

Mentre guidava verso la centrale si chiese chi fossero i sospetti riuniti dal caro Falconeri. Immaginò all’incirca una mezza dozzina di persone fra ex ragazzi, amiche, negozianti, idraulici, elettricisti e così via. Eliminò l’elettricista e l’idraulico: era assurdo pensare che gli elettrodomestici delle vittime avessero bisogno di una manutenzione talmente frequente da far maturare nella mente del primo o del secondo delle turbe ossessive e omicide. Per il negoziante forse era più probabile, purché si trattasse di un negozio di abbigliamento: certe donne possono spingere i commessi più fragili alla paranoia e all’omicidio.

                                                                                 ***

Giunto a destinazione vide ciascuno di testimoni. Come si aspettava erano appena cinque: tre uomini e due donne.

Il primo della lista era Curzio Maiu: un ragazzo bassetto e tozzo, con un pizzetto ossigenato e i capelli con la riga in mezzo. Un soggetto semplicemente ributtante. Fu fatto accomodare nella stanza degli interrogatori. Il professore aveva notato le manone sgraziate e piene di vene grossolane. La sua voce era roca per via delle troppe sigarette e non manifestava il minimo interesse per una mosca che gli volava attorno. Una volta messosi comodo aprì bocca per dire:

«Mi avete prelevato da una festa di un carissimo amico, di grazia posso sapere perché?».

Il professor Corbera non si aspettava un tono di voce così piacevole. Con un gesto spropositatamente elegante per quelle manone venate, aveva tratto una sigaretta aromatizzata al mentolo dalla tasca interna della sua giacca.

«Lei come conosceva le vittime?».

«Sono l’ex di Marilena. Diceva che la trascuravo troppo per i suoi gusti».

Gli fecero qualche altra domanda, ma non ci fu molto da dire, in realtà. Al punto che Corbera non aveva idea del perché Falconeri avesse fatto venire quel tipo.

La seconda persona a essere interrogata fu Menico Vizzino. Corbera, vedendolo, si chiese se non fosse un’allucinazione: basso e minuto com’era, con le orecchie a sVizzino e il naso a patata, assomigliava in maniera impressionante a Cucciolo.

Quando fu invitato a sedersi esitò un momento, poi con un gesto nervoso delle mani si appoggiò al tavolo e si sedette. In tono gentile Corbera gli chiese se volesse un bicchiere d’acqua o un caffè, ma il nanetto disse nervosamente di no. Allora si procedette alle domande:

«Lei, signor Vizzino, in che rapporti era con le vittime?».

«Non le conoscevo tutte. So però che fra loro si conoscevano vagamente. Io conoscevo solo Carla».

«Potrebbe spiegarsi meglio?».

«Beh, io ero per così dire un ammiratore di Carla. Era sempre molto gentile con me, ma purtroppo per lei ero solo un amico. Io, invece, sognavo qualcosa di più. Volevo che diventasse mia moglie Mi voleva molto bene e io ne volevo a lei. Ci facevamo regali molto spesso. L’ultimo che mi ha fatto è stato un dvd degli Aristogatti, i miei preferiti».

Il commissario e il professore si scambiarono un’occhiata brevissima. Come se avessero sentito per un solo istante un odore insolito e non sapessero spiegarsi se era stata una loro impressione e se c’era davvero stato.

«Peccato che è andata in cielo. Spero sia vicina al mio papà!».

Il tono di voce con cui quelle parole erano state dette mentre loro si scambiavano quell’occhiata li convinse definitivamente che l’odore insolito non era stato un’impressione.

Corbera iniziava a capire perché Falconeri avesse convocato il ragazzo. Era evidente che in lui c’era qualcosa che non andava e chissà che, quello di Carla, non fosse stato in realtà un delitto passionale. In quel momento Falconeri lesse sul volto del professore una domanda e dai tratti somatici di quest’ultimo la traspose in parole:

«Avevi mai chiesto a Carla di diventare la tua fidanzata?».

«Sì, una volta».

«E lei cosa ha detto?».

«Mi ha dato un bacio sulla fronte e mi ha detto che c’era un signore che per lei valeva troppo, perciò non poteva essere la mia fidanzatina, mi disse anche che la casa in cui abitava era di quel signore».

«E ti ha detto chi era quel signore?».

