La giovane Mirta e il suo tormentato matrimonio con Fidel Castro
11 Ottobre 2009
Without Fidel, a Death Foretold in Miami, Havana, and Washington, “Senza Fidel, una Morte Annunciata a Miami, a L’Avana e a Washington”, è il titolo dell’ultimo libro appena uscito di Ann Louise Bardach: una cubanologa con buone entrature nell’isola, e già autrice di un altro libro molto informato e anche pettegolo su Cuba confidenziale: Amore e Vendetta a Miami e all’Avana. Epicentro di quell’altro libro era la faida in stile telenovela tra i Castro e i Díaz-Balart. Mirta Francisca de la Caridad Díaz-Balart y Gutiérrez, figlia di un pezzo grosso del regime di Batista, sposò nel 1948 a vent’anni Fidel Castro, dandogli l’anno dopo il primogenito Fidel Castro Díaz-Balart, “Fidelito”.
Ma lui la riempì di corna, lei si allontanò sempre più dalle sue scelte politiche, e pur sfruttando quella parentela per limitare il massimo i danni giudiziari dopo il disastro dell’assalto alla caserma Moncada il futuro líder máximo finì infine per divorziare nel 1955: quando dall’esilio in Messico stava preparando la spedizione del Granma. Oltretutto, ci fu pure un litigio per la custodia del figlio, che secondo alcuni analisti spiegherebbe il particolare accanimento di Fidel sul famoso caso Elián. Comunque alla fine il bambino fu affidato a lui: per essere formato come ingegnere nucleare in Unione Sovietica, divenire tra 1980 e 1992 presidente della Commissione Energia Nucleare di Cuba, ed essere peraltro poi rimosso per manifesta incapacità.
Mirta invece si risposò con il figlio di un altro pezzo grosso della nomenclatura batistiana, per poi andare in esilio dopo la Rivoluzione. E in esilio andò anche suo fratello Rafael Lincoln Díaz-Balart y Gutiérrez: che da deputato aveva parlato contro la concessione dell’amnistia al cognato, e che era stato capogruppo parlamentare del partito batistiano, ministro dell’Interno e senatore. Fondatore del primo gruppo anticastrista già dal gennaio del 1959, i suoi due figli, cugini di primo grado di Fidelito, sono Lincoln e Mario Díaz-Balart. Membri repubblicani della Camera dei Rappresentanti di Washington per la Florida, e da sempre capofila dell’ala del Congresso più oltranzista contro il regime dello zio. In margine alla cronistoria di questa faida familiare, c’era poi qualche retroscena sull’ostilità tra Castro e la famiglia Bush: importante azionista di una società zuccheriera espropriata dalla Rivoluzione.
Anche questo libro parla diffusamente di Mirta, che dal 2002 è tornata a vivere a Cuba per stare accanto a Fidelito, e che dopo la malattia che lo ha obbligato a lasciare il potere ha iniziato anche a visitare di frequente l’ex-marito. Appunto, sono i particolari che dà sullo stato di salute di Fidel a dare una chiave importante su quanto sta accadendo. Secondo lei, infatti, il dittatore in principio avrebbe rischiato di morire, pur di rifiutare di sottoporsi a una colonscopia che lo avrebbe costretto a portare un sacchetto anale per tutto il resto della vita. Poi si è rassegnato, ma dopo l’operazione avrebbe pianto a dirotto. E per questo da allora ha dovuto cedere il potere al fratello: rassegnandosi a ricevere gli ospiti in pigiama ed ha fare analisi e lanciare direttive con i suoi articoli, tra una tenda a ossigeno e l’altra. Star bene, ormai lo starebbe abbastanza, considerata l’età e i trascorsi clinici; la lucidità è nella media di una vita che è sempre stata vissuta comunque tra una ricerca del pericolo quasi dannunziana e un egocentrismo sfrenato; ma quella condizione gli impedisce ormai di tornare a esibirsi da supermacho alla tribuna.
Una condizione, insomma, che darebbe ragione del limbo in cui si trova in questo momento Cuba: tra le continue sterzate che la realtà impone a Raúl; e le continue frenate con cui Fidel intende forse soprattutto rispondere al bisogno esistenziale di sentirsi ancora padrone della situazione. Eppure, nell’isola qualcosa si sta muovendo. Giovedì scorso, ad esempio, quattro ministeri hanno iniziato a sperimentare una chiusura dei comedores obreros che dovrebbe in breve diventare totale. Create a partire dal 1963, queste mense popolari erano arrivate a un totale di 24.700 e facevano mangiare ogni giorno almeno 3,5 degli 11,2 milioni di cubani, ma solo nel 2008 erano costate 350 milioni di dollari in alimenti, senza contare infrastrutture e servizio, e gli sprechi erano stati quantificati in almeno 35 milioni. I dipendenti dei quattro ministeri per mangiare avranno ora a disposizione un buono da 15 pesos al giorno: 60 centesimi di dollaro, nel contesto di un Paese dove il salario mensile medio è attorno ai 17 dollari.
Un’altra importante riforma economia è quella agraria: 1,7 milioni di ettari di terra pubblica finora improduttiva che stanno venendo offerti in affitto a contadini privati, mettendoli in condizione di diventare coltivatori diretti, anche con l’ulteriore permesso ad assumere braccianti. Finora 86.000 domande sono già state approvate, ma varie altre decine di migliaia di cittadini stanno facendo la coda. Il particolare che i contadini privati oggi posseggano un terzo delle terre ma producano i due terzi dei raccolti basta da solo a spiegare il perché mezzo secolo di collettivismo agricolo abbia reso importatrice di generi alimentari un’isola che in passato era il regno dello zucchero e della carne. La speranza è che il ritorno a un minimo di impresa possa invertire la tendenza.
Importante è anche la concessione della libertà di accesso a Internet, che però è avvenuta di soppiatto: nessun pubblico annuncio, nessuna notizia sui giornali. Semplicemente, due mesi fa il Ministro dell’Informatica Ramiro Valdés ha autorizzato le Poste a installare cibercafè nelle sue succursali: finora nessun ufficio postale ha ancora provveduto, è vero; però nell’attesa è stato revocato il divieto di accedere alla Rete dagli hotel e centri di comunicazione per stranieri, e così in questo momento i cubani possono accedere liberamente a tutta la stampa mondiale: compresa quella anticastrista di Miami.
Anche se la maggior parte di loro non lo sa ancora, e se i 7-12 dollari ogni ora di navigazione che costa una tessera prepagata, il prezzo varia a seconda del livello dell’hotel, equivalgono a da un terzo ai due terzi di uno stipendio mensile. Anzi: dal momento che non essendoci più il divieto di Internet le ambasciate dell’Unione Europea hanno smesso di fornire la connessione gratis ai dissidenti, per questi ultimi la situazione è perfino peggiorata. Ma i blogger alla Yoani Sánchez, nuova generazione dell’opposizione, dicono comunque che è meglio così.
C’è infine da segnalare Juventud Rebelde, organo ufficiale della Unión de Jóvenes Comunistas de Cuba. Da un po’ di tempo a questa parte ha iniziato a pubblicare articoli in cui attacca la censura, critica la “verticalità sociale”, e chiede di “cambiare tutto ciò che deve essere cambiato”. Ancora non si è spinto ai livelli con cui a fine anni ’80 i movimenti giovanili comunisti di Paesi come l’Ungheria o la Slovenia nell’Europa Orientale fecero da battistrada alle rivoluzioni di velluto. Però, il anche lì iniziò in questo modo.