La folla può essere saggia?

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La folla può essere saggia?

27 Luglio 2008

James Surowiecki sostiene una tesi che è in netto contrasto con una delle idee più diffuse della cultura alla quale apparteniamo: la convinzione che un insieme di persone riunite formi un soggetto diverso dall’individuo, e che quel soggetto sia caratterizzato da facoltà intellettuali minori rispetto al singolo e da reazioni emotive molto maggiori. La psicologia collettiva è la disciplina che, in modo consistente a partire dalla fine dell’Ottocento, ha studiato quel soggetto collettivo in relazione al suo ruolo crescente nella vita della società: grandi autori come Freud e Kelsen, Simmel e Ortega y Gasset, se ne sono occupati per esprimere il loro accordo con le sue tesi o per criticarle. Ma sono positivisti come Gustave Le Bon o l’italiano Scipio Sighele che descrissero fra un secolo e l’altro la fisionomia e il comportamento della folla, questo protagonista della nascente società di massa. Secondo la psicologia collettiva l’individuo, quando si trova insieme ad altri, perde le caratteristiche di controllo su se stesso, razionalità, autonomia, che normalmente lo definiscono, e tende a imitare il comportamento di chi gli sta accanto senza riflettere su ciò che fa: in questo modo, è pronto a commettere ogni tipo di azione, specie se è guidato da un capo carismatico che ne indirizzi le energie.

La psicologia collettiva sostiene dunque che l’individuo riunito in folla è irrazionale, violento, estremo, modellato dagli altri e dal capo, mosso da istinti primordiali che riemergono nella situazione di vicinanza stretta con i suoi simili. Questa disciplina ha conosciuto varie revisioni e trasformazioni nel corso del Novecento, e oggi è scomparsa per essere sostituita dalla psicologia sociale, i cui caposaldi sono molto diversi. Tuttavia, è ancora presente in alcuni autori del nostro tempo: si pensi ad esempio a Elias Canetti e alla sua opera Massa e potere. Ha segnato molto la nostra cultura, tanto che le sue tesi principali tornano continuamente, e fanno parte di un fondo di idee nelle quali crediamo in modo quasi spontaneo: è insieme ad altri che si può trovare il coraggio di compiere un’azione straordinaria o che si può perdere il senso del bene e del male, ma è ragionando da soli, riflettendo, interrogandosi, che troviamo le risposte della ragione e della coscienza agli interrogativi che ci poniamo e alle scelte da compiere.

E’ recente la scoperta da parte di alcuni economisti – fra cui Surowiecki – che, al contrario di quanto la psicologia collettiva afferma e di quanto in fondo tutti noi crediamo (chi non ci crede mi passi la generalizzazione), la folla è invece saggia. In che cosa consiste la saggezza della folla? Sulla base di esperimenti ripetuti, è possibile affermare – sostengono questi economisti – che il giudizio della folla è sempre praticamente perfetto. Con le parole del nostro autore: “Nelle circostanze giuste, i gruppi si rivelano estremamente intelligenti, spesso più dei loro membri migliori.” Riescono cioè, e su argomenti assai diversi, ad arrivare molto vicini alla verità: “Per essere intelligenti, i gruppi non hanno bisogno di essere dominati da individui dotati di un’intelligenza eccezionale. Anche se la maggior parte dei suoi componenti non è particolarmente ben informata o razionale, un gruppo può comunque arrivare a una decisione collettiva saggia.” Viene così rovesciata la tesi principale della psicologia collettiva secondo la quale l’individuo è intellettualmente superiore alla folla: “Se si mette insieme un gruppo di persone sufficientemente numeroso e diversificato e gli si chiede di prendere decisioni che siano nell’interesse generale, nel corso del tempo le scelte di quel gruppo si riveleranno intellettualmente superiori a quelle di un singolo individuo, per quanto intelligente e informato.”

Surowiecki offre molti esempi della sua affermazione, ottenuti con insiemi diversi di persone: da una folla intrappolata nelle proprie autovetture in un ingorgo e dal pubblico di Internet, dagli azionisti e dai clienti delle banche, dal pubblico dei quiz televisivi e dagli scommettitori. Il solo tratto che accomuna questi gruppi è che devono prendere decisioni agendo collettivamente. In tutti questi casi emerge la saggezza della folla: la folla si comporta nel modo più ragionevole possibile, date le condizioni nelle quali si trova. Spesso, però, non se ne rende conto. E anche chi osserva il comportamento della folla non riconosce la sua saggezza ed è portato ad attribuire il comportamento intelligente alla eccezionalità di individui isolati. Esisterebbe cioè nella nostra cultura, secondo l’autore, un pregiudizio individualista che ci conduce a sottolineare tutti i casi in cui un individuo si comporta in modo positivo e a trascurare tutti i casi in cui sbaglia, in altri termini che non ci fa riconoscere la saggezza della folla anche quando essa si manifesta (e a suo parere si manifesta di continuo).