«No, però una volta ho sentito una telefonata in cui diceva a qualcuno Micione».

Poco dopo lo congedarono. Rimasti soli, Corbera e il commissario si guardarono un momento senza parlare, quasi con un’ironia triste nel volto. Falconeri comunicò agli altri che i restanti interrogatori erano da rimandare a domani. Così rimase solo col professore.

«Cosa ti è sembrato di questi due».

«Quello che mi stimola di più la fantasia è il primo. Così grossolano fuori e poi…».

«Però, anche il secondo… sembra il classico ritardato che viene rifiutato e diventa un assassino».

«Ma perché hai convocato proprio queste persone?».

«Ora ti spiego. Tu hai visto i primi due. I tre che non abbiamo sentito sono Scilla Arleo, Nerio Romantico e Iolanda Giangravia. La prima è una amica della defunta Carla e, guarda un po’ la coincidenza, anche sorella della defunta Carmen. Il secondo si è presentato spontaneamente dicendo che aveva qualcosa da dirmi e la terza è amica della defunta Marilù».

In quel momento il commissario starnutì fragorosamente.

«Scusa Falconeri, ho portato un po’ del pelo del mio gatto attaccato ai pantaloni, mi ero dimenticato della tua allergia»

«Non fa niente».

«Senti, anche io vado via. Domani chiamami se vai a interrogarli».

«Contaci».

                                                                                ***

Mentre era in auto venne in mente al professore che aveva tralasciato completamente le analisi degli stracci trovati sotto il capo della vittima. Imperdonabile da parte sua. Proprio lui così attento e meticoloso, amante dei dettagli e dei particolari, aveva dimenticato di leggere un referto. Stava invecchiando forse? No, solo che nel momento in cui li aveva ricevuti, gli erano successi una serie di eventi che lo avevano distolto dalla lettura: si era soffermato a osservare il suo gatto, poi lo aveva chiamato Falconeri con la notizia dell’interrogatorio e quindi non aveva potuto. Avrebbe rimediato a casa.

Sugli stracci non era stato trovato nulla all’infuori del sangue della vittima e di lucido per argenteria sul lembo sinistro di alcuni di essi. Ogni pezzo di stoffa era fatto di seta mista a lino ed era di forma rigorosamente geometrica. Il colore era frutto di un lavaggio colorante specifico. In una foto, il professore, vide i pezzi di stoffa: quadrati o rettangolari con colori vivaci e brillanti. Chissà che cosa che voleva dire? Perché il maniaco aveva scelto proprio quei colori e quelle forme? Il professore ricordava i suoi anni come collaboratore dell’ufficio di ricerca della polizia: gli erano capitati sotto gli occhi fatti di ogni genere. Addirittura una volta ebbe modo di studiare un uomo che puntualmente, ogni qual volta gli capitava di litigare con uno dei suoi colleghi, tornava a casa e dopo essersi messo la schiuma da barba come faceva quotidianamente la mattina, prendeva il rasoio appartenuto al nonno e iniziava a provocarsi dei tagli molto profondi sul viso.

Cercò di pensare con ordine. E si disse che, tendenzialmente, un serial killer non agisce a caso.

                                                                                ***

La giornata era delle più radiose e a Corbera, svegliatosi di ottimo umore, venne voglia di andare a correre per le stradine di campagna.

Erano già tre quarti d’ora che correva e aveva raggiunto il suo punto preferito della campagna.

Era un muretto a secco che spartiva gli sterminati campi. Esso costeggiava un palazzo abbandonato da tempo, costruito con uno stile imprecisabile, ma che riusciva – per ragioni misteriose – a chiarire i pensieri di Corbera. Spesso, il professore, quando non sapeva che pesci prendere, andava lì e osservava i ghirigori sfrontati che turbavano la linearità delle colonne. La complessità dei primi lo aiutava a fargli elaborare i pensieri seguendo l’intreccio scolpito nel marmo, mentre i secondi lo rilassavano se i primi lo avevano stancato nel farsi rincorrere. Nel mezzo delle sue elucubrazioni sentì lo strombazzio del clacson di Falconeri. Questi con voce allegra gli disse:

«Sei scappato di casa o hai rapinato una banca?».

«Questa è la battuta delle nove e venti del mattino?».

«Certo, non sai che ridere mette in circolazione…».

