La Gelmini fa bene a metter sotto esame e bocciare (se necessario) l’università

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La Gelmini fa bene a metter sotto esame e bocciare (se necessario) l’università

La Gelmini fa bene a metter sotto esame e bocciare (se necessario) l’università

27 Luglio 2009

Dopo il decreto sui concorsi del novembre scorso, il Ministro Gelmini mette di nuovo mano all’Università. Lo fa col solito stile pragmatico, discreto, senza proclami né velleità di tipo, diciamo così, gentiliano; ma non per questo la sua azione è meno incisiva. Sorteggiare le commissioni di concorso, assegnare una piccola quota del finanziamento ordinario dell’Università in base al merito e alla qualità della didattica, limitare drasticamente il numero dei raggruppamenti disciplinari e istituire l’agenzia di valutazione dell’Università può allarmare i conservatori ad oltranza e lasciare insoddisfatti coloro che, all’opposto, si aspettano riforme radicali del sistema, ma il valore simbolico di questi provvedimenti resta assai significativo. E lo è perché apre comunque una breccia che riavvicina finalmente l’Università alla realtà.

Possiamo permetterci di continuare a finanziare un sistema senza alcun riguardo alla qualità di ciò che produce? Certamente no. E allora ben venga un sistema di valutazione dei risultati per poter allocare le risorse (anche) in base al merito. E’ pensabile che in tempi di congiuntura economica difficilissima un Paese come l’Italia moltiplichi scriteriatamente le sedi universitarie per soddisfare semplici interessi campanilistici? No. E allora molte di queste sedi dovranno essere accorpate o chiuse. E’ giusto che professori che fanno ricerca e didattica di alto livello (sono molti) vengano pagati quanto altri professori (non molti, ma comunque troppi) che non fanno nulla?

Francamente non saprei dire se i provvedimenti varati dal Ministro Gelmini sapranno promuovere i necessari cambiamenti. Molto dipenderà da come verrà fatta funzionare l’agenzia di valutazione, da come reagiranno il corpo docente e gli studenti, da come verrà attuata la prossima riforma della governance universitaria, dai finanziamenti che si metteranno a disposizione (guai a pensare di poter fare con l’Università le nozze coi fichi) e da altro ancora che qui non intendo esaminare (penso in particolare al tema scabroso delle tasse). Mi sembra però che i suddetti provvedimenti indichino quanto meno una strada, rispetto alla quale indietro non si torna e dalla quale si spera traggano vantaggio Università virtuose, studenti e professori meritevoli.

Qualcuno potrebbe dire forse che parole come merito, responsabilità, serietà non appartengono al lessico di un mastodonte, quale sarebbe l’Università italiana, interessato semplicemente a conservare se stesso. Ciò mi sembrerebbe invero un po’ ingeneroso. Ma anche se così fosse, a maggior ragione i provvedimenti del Ministro Gelmini andrebbero appoggiati. Se non altro potrebbero aiutarci a uscire dal pantano, a diventare ciò che adesso non siamo o non siamo abbastanza.

Del resto la posta in gioco è altissima. Ne va davvero del futuro del nostro Paese. La sciatteria con la quale stiamo preparando le celebrazioni del centocinquantesimo dell’unità d’Italia, di cui si parla in questi giorni, ha qualcosa a che fare anche col degrado delle nostre istituzioni formative. E già che ci sono mi permetto di avanzare al Ministro Gelmini una proposta: siccome siamo tutti d’accordo su quanto sia importante che l’Università diventi luogo di contatti scientifici internazionali, colga l’occasione del centocinquantesimo dell’unità d’Italia per istituire una fondazione (può chiamarla “Dante Alighieri”, “Mazzini e Cattaneo” o come peferisce) per assegnare borse di studio a studiosi stranieri che intendono trascorrere un periodo di studio in Italia. Nei miei anni giovanili ho beneficiato di una borsa di studio della prestigiosa “Alexander von Humboldt Stiftung”. Il bene che ne ho ricavato è stato enorme; ricordo che avevo una stanza presso il Geschwister Scholl Institut fuer politische Wissenschaft di Monaco di Baviera, contatti scientifici interessantissimi, soldi per partecipare a convegni e comprare libri e uno stipendio mensile il cui importo, per quanto fossi laureato da poco, era quasi quello di un professore italiano. Ho avuto moltissimo, dunque. Bisogna anche dire, però, che qualcosa di ciò che ho avuto è tornato sicuramente anche in Germania. Ho tradotto e fatto tradurre autori tedeschi; ho invitato e continuo a invitare colleghi tedeschi nella mia Università e in altre istituzioni culturali; continuo a recarmi spesso in Germania; insomma si è istituito un legame scientifico-culturale fortissimo. Ma che cosa ho da offrire io, studioso italiano, a un collega straniero che chiede di venire a studiare in Italia? Praticamente nulla.

Colmiamo questa lacuna, Signor Ministro, e renderemo un grande servizio alla nostra Università, la quale, lo dico per una certa esperienza, si trova oggi a dover dire tanti no a tanta gente che pure verrebbe volentieri a studiare in Italia, e, in più, potremo anche dire che i festeggiamenti per il centocinquantesimo dell’unità d’Italia sono serviti veramente a qualcosa.