La Francia ha in serbo novità per le società europee
18 Aprile 2008
Con l’avvicinarsi della presidenza di
turno francese al Consiglio UE, la pubblicità dedicata alle iniziative prossime
venture di Parigi cresce a vista d’occhio. Per la cronaca, il superministro
francese delle Finanze, Christine Lagarde ha già segnalato l’intenzione di
arrivare a una base imponibile comune – “armonizzata” nel linguaggio in codice
dell’Unione – per tutte le società europee.
Nella prospettiva francese, significa che
le società dovrebbero cominciare a determinare la base imponibile: una delle
due determinanti dell’imposta sui redditi delle società %28l’IRES nel caso
dell’Italia) – l’altra è l’aliquota, che si applica alla base imponibile.
Il messaggio che i francesi, di concerto
con i tedeschi, vogliono far passare è il seguente: signori europei, in Europa
siamo in tanti e per i soggetti economici il fatto che ci siano infinite
combinazioni diverse per determinare la base imponibile è solo fonte di confusione.
Per facilitare le cose occorrerebbe “armonizzare”.
Che, di per sé, è un concetto ammantato molto finemente: l’armonia è una cosa
tautologicamente bella, come fare a non augurarsela?
Ebbene, per strano che possa sembrare, le
cose stanno un po’ diversamente.
Chi segue le vicende europee sa infatti
che il verbo “armonizzare” è entrato di prepotenza nel lessico tecnico.
Armonizzare il diritto è diventato vieppiù l’imperativo dominante, e questo
anche a scapito della realtà dei fatti: non di armonizzazione, ma di
omogeneizzazione bella e buona si tratta.
La verità è che Francia e Germania da
tempo sono preoccupate dalla concorrenza – parola molto gradita alle orecchie dei liberomercatisti – che i nuovi Paesi Membri stanno esercitando nei
confronti dei vecchi colossi europei.
Non è un caso, quindi, se ad osteggiare
la base imponibile identica c’è l’Irlanda, che sulla convenienza del proprio
sistema fiscale ha costruito la propria fortuna ed è oggi un polo d’eccellenza
per lo high-tech e l’industria dei fondi comuni europei.
Lo stesso discorso vale per l’Est europeo
e i Paesi baltici, che hanno addirittura avuto il coraggio di introdurre –
ciascuna con le proprie specificità – la tanto discussa flat tax. Il cui
principio – al decrescere delle aliquote aumenta il gettito per le casse dello
Stato – è confortato dall’esperienza diretta di chi ha tradotto in legge gli
insegnamenti dell’economista USA Laffer e delle sua celebre curva a campana.
Sotto un profilo più tecnico, poi, la
base imponibile è importante perché solitamente è da modifiche alla base che,
in varia forma, sono introdotte le agevolazioni fiscali: deduzioni
extracontabili, detassazione di proventi, crediti d’imposta, ecc ecc.
In parole povere, se si cristallizza la
base imponibile diventa molto più difficile per i legislatori degli Stati
membri competere tra loro a colpi di agevolazioni.
Competere diventerebbe più difficile, e a
perderci sarebbero inevitabilmente i contribuenti. Tanto più se, come ricorda
Daniela Schwarzer in un articolo su Eurozone.com, l’”armonizzazione” della base
imponibile è il preludio all’omogeneizzazione delle aliquote.
Armonizzazione? Preferiamo la
concorrenza!