«…. il cortisolo. Sì, lo so. Ma che fai qui?».

«Son passato da casa tua, ma non c’eri, e allora ho pensato che potevi trovato qui».

«Perché sei passato da casa mia?».

«Ero venuto a chiederti se volevi venire con me a casa di Menico Vizzino, ho avuto il permesso».

«In una sola giornata?».

«Sì: il giudice ha una nipote della stessa età dell’ultima vittima, perciò si è mobilitato per farmi avere prima possibile il permesso. Figurati che ieri son dovuto rimanere in commissariato fino alle tre del mattino: ha voluto che aspettassi per farmi andare oggi stesso dagli indiziati».

«Che tipo quel Cardelli. Ma non me la sento di presentarmi a casa di qualcuno conciato così».

Effettivamente Corbera era molto sudato e la tuta non gli donava come un blazer blu.

«Non preoccuparti, ti accompagno a casa e ti faccio cambiare».

Conosceva il professore da molto tempo e sapeva che era ben disposto a sciupare il suo aspetto se era necessario, ma che poi non aspettava altro che potervi rimediare: detestava non essere elegante o quantomeno presentabile.

                                                                                 ***

In poco meno di venti minuti arrivarono a destinazione e Corbera, con la cortesia che gli era propria, approfittò per far accomodare Falconeri e per offrirgli qualcosa da bere mentre lui si docciava e si vestiva velocemente. Mentre indossava il panciotto, chiese ad alta voce al commissario quale fosse l’ultimo della lista a essere interrogato. Il commissario rispose che doveva essere Nerio Romantico. Si levò dalla stanza in cui il professore si stava cambiando un no che aveva ammonito Falconeri dal controbattere. Il professore disse con voce quasi stridula, come di solito gli succedeva quando era sopra pensiero:

«Sei forse impazzito? Vuoi lasciare da parte proprio l’unico che si è presentato spontaneamente per dirti qualcosa. In Italia ormai chi si compromette con la polizia per raccontare qualcosa?».

Chiarito l’ordine dei fortunati (Romantico sarebbe venuto subito dopo Vizzino), si potette procedere alle visite di cortesia.

Vizzino abitava in un palazzetto infestato dai gatti. Quando si trovarono dinanzi alla porta del suo appartamento sentirono provenire dall’interno dei forti rumori. Falconeri guardò Corbera con una leggera preoccupazione, ma il professore era calmo come se sapesse da cosa erano provocati. Il professore bussò, la porta si aprì e Corbera sorrise affabilmente al ragazzo che gli aveva aperto. Vizzino li invitò a entrare. Il rumore, scoprì Falconeri, era dovuto al dvd degli Aristogatti.

Mentre il commissario lo occupava in una conversazione mirata a distrarlo, il professore perquisiva l’appartamento. A un certo punto quest’ultimo chiese di poter andare in bagno. Gli fu indicata la strada dal ragazzo. Mentre vi si dirigeva, Corbera buttò un occhio anche nella stanza da letto di Vizzino: era letteralmente tappezzata con foto di Carla.

Entrò nella camera-santuario per perquisirla, fortunatamente Falconeri se la stava cavando bene con un discorso insensato sui fiori che se perdono i petali non hanno più profumo. Mentre varcava la soglia della camera, alla mente del professore affiorarono le note iniziali dell’Arlesiana di Bizet. Solenne e frivola, lo inducevano a muovere i suoi passi al ritmo della musica. Perquisì tutto minuziosamente, finché non scorse in cima all’armadio una scatola. Si issò su una sedia e grazie alla sua alta statura gli fu possibile raggiungere agevolmente la scatola. Quando la ebbe tirata giù poté notare la raffinatezza degli intarsi che vi capeggiavano sopra. Cosa ci faceva lì un oggetto di così buon gusto? Lo aprì e rimase sconcertato nel vedere il suo contenuto: un paio di collant smagliati, una mutandina rossa rotta, un rossetto quasi completamente consumato e un coltello a serramanico sporco di sangue. Mise tutto nelle buste di plastica che portava sempre con sé e si mise tutto in tasca, scatola compresa, e ritornò in salotto.

Falconeri chiacchierava ancora con Vizzino. Il professore disse ad alta voce:

«Coraggio commissario, non pensi di aver fatto sprecare troppo tempo al ragazzo?».

