La Germania della crisi finanziaria si interroga sui propri errori

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La Germania della crisi finanziaria si interroga sui propri errori

La Germania della crisi finanziaria si interroga sui propri errori

15 Aprile 2009

 

Anche in Germania c’è chi non ci sta, chi non tollera l’arrembante espansione dei pubblici poteri in tempi di vacche magre, chi non sopporta gli aiuti distribuiti gratis et amore alle cosiddette imprese “sistemiche” e, più in generale, chi non si rassegna a rispolverare le antiche formule keynesiane in luogo dei principi sacri dell’economia sociale di mercato.

Il tentativo più vistoso di squarciare il velo del conformismo, sia pure senza strappi estremisti, proviene dal Financial Times-Deutschland, che, avvalendosi della collaborazione con il think tank Initiative Neue Soziale Marktwirtschaft (INSM), ha appena pubblicato un agile libercolo (reperibile a questo indirizzo), il cui proposito principale consiste nell’analizzare in maniera piana e semplice le reali cause della crisi finanziaria in atto.

Il titolo di apertura non lascia spazio a fraintendimenti: “Imparare dalla crisi finanziaria: sei duri colpi all’economia sociale di mercato”. Come premessa va peraltro ricordato che nessuno sa davvero che cosa sia effettivamente l’economia sociale di mercato. Neppure in Germania. Come ricorda Wolfgang Münchau in un suo recente volume sul tema (Das Ende der Sozialen Marktwirtschaft), il concetto si presta alle più disparate e avventurose interpretazioni. Lo stesso Ludwig Erhard, il Cancelliere democristiano artefice del miracolo economico del dopoguerra, scelse questo termine come slogan del suo mandato proprio al fine di creare consenso intorno a sé ed appianare le eventuali resistenze. In realtà per Erhard era l’economia di mercato ad essere di per sé sociale, come egli stesso riconobbe in uno scambio epistolare con Friedrich Von Hayek. Nel corso degli anni, l’economia sociale di mercato, nota al di fuori dei confini tedeschi con la formula di “capitalismo renano”, si sviluppò in maniera completamente diversa dal modello tipico di un’economia di mercato pura e semplice. La legge Volkswagen, il meccanismo della cogestione e il sistema bancario per gran parte in mani pubbliche lo dimostrarono ampiamente. E così la bilancia tra Stato e mercato ha oscillato per cinquant’anni talvolta più verso l’uno, talora più verso l’altro.

Veniamo dunque agli errori.

Primo errore La banca centrale americana, nella persona di Alan Greenspan, propugnò in maniera irresponsabile un abbassamento radicale dei tassi di interesse con lo scopo di sostenere l’economia, ma alimentando così la bolla speculativa e ponendo le basi per la crisi immobiliare. Il non aver tenuto in debito conto i rischi dell’inflazione è dunque la prima e più importante trasgressione dai principi dell’economia sociale di mercato.

Secondo errore Il progetto di ingegneria sociale legato al motto “una casa per tutti” indusse politici americani di qualsivoglia colore, a partire dal presidente Clinton, a puntellare tutte quelle iniziative volte a garantire l’assegnazione di mutui ipotecari anche a persone che in normali condizioni di mercato non sarebbero mai state in grado di riceverli, in quanto senza lavoro o senza reddito.

Il terzo errore è spiegato con le parole dell’ex-capo economista della BCE, Otmar Issing. In un’economia sociale di mercato, le regole del gioco fissate dallo Stato devono essere semplici e chiare. Il rischio con cui ci si confronta attualmente è che molte imprese non paghino il fio dei propri errori, ricevendo generosi salvagenti pubblici. Per quanto riguarda il pacchetto per le banche varato in novembre dal governo di Große-Koalition, Issing usa una certa cautela, ammettendo possibilità di abusi, ma d’altra parte riconoscendo la sua necessità al fine di impedire un deflagrante effetto domino.

Il quarto errore è da ricondurre ai rischi cui sono negligentemente andati incontro i banchieri (tedeschi e non) negli ultimi anni e ai cui eccessi lo Stato non ha contrapposto un’efficace regolamentazione.

 Il quinto errore consiste in stimoli prestazionali errati (bonus, stock options…). Come spiega Ulrich Tielemann, responsabile della cattedra di etica dell’economia dell’università di Sankt Gallen, il meccanismo per cui i manager guadagnavano soltanto se guadagnavano gli azionisti e i risparmiatori si è inceppato. Occorre ridargli credibilità.

Infine, il sesto ed ultimo errore va riferito al comportamento dello Stato, che spesso e volentieri ha preso parte a quello che gli autori del libretto chiamano “Casino-Kapitalismus”.

In Germania le banche regionali pubbliche (le cosiddette Landesbanken) si sono avventurate in pericolosi investimenti speculativi Oltreoceano, rompendo così il tabu che vuole lo Stato-banchiere più avveduto e meno interessato.