La Germania ora cerca di arginare il protagonismo francese
18 Luglio 2008
Siamo convinti che si faccia un grave errore a sottovalutare gli sviluppi della finanza tedesca, ignorandone poi del tutto le ricadute per l’Italia. Perché tanta preoccupazione? Non solo e non tanto perché la nostra economia procede tradizionalmente al traino di quella teutonica, replicandone in varia misura frenate e ripartite.
Per una serie di ricorrenze storiche, dovrebbe per esempio inquietare lo scampanellìo di allarme dei principali indicatori di fiducia (come l’indice ZEW).
Per tacere, poi, delle altalene del DAX, solitamente preludio di tempeste: l’indice di riferimento di Francoforte, nei giorni scorsi è sceso sotto la soglia-guardia dei 6.000 punti (per la prima volta da ottobre del 2006).
La questione di fondo, però, è un’altra ed è geopolitica: se l’economia tedesca è debole, il primo a risentirne è il governo tedesco. Con il che – per essere chiari – il principale contrappeso politico rispetto alla Francia, finora molto attivo in Europa grazie alla regia Merkel, è in difficoltà nella propria azione di contenimento.
Da queste colonne, da settimane, abbiamo puntato gli occhi sull’informazione tedesca e registrato segnali di crescente inquietudine tra i commentatori. In particolare, è forte il disappunto di fronte all’acquisizione della rete tedesca di credito al consumo di Citigroup da parte dei francesi di Credit Mutuel.
Non poca, poi, l’attenzione di fronte al nome di BNP Paribas, che è un contendente alla palma del prezioso bancoposta PostBank, per il quale finora si erano sempre escluse offerte non tedesche. .
Cosa può significare per l’Italia il sincronismo tra debolezza tedesca, di cui peraltro non è dato prevedere la durata, e protagonismo francese? La risposta è che – verosimilmente – questo tipo di scenario non è favorevole al nostro Paese, a perenne rischio di “ascarizzazione” da parte di Parigi.
Qualche nota in più può aiutare a capire. Fin dalla fine della Guerra Fredda, la Francia (governo Mitterrand), preso atto dell’inevitabile riemergere della Germania, scelse di bilanciarne l’ascesa.
Secondo questa chiave di lettura, si spiegano in specie almeno due circostanze storiche cruciali: (i) le pressioni su Berlino per rinunciare al marco, cioè al suo principale fattore di potenza; (ii) l’idea francesissima di un “blocco euromediterraneo” con Italia e Spagna. La prima iniziativa, come noto, ebbe successo. La seconda, varata sotto l’insegna dell’Unione Mediterranea di Sarkozy, è appena nata. Al di là dei titoloni entusiastici di rito, non mancano critiche aperte al progetto.
In un editoriale del Sole 24 Ore on line (“La sede per il dialogo mediterraneo è Bruxelles e non l’Eliseo”), Carlo Bastasin chiosa energicamente: “per essere credibile, dopo aver meritoriamente lanciato l’iniziativa, Sarkozy dovrebbe riconoscere ora che la sede naturale del dialogo mediterraneo è l’Unione europea e non l’Eliseo”.
Non a caso, sul progetto francese, in extremis, si è buttata anche la Germania, Paese extramediterraneo per definizione. Il presupposto, evidente, è stato infatti di tipo strategico: la mancata partecipazione all’Unione sarebbe stata una cessione di sovranità a Parigi. E noi siamo d’accordo: l’interesse italiano è quello di ingaggiare tutta l’Unione europea, Germania in primis, per la sicurezza del Mediterraneo.
Al tempo stesso, rimane fondamentale mantenere un rapporto privilegiato con Washington, senza farsi disimpegnare da Parigi.