Il ragazzo li accompagnò alla porta e, dopo essersi salutati, il commissario non riuscì a trattenersi dal dire:

«Che hai trovato?».

«Se ti dicessi che ho trovato un rossetto usato, delle mutandine da donna rotte, un paio di collant smagliati e un coltello a serramanico sporco di sangue, arresteresti il ragazzo da cui ci siamo da poco lasciati?».

Il commissario stava voltandosi per tornare su ad arrestarlo, quando il professore lo trattene per una manica e gli disse:

«Non così. Ora sarebbe inutile. E poi, in fin dei conti, di chi altro possono essere se non di Carla?».

                                                                                ***

 

Adesso bisognava interrogare Nerio Romantico. Non fu difficile raggiungerlo: abitava in un ostello della gioventù. Appena vide arrivare i due investigatori corse loro incontro e disse entusiasticamente:

«Professor Corbera, io ho seguito tutti i suoi casi. Ho sempre desiderato misurarmi con lei».

«Misurarsi?» domandò Corbera con stupore.

«Secondo me lei è uno dei più grandi investigatori viventi, ma allo stesso tempo sono convinto di non essere da meno, perciò la voglio mettere alla prova».

«E in che modo?», il tono di voce del professore era leggermente stizzito.

«Tutte le informazioni che ho gliele darò sottoforma di messaggio cifrato, va bene?».

«Le rammento che il professore non è tenuto a dar retta alle sue cervellotiche trovate» rammentò severamente Falconeri.

«No, no, non fa niente Falconeri. Signor Romantico, sono ben lieto di accettare la sua “sfida”».

«Benissimo. Ecco la prima informazione: “Nella prima Bauhaus”. Arrivederci».

«Arrivederci».

All’aperto, Falconeri lo guardò, alquanto seccato per quelle stupide lungaggini:

«Che ha voluto dire?».

«Che dobbiamo cercare al diciannove di via Gropius».

«Perché?».

«“Prima” sta per primo piano, mentre la via è dedicata al suo fondatore, Walter Gropius, mentre il numero civico sono le due cifre dell’anno in cui fu creata la scuola cioè nel 1919».

                                                                                ***

Al primo piano di via Gropius numero diciannove trovarono solo due nomi: Interfector e Meretricis. Entrambe le case erano vuote da un mese, come seppero dal portinaio, e non c’era segno di persone. Il commissario era convinto che ci fosse un matto vero dietro quella storia, ma in macchina il professore era insolitamente soddisfatto, anche se sembrava che non avessero cavato un ragno dal buco. Il commissario volle sforzarsi al massimo per dare al professore pan per focaccia, ma all’improvviso il silenzio fu rotto da Corbera, che gli chiese:

«Tu a scuola hai studiato latino, vero?».

«Sì, ho avuto anch’io questa sfortuna, ho fatto il classico».

«Io invece ho studiato all’estero, lontano dall’attaccamento al passato tipicamente italiano. Ma per certi miei interessi ho dovuto imparare vocaboli e grammatica. Oggi si è dimostrato molto utile. I vocaboli “interfector” e “meretricis” vogliono dire rispettivamente “assassino” e “prostituta”. Il ragazzo ci ha dato una traccia: una o tutte le vittime erano prostitute».

                                                                              ***

Non si poteva dire che Scilla Arleo fosse bella, con la sua bocca con meno di un accenno di labbra, il naso sdegnoso e altero, i capelli infinitamente sottili, ma anche se non sensuale era attraente. Accolse i due investigatori offrendo un bicchierino di sherry, ma i due declinarono l’offerta. Il professore preferì premettere le sue condoglianze per la doppia perdita dell’amica Carla e della sorella Carmen.

«Grazie professore, ma non la posso ritenere una perdita: mi ero allontanata da Carla e litigavo spesso con Carmen. Lo sa che non ho pianto ai loro funerali?».

«Ma se si era allontanata da ambedue, perché è andata ai loro funerali?».

«Per rispetto e in ricordo dei tempi andati: non eravamo state sempre in lite».

«Sa per caso come si mantenevano?».

La ragazza arrossì, guardò per terra e con un sospiro disse:

«Il mestiere più antico del mondo».

«È per questo il motivo che vi siete allontanate?».

«Sì. Abitavano insieme e insieme esercitavano, non c’era stato verso di convincerle a cambiare lavoro».