La domanda che segue immediatamente è allora: che cosa significa che una folla è saggia “nelle circostanze giuste”? Una folla, sostiene l’autore, non esprime saggezza in qualunque circostanza: anzi, in alcune particolari condizioni si comporta proprio come la psicologia collettiva sostiene, cioè dando luogo a disastri, distruzioni, violenze, decisioni assurde. Per esprimere la saggezza della quale è capace, essa necessita di quattro condizioni: la diversità (presenza di informazioni e opinioni diverse), l’indipendenza (le opinioni di una persona non sono condizionate da quelle degli altri), il decentramento (essere vicini ai problemi specifici) e l’aggregazione (un meccanismo capace di trasformare l’opinione personale in giudizio collettivo). L’autore ha in mente dunque una folla ordinata, coerente e sottoposta a regole. Si arriva ad alcuni apparenti paradossi: ad esempio, è positivo che una folla sia differenziata (perché gli uni possono imparare dagli altri), mentre un eccesso di comunicazione può renderla meno intelligente. E’ sbagliato pensare che un gruppo numeroso sia difficile da gestire: spesso dà risultati migliori di un gruppo piccolo eccessivamente omogeneo. Il motivo: se il gruppo è omogeneo si tende a essere tutti d’accordo, e non hanno possibilità di emergere quelle posizioni diverse che bilanciano un giudizio errato.

Il volume conclude sulla politica, ed era inevitabile. Secondo il pregiudizio individualista che l’autore attribuisce alla nostra cultura, infatti, siamo generalmente tentati di risolvere i problemi con il ricorso a un esperto: un individuo specializzato che applica la sua preparazione alle questioni sul tappeto. In politica una soluzione di questo tipo va sotto il nome di tecnocrazia. Se, invece, accettassimo la saggezza della folla, saremmo più portati a vedere il buono che è contenuto nella democrazia.

Tutto questo ci tranquillizza sulle sorti del nostro mondo, composto in gran parte da democrazie. Tuttavia notiamo che il ragionamento di Surowiecki è circolare: uno dei tratti principali che gli psicologi collettivi attribuiscono alla folla è il fatto che ognuno imita chi gli sta accanto, ovvero – nei termini dell’autore – che si esercita una pesante influenza degli altri sulla formazione dell’opinione. Gli psicologi collettivi traggono da questo la teoria dell’unanimismo: la folla parla con una voce sola, e l’indipendenza di giudizio scompare soffocata dall’imitazione reciproca. Tra le caratteristiche della folla di Surowiecki si ha il contrario: ma si ha solo perché l’indipendenza (cioè il fatto che l’opinione non è influenzata da quella degli altri) è già presupposta nelle “condizioni giuste” affinché si esprima la saggezza della folla. Certo, se il gruppo è sufficientemente differenziato, coeso ma non troppo uniforme, abbastanza educato da riuscire a instaurare un confronto interno, se è vicino ai problemi specifici che deve affrontare, e se l’opinione si forma senza che il gruppo la influenzi, la folla è saggia. Si tratta di una folla ordinata e sottoposta a regole. Si direbbe che, piuttosto che una folla, si tratta di un gruppo opportunamente preparato: un po’ diverso dalle folle di strada delle quali parlavano gli psicologi di fine Ottocento. Quelli pensavano ad azioni collettive come i linciaggi, le distruzioni di edifici, i saccheggi; Surowiecki ha in mente folle disciplinate che di rado agiscono e più spesso osservano. La folla di Surowiecki è un pubblico, avrebbero detto gli psicologi ottocenteschi, e si tratta generalmente negli esempi forniti non di prendere una decisione vitale velocemente e in condizioni di pericolo, ma di esprimere un giudizio di tipo cognitivo. Se all’autore si obiettasse che un linciaggio distrugge la sua teoria, risponderebbe che non è un controesempio valido perché in quel caso mancano le “condizioni giuste”.

Sarebbe bello pensare che le cose stanno così, e indubbiamente in alcuni casi l’esperienza prova la tesi della saggezza della folla: purtroppo non sempre si danno le “condizioni giuste”.

J. Surowiecki, La saggezza della folla, Fusi orari, 2007, pp. 324, € 15,50