La fine del renzismo, la crisi globale della sinistra e la tecnocrazia a 5 Stelle

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La fine del renzismo, la crisi globale della sinistra e la tecnocrazia a 5 Stelle

05 Marzo 2018

“Lascio la guida del Pd”. Poche parole che sanciscono la fine della stagione renziana. Matteo Renzi si è dimesso da segretario del Pd : “Ora farò il senatore semplice” annuncia davanti ai cronisti. Eppure qualche giorno fa diceva: “Se perdo, non lascio la segreteria”. Ma forse non si aspettava una botta del genere (18%, minimo storico). E che botta! Tanto che ora in Italia si torna sì a parlare di bipolarismo, ma tra centrodestra e M5S. Il centrosinistra di fatto è sparito. Il segno più evidente? Il crollo nelle regioni rosse. Pardon, nelle “ex” regioni rosse. E si perché del rosso non è rimasto altro che qualche macchiolina nell’asse Bologna-Firenze. Umbria e Emilia Romagna si son tinte di azzurro, mentre le Marche prevalentemente di giallo. I tempi delle percentuali bulgare sono solo un lontano ricordo.

Colpa solo di Matteo Renzi? No. E il motivo è molto semplice: la sinistra è in crisi nera praticamente ovunque. Basti dare un’occhiata in Europa. Solo per fare qualche esempio, in Germania non si può dire che l’Spd goda di ottima salute, tanto che è stata costretta a dover fare l’ennesima Grosse koalition con la Merkel, dopo averne già pagato il prezzo in termini percentuali. Per non parlare del Partito socialista francese, praticamente asfaltato alle ultime elezioni presidenziali. E così via. Di esempi ne potremmo fare tanti, ma quanto detto basta per far capire che il modello proposto dalla sinistra non funziona più. Tutto questo perché il sistema capitalistico si sta evolvendo, la governance è sempre più verticale, e il tassa e spendi, tipico schema economico di sinistra, non ha più senso di esistere. Questo processo, che assomiglia tanto ad una lenta agonia, non ha certo risparmiato l’Italia. Il renzismo – questo sì- non ha fatto altro che accelerarne i meccanismi.

Ma non si può dire certo che chi soppianta i compagni rossi (di una volta) sia poi così diverso. I 5 Stelle hanno infatti i tratti tipici del volto della peggior sinistra: statalismo, giustizialismo, asservimento alle logiche “politically correct” (sono a favore di eutanasia, adozioni gay, e così via) e tassa e spendi 2.0 (ma per il momento ci dicono solo la spesa, il famoso e costoso reddito di cittadinanza). Non certo punte di diamante dell’innovazione e della creatività politica. Ma, si sa, la rabbia può fare brutti scherzi e non far intravedere che dietro all’apparente “nuovo” si nascondono, in realtà, logiche già viste e riviste. Non da ultimo, un certo fascino nei confronti della tecnocrazia: la squadra di governo presentata da Di Maio & Co. è composta per lo più da tecnici. Certo, una trovata mediatica per sopperire alle critiche di “inesperienza” che il mal governo delle amministrazioni 5 Stelle a Roma e Torino hanno contribuito a fomentare. Ma anche la riproposizione di un modello vecchio: quel “governo tecnico” di montiana memoria che, in genere, gli italiani non hanno ben digerito anche perché non ha contribuito a salvare le sorti del paese. Anzi.  

Insomma, non è tutto oro quel che sembra luccicare. E Roma e Torino ne sanno qualcosa.