Falconeri starnutì in maniera ciclopica: il professore ebbe lo strano impulso di gettarsi a terra e trovare riparo sotto un tavolo.

«Scusate. Ha un gatto in casa?».

«Nell’altra stanza ne ho chiusi sedici».

Falconeri stava per starnutire di nuovo, ma fece in tempo a uscire dall’appartamento».

«Anche io amo i gatti, ho un balinese. Posso vedere i suoi?».

«Naturalmente, chi è amico dei gatti è un mio amico».

Entrarono in una stanza arredata dozzinalmente con una fitta coltre di gatti. Le bestiole si arrampicavano dappertutto, alcune dormivano acciambellate sul divano sbrindellato e altre studiavano i due estranei che turbavano la loro privacy.

«Magnifici. Nobili, maliziosi, sfrontati, pieni di grazia e innocenza».

«Verissimo».

Parlarono qualche altro minuto, finché Corbera non disse:

«Non sa con che piacere rimarrei, ma non voglio far aspettare il commissario. Arrivederci».

Sul ballatoio, quando il professore uscì, Falconeri esclamò:

«Finalmente».

«Scusa, ma è stato tempo investito bene».

                                                                                ***

Aveva chiesto a Falconeri l’indirizzo di Maiu. Falconeri glielo disse e subito dopo si raccomandò di non farsi beccare, qualunque cosa volesse farci con quell’indirizzo. Aveva intuito che Corbera voleva andare lì senza nessuno e indisturbato. Il professore approfittò della prima occasione in cui il padrone di casa era assente.

La casa di Curzio Maiu era di una deprimente banalità inenarrabile: mobili lineari e senza decori, arredamento minimalista di acciaio e cristallo, niente librerie. Cercò accuratamente, ma non trovò nulla.

Ritornato a casa, il professore non aveva nessuna voglia di andare al suo Pensatoio. La sua mente si rifiutava di pensare a quei fatti di sangue, perciò si sedette nella poltrona da lui stesso ideata e realizzata e alzò il volume della radio al massimo e fece diffondere in tutto il villino le note dei brani delle Variazioni Goldberg.

Anche se tutto era come doveva essere, non si sentiva per niente tranquillo: stava poltrendo mentre era in libertà un assassino efferato che aveva tranciato delle giovani vite. Gli vennero in mente le parole di Tomasi di Lampedusa: “quale mai doveva essere stato il tumulto di quei serbatoi ancora colmi che si svuotavano in un attimo da quei poveri corpi giovani?”. Intollerabile per lui. Si alzò di scatto e recuperò i resoconti delle analisi. Passeggiava su e giù per la stanza cercando di imitare Sherlock Holmes, ma a un tratto si arrestò e pensò: “Come faceva quell’inglese a pensare così?”. Uscì e andò dove sapeva che poteva produrre qualcosa di buono. Era però destino che quel giorno non potesse andare al Pensatoio: gli squillò in tasca il cellulare proprio mentre era in auto a metà strada.

«Pronto».

«Corri immediatamente in via dei Gigli numero trenta».

«Perché?».

«Iolanda Giangravia è morta. Scivolata nella vasca da bagno».

Dal tono del commissario, Corbera capì che l’idea dell’incidente domestico non l’aveva nemmeno sfiorato.

«Arrivo».

Per mettersi in direzione della città, fece una manovra tale da causare la sua fucilazione sul posto se qualche vigile lo avesse visto. Fortunatamente, a quell’ora, non c’era nessuno nel raggio di chilometri.

                                                                                ***

«Chi l’ha trovata?».

«Abbiamo ricevuto una telefonata anonima».

«Fammela vedere».

Il commissario introdusse il professore nel bagnetto azzurro della vittima. La poverina aveva il capo riverso sul lato sinistro del suo corpo, il sangue aveva sporcato i lunghi capelli e il pavimento. Al professore non faceva effetto il sangue, ma nonostante questa indifferenza sentì il bisogno di appoggiarsi allo stipite della porta. Pensava al mostro che nulla aveva fermato dal colpire selvaggiamente la povera ragazza. Corbera se la immaginava mentre cadeva morta sotto il colpo dell’assassino: i capelli ramati fluttuavano nell’aria e la pelle candida si sporcava del liquido vermiglio che le usciva dal cranio fracassato, piombava pesantemente per terra e infine veniva trascinata in quella tomba di mattonelle e ceramiche. In quel tragico quadro qualcosa non lo lasciava tranquillo. Non informò il commissario di quell’impressione. Falconeri gli si appressò e gli chiese:

«Vuoi fare un giro per la casa?».

