La Francia federale è poco più di un sogno ma Sarkò si sta svegliando

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La Francia federale è poco più di un sogno ma Sarkò si sta svegliando

La Francia federale è poco più di un sogno ma Sarkò si sta svegliando

31 Marzo 2009

Anche la Francia del centralismo giacobino cerca, a suo modo, di far fronte alla crescente domanda continentale di decentramento territoriale. Nel suo quotidiano attivismo Nicolas Sarkozy ha aperto anche questo delicato dossier, al momento però, con scarsi risultati. Nonostante la situazione di impasse in cui il dibattito sembra essersi arenato, riflettere sul tema aiuta a comprendere alcune peculiarità del contesto transalpino.

 

Tutto è iniziato con la creazione dell’ennesimo “comitato”, presieduto ancora una volta dall’ex Primo ministro Edouard Balladur (come accaduto per la riforma istituzionale, concretizzatasi nel luglio scorso nelle modifiche alla Costituzione della Quinta Repubblica) e composto da alcuni tra i politici (neo-gollisti, socialisti e centristi) più esperti di questioni locali (tra gli altri il socialista Pierre Mauroy) oltre a due intellettuali di primo piano come Jean-Claude Casanova (direttore di Commentaire) e Jacques Julliard (firma storica de Le Nouvel Observateur)

Il comitato ha lavorato poco più di due mesi prima di rimettere nelle mani del Presidente della Repubblica venti proposte concrete sulle quali lavorare e arrivare (entro fine aprile) ad una proposta di legge che dovrebbe poi essere votata nel prossimo autunno. Il Comité Balladur, nelle intenzioni di Sarkozy, doveva proporre soluzioni per risolvere cinque ordini di problemi.

Primo: ridisegnare la carta regionale del Paese, accorpando alcune delle 22 regioni, con l’obiettivo di fare di questa unità amministrativa uno dei due pilastri della nuova struttura nazionale. Secondo: fare dei comuni il secondo pilastro della struttura di cui sopra. Terzo punto, ai due precedenti strettamente legato, quello della marginalizzazione dell’unità amministrativa più tipicamente francese e cioè il dipartimento. Quarto passaggio decisivo: privilegiare la logica di accorpamento intercomunale e di conseguenza il concetto di “metropoli urbana” (e inserire all’interno di questo progetto quello ambizioso e caro al Presidente Sarkozy di Grand Paris). Infine contrastare quella che oramai si è tramuta in una vera e propria patologia della politica francese: il cumulo di mandati con la maggior parte dei deputati contemporaneamente sindaci e presidenti di entità intercomunali.

L’idea di lavorare progressivamente in direzione della soppressione del cantone (l’unità di formazione del dipartimento, cioè la circoscrizione elettorale che serve per l’elezione dei consiglieri generali, i membri cioè del consiglio generale dipartimentale) è stata immediatamente contrastata dalla sinistra nella sua totalità. Su 100 dipartimenti, ad oggi 58 sono controllati dalla sinistra ed è soprattutto grazie all’esistenza dei 4039 cantoni che il PS, ma anche ciò che resta del PCF e dei Verdi, riescono a garantirsi un numero impressionante di eletti locali  e di conseguire quel “contropotere locale” erede della tradizione del “socialismo municipale”. Insomma la sinistra, parte dell’opinione pubblica e dei media (se si eccettua “Le Figaro”, al solito molto governativo, e “Les Echos”) hanno immediatamente gridato al “big bang” delle collettività territoriali e ad una sorta di rivincita di Sarkozy nei confronti dei contropoteri locali.

La verità è molto più sfumata e il Comité Balladur non ha avanzato proposte rivoluzionarie, anzi il pragmatismo è sembrato dominare le sue linee guida. L’accorpamento regionale è stato presentato come auspicabile, ma non obbligatorio. Allo stesso modo non è stato detto nulla di definitivo sulla riduzione di una parte dei 36.700 comuni, anche se il concetto di “intercomunalità” è stata ribadito nella creazione delle 11 “metropoli” (tra cui Lione, Strasburgo, Marsiglia, Tolone, Tolosa, Bordeaux, ecc.) e in quella di Grand Paris che, oltre alla costruzione di una serie di grattacieli avveniristici, dovrebbe condurre all’accorpamento tra l’agglomerato parigino e i dipartimenti di Seine-Saint-Denis, Hauts-de-Seine e Val-de-Marne e soprattutto tramutare la regione parigina nel fulcro dello sviluppo francese nella competizione economica globale. Non si deve dimenticare che Parigi è oggi, con Londra, Tokio e New York considerata dall’OECD una delle quattro “città-mondo”, così definite per la loro capacità di concentrare ricchezza, ricerca e innovazione e che l’Ile-de-France rappresenta il 30% del Pil francese, con il 18% della popolazione.

Ma tra le venti proposte del Comité poco si dice sui cantoni (e dunque sui dipartimenti) e sull’altra grande anomalia del sistema amministrativo francese: il principio di non gerarchia tra le varie collettività territoriali, in netto contrasto con le altre realtà europee (come Germania, Italia, Spagna) che hanno scelto di dare la priorità all’istituto regionale. Infine poco o nulla si è detto sul cumulo dei mandati e sull’approccio giacobino che fino ad oggi ha condotto lo Stato centrale a trasferire compiti alle collettività locali, costringendole a finanziare tutte le nuove competenze. Insomma in un Paese in cui resiste l’unità cantonale introdotta nel 1790, parole come federalismo e sussidiarietà suonano davvero alla stregua dell’insulto o della provocazione.

Con l’opinione pubblica sempre più ostile, una crisi economica ogni giorno più grave e un approccio al tema delle riforme troppo onnicomprensivo (Sarkozy non è riuscito a presentare una gerarchia delle riforme) e, in certi casi, troppo pragmatico (Sarkozy in alcuni ambiti si è fermato al primo ostacolo cercando di comporre piuttosto che andare a fondo con la rupture), il Presidente faticherà a raccogliere i frutti di una riflessione che, se portata alle sue estreme conseguenze, potrebbe stravolgere il volto di un Paese, dal punto di vista amministrativo e territoriale, davvero fermo all’epoca rivoluzionaria.