«Sì, forse ci sfugge qualcosa. Non senti uno strano odore?».

«No».

Corbera rimase un momento pensieroso, poi tornò al discorso iniziale:

«Se lei era già nuda per lavarsi, i casi sono due: o non si vergognava della sua nudità perché aveva di fronte un’altra donna o perché c’era un uomo con cui era in intimità. Non possiamo escludere nessuna delle ipotesi. Il dilemma, quindi, è su maschio o femmina».

«Ecco la stanza da letto della vittima e…» il commissario starnutì, ma il professore non aveva visto gatti in giro e nemmeno ciotole o altri segni dell’esistenza di gatti in quella casa.

All’improvviso disse:

«Trova subito l’argenteria».

«Cosa?».

«Trova l’argenteria, se la vittima l’aveva» disse il professore in tono concitato.

«Ma perché?» ormai il commissario era certo che Corbera doveva essere fatto internare.

«Abbiamo commesso un errore, ora mi è tutto chiaro. Hai tenuto sotto controllo Nerio Romantico?».

«Certo, non fa niente dalla mattina alla sera».

«Controllatelo molto attentamente d’ora in poi. Forse andrà dall’omicida».

«Come fai a dirlo?».

«Tu fai come dico».

Il commissario Falconeri non se la prese, sapeva che la scortesia di Corbera era solo frutto della fretta e della preoccupazione di quest’ultimo. Fece come voleva e diede ordine ai suoi uomini l’ordine di portare al professore tutti gli oggetti di argento che trovavano, il quale nel frattempo volle perquisire personalmente la stanza della vittima.

Si sedette un attimo su una sedia e ragionò: “Gli appunti vicino al telefono sono scritti con la grafia dei mancini. Quindi la vittima era mancina. Quindi mi devo concentrare sul lato sinistro della stanza. A sinistra abbiamo un bonheur du jour dell’Ottocento, materiale per la pittura en plain air un comò, la porta di un bagnetto privato, uno specchio sul comò, una poltrona e la porta d’ingresso. Ora, la scatola deve essere all’incirca venti centimetri per quindici per cinque. Un oggetto da nascondere immediatamente all’occorrenza, ma facile da prendere se si ha fretta. Il comò è da escludere: troppa roba da sollevare e troppo pericoloso da lasciare in superficie. La poltrona dovrebbe avere uno scomparto segreto, ma non è sicuro. Dietro lo specchio forse”.

Si alzò e tolse dal muro lo specchio: niente. Non rimanevano che gli scomparti segreti del bonheur- du- jour.

Si alzò e corse al mobiletto. Non avrebbe avuto il cuore di forzarlo, visto che era stato lavorato da una mano superba. Allora, sperando che fosse uguale al suo, tolse il cassetto destro e cercò il pulsante che avrebbe fatto scattare i meccanismi di apertura. Non lo trovò. Sconsolato andò in bagno a cercare. Era vicino all’uscio quando ebbe un’illuminazione. Tornò di corsa al mobile, tolse il cassetto sinistro e trovò il pulsante che face scattare i meccanismi. Trovò una scatola e numerose pezze di lino misto seta, di forma quadrangolare a colori brillanti.

Aprì la scatola e lo sguardo gli si illuminò: aveva trovato ciò che cercava. Chiamò il commissario e gli mostrò il contenuto della scatola. Il commissario esclamò sommessamente:

«Amico mio, sei grande».

                                                                                ***

«Signori, il commissario Falconeri vi ha convocati su mia richiesta, adesso sono in grado di dirvi l’identità del “killer del parco”».

«Ma perché ci ha convocati?» chiese con tono annoiato Curzio Maiu.

«Per essere sicuro che nessuno di voi potesse fuggire. All’inizio, l’unica cosa che ho avuto dinanzi, è stata una serie di inquietanti delitti, tutti causati da una mente criminale determinata e abile. Sui cadaveri erano frequenti dei tagli molto sottili e profondi, come potete vedere qui nelle foto. Perciò fin dal primo omicidio mi sono chiesto quale poteva essere l’arma del delitto. I tagli, però, presentavano due particolarità. La prima era che nelle ferite venivano trovate solo tracce di cheratina e mai di polvere o terra o qualunque altra cosa di cui sono sporche le unghie di un animale, perciò non c’era da cercare un animale vero e proprio. La seconda particolarità era che i segni erano sempre equidistanti, come se invece di una sola lama ve ne fossero state di più attaccate l’una all’altra. Insomma, degli indizi mi portavano a un animale, ma altri me ne allontanavano. Era necessario cercare una via di mezzo: una animale imbalsamato».

Lo stupore avvolse il silenzio come un festone attorno a un albero di Natale.

«La cheratina era indiscutibilmente di un animale, ma quella pulizia no. L’unica cosa possibile era che l’animale non poggiasse mai le zampe: cosa possibile solo se fosse deceduto. Non mi restava che cercare un animale morto con gli artigli sporchi di sangue. Ma in casa di nessuno di voi ho trovato niente del genere. Mi mancava di interrogare la povera Iolanda Giangravia, ma purtroppo non ho fatto in tempo: l’assassino, uno di voi, l’ha uccisa prima che potessi farlo. Ma chi può essere costui… o costei?».

Di nuovo un agghiacciante momento di silenzio e di tensione.

«Forse lei signorina Arleo. Lei era la persona più intima per Carla e Carmen. Più volte si sarà infuriata con loro per il lavoro che facevano. Naturalmente, questa per me è una dimostrazione di affetto. Addirittura vi eravate allontanate per questo problema, perciò non poteva trattarsi di lei. Allora lei signor Vizzino?».

«Io… io».

«Non finga ancora. In casa sua ho trovato degli oggetti molto interessanti. Sopra l’armadio (un nascondiglio troppo ricercato per il suo ruolo) ho trovato una scatola molto bella, che non mi sarei mai aspettato di trovare in casa sua. Prima».

Vizzino ridacchiò: «Va bene professore, ma continui».

«Io credo che lei realmente amasse Carla e che fingesse di essere un uomo con la mente da bambino solo per tenerla legata a sé. Un espediente se vogliamo efficace, ma indubbiamente malato. La sua morbosità è dimostrata dal rossetto consumato, le mutandine rotte e le calze smagliate, che senza dubbio ha rubato dalla sua immondizia. Sa perché non credo che sia stato lei a ucciderla? Perché non è un individuo fragile come voleva far credere e soprattutto perché è un attore che da mesi, se non da anni, dava a credere a una donna di essere un uomo completamente diverso. Lei è un attore, pieno di autocontrollo: non avrebbe mai perso la testa per un rifiuto. Anche se questo rifiuto avesse vanificato anni di finzioni. Andando per esclusione non resta che lei, Maiu».

«È svanito?».

«Lei mi ha subito stuzzicato. La sua grossolanità esteriore è una maschera perfetta per la sua vera natura. Lei è un raffinato. Gli omicidi delle precedenti vittime sono stati organizzati con cura, ma senza mai commettere un errore. Mai. Neanche una piccola imprecisione. L’omicida era sempre attento all’eleganza dei suoi delitti e concentrato per non fare stupidaggini. Anche io sono rimasto a lungo imponente davanti a tanta diabolica precisione. Ma a casa della signorina Giangravia ho trovato molti oggetti decisivi per le indagini: attentamente occultati ho trovato numerosi ritagli di stoffa, identici a quelli trovati sui luoghi del delitto, sporchi del medesimo lucido per argenteria, e la zampa imbalsamata e insanguinata di un gatto. L’arma del delitto».

Falconeri teneva tutti sotto controllo, per evitare ciò che era già successo qualche volta in passato.

«E non sono riuscito a capire il nesso fra la zampa di gatto e gli stracci colorati fino a quando non mi sono ricordato che i gatti amano le forme geometriche dai colori vivaci. Dopo queste premesse credo sia chiaro chi era il killer del parco: Iolanda Giangravia conosceva nomi e abitudini di tutte le sue vittime e sicuramente non ha avuto molti problemi ad attirarle in trappola, magari con la scusa di fare un ritratto en plain air. Ed ecco spiegate le pose dei cadaveri, troppo fluide per essere state imposte a un corpo già morto».

«Ma allora chi ha ucciso Iolanda?» chiese Menico Vizzino.

«Quando sono entrato in bagno ho sentito uno strano odore, molto probabilmente l’odore di mentolo delle sigarette di Curzio Maiu, e ho visto il corpo mi ero accorto che qualcosa non andava. Ciò che mi sfuggiva era un dettaglio che, per ovvie ragioni, non potevo avere presente: le donne, di solito, hanno l’abitudine di legarsi i capelli prima di farsi il bagno. Chi ha inscenato il delitto non ha tenuto conto di quest’accorgimento. Solo un uomo poteva non tenerne conto. Quindi, come ho già detto, andando per esclusione posso accusarla senza timore di smentite dell’omicidio di Iolanda Giangravia. Lei nasconde sotto la grettezza la raffinatezza e sotto la raffinatezza sensibilità e fragilità. Il nome del killer le era stato detto da Nerio Romantico e lei ha pensato bene di fare giustizia della donna che continuava ad amare nonostante tutto. La ragazza è stata uccisa con un colpo alla testa, da ciò ho capito che il movente era passionale».

«Perciò ha pensato che se il movente era passionale si poteva trattare solo di un innamorato e l’unico innamorato presente è Curzio».

«Esatto, signor Romantico. Ha delle doti nascoste, me ne sono accorto da quando ho capito che lei era il protettore delle due ragazze: Carla e Carmen. Ecco perché era così ben informato. Sotto un’apparente povertà nasconde una grande ricchezza. Dopo che mi ha dato la sua traccia, ho fatto subito un salto all’ufficio anagrafe, dove un amico mi ha assicurato che i nomi che avevo letto su quel citofono dovevano essere falsi. Ovviamente lo immaginavo, ma lo scupolo è una delle mie debolezze. Sono sicuro che la palazzina è di sua proprietà: era lì che le ragazze ricevevano i clienti più “particolari”, quelli che non potevano rischiare di farsi vedere nelle vicinanze della casa di due prostitute».

«Quello che dice non è vero, ma se lo fosse le direi che è bene investire il denaro, inoltre potrebbe essere un buon modo per tutelarsi da mogli furiose e decise a far scoppiare uno scandalo».

«Ah, non è vero? Molto bene. Sarà proprio divertente vedere come andrà a finire quando il commissario Falconeri avrà trovato le prove che serviranno per accusarla di sfruttamento della prostituzione. Lei sapeva tutto perché le sue “collaboratrici” le avevano confidato le loro paure. Lei aveva tenuto d’occhio la signorina Giangravia e quando ha visto chi era in realtà non si è preoccupato di denunciarla in qualche modo, ma solo di ricattarla. Lei non era disposta a subire e perciò le ha fatto capire come le sarebbe stato facile eliminare ogni seccatura. Dopo Carla è venuta Carmen. Allora non avendo più nulla da perdere ha detto tutto al signor Maiu, probabilmente pensava che sarebbe andato alla polizia lasciando fuori dalla faccenda lei, ma ha commesso un piccolo errore: non lo ha detto al compassato individuo che le sembrava, ma all’innamorato perso».

Durante tutto il discorso di Corbera, Maiu era stato zitto, non si era nemmeno difeso. Aveva detto solo una frase:

«Lei professore… Iole me lo diceva sempre: “Lo sai che ti amo, ma amo solo l’uomo, non l’automa”. L’ho uccisa io quella matta, ma non me ne pento. Non avrei perdonato che la mia Iole rimanesse impunita. Commissario, credo che possa bastare. Mi porti via, per piacere».

Falconeri guardò interrogativo il professore, questi gli fece un cenno affermativo colla testa e poi disse:

«Commissario, pensi lei a tutto, molta gente è morta e non tutti hanno pagato le loro colpe» così dicendo si era rivolto a Nerio Romantico.

                                                                                ***

Il commissario aveva invitato a cena il professore. Era appena arrivato quando alla tivù iniziò il telegiornale. A scandirlo, come sempre, un oscuro giornalista che, a giudicare dall’oscena cadenza, doveva essere della più malfamata periferia laziale. Attaccò a parlare dell’ennesimo successo del commissario Giuseppe Falconeri distintosi come sempre per…

Ma non lo seppero mai: il professore aveva spento la tivù per sedersi a tavola col suo amico.

                                                                       FINE