La Grande Guerra e gli intellettuali italiani

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La Grande Guerra e gli intellettuali italiani

La Grande Guerra e gli intellettuali italiani

18 Novembre 2007

Quasi vent’anni fa, e precisamente nel 1989, veniva
pubblicato per la prima volta Il mito
della Grande Guerra
di Mario Isnenghi con l’editore Laterza: un libro
importante per molti aspetti nella storia culturale italiana. Ora ne viene
pubblicata la sesta edizione dal Mulino: ne siamo lieti perché, finalmente,
quando consiglieremo a uno studente di leggerselo, non ci sentiremo in colpa
per la fatica che dovrà fare a procurarselo. Nel frattempo l’autore ha
pubblicato altre opere, ma nessuna della stessa importanza di questa. Vediamo
di capire perché.

Il mito della grande
guerra
affrontava un tema di grande peso non esplorato fino a quel momento
in modo sistematico dalla storiografia del nostro paese: come aveva reagito il
mondo della cultura italiana alla prima guerra mondiale? Il metodo di ricerca
di Isnenghi si basava su una attenta lettura e interpretazione dei testi, molti
dei quali romanzi, che i maggiori intellettuali avevano prodotto su
quell’evento: talvolta semplicemente per narrare le vicende belliche e la loro
partecipazione a esse, talvolta per spiegare (prima di tutto a se stessi) le
ragioni della loro partecipazione a quel grande evento, talvolta infine per
trasfigurare nella fantasia le vicende trascorse. I vari Boine, Borgese,
Marinetti, Soffici, Serra, e ancora D’Annunzio, Lussu, Prezzolini, Malaparte,
Giuliotti, Papini, Gadda, Jahier venivano nelle sue pagine letti in modo
cristallino, le loro opzioni interpretate in modo perspicuo, le loro scelte
contestualizzate nel percorso non solo ideologico ma con le grandi opzioni di
civiltà nelle quali credevano.

Ne era derivato un libro che si leggeva con piacere, e che
al tempo stesso affrontava un tema di grande rilievo. Se era vero, infatti, che
il fascismo era nato nella guerra e dalle ceneri della guerra, affrontare
l’atteggiamento degli intellettuali in quella occasione significava esaminare
da vicino il terreno di coltura di quell’importantissimo fenomeno politico: quel
misto di insoddisfazione e orgoglio, di accettazione e ribellione verso la
società borghese che il conflitto e la chiusura del conflitto avevano rivelato.

L’aspetto che più colpiva in questo lavoro era proprio il
tasso di disaffezione per la società italiana fra gli intellettuali dei primi
anni del Novecento (altissimo), lo scollamento fra le istituzioni liberali e
l’energia intellettuale del paese (massimo), il discredito per le élites al
potere (diffuso), la disistima della democrazia (molto forte da destra e da
sinistra). Le conseguenze di quelle posizioni non erano omogenee: c’era chi
rifiutava tutto il mondo borghese per tuffarsi in una arcadia contadina sincera
e primitiva, c’era chi ipotizzava ritorni all’ordine in una società organica e
gerarchizzata, e c’era infine chi sopra tutto desiderava ardentemente la fine
della stasi, del pantano, del trasformismo parlamentare e dell’affarismo che
gli sembravano rappresentare tutta la struttura istituzionale italiana. Tutti
quelli che la pensavano in questo modo videro nella guerra l’occasione – e l’occasione
che non poteva essere perduta – di unirsi al popolo che gli intellettuali
volevano conoscere ma non conoscevano, di provare l’amore e la dedizione per la
patria, di uscire dai loro ruoli tranquilli e sicuri, di provare un brivido,
un’emozione collettiva, di rivoltare la società (che, pensavano, non sarebbe
mai più stata la stessa dopo quell’evento), di superare le loro limitate
possibilità individuali. Ci si chiede come potessero tenere le istituzioni in
un paese i cui intellettuali provavano una tale avversione per il funzionamento
e le finalità delle istituzioni liberali, e per conseguenza ci si spiega meglio
la facilità con cui il fascismo arrivò al potere.

Forse un limite di questo lavoro stava proprio nel dare poco
o nessuno spazio ai pacifisti, ai non-interventisti: questi, maggioritari nel
paese, non si percepiscono neppure per contrasto con gli interventisti e con
coloro che parteciparono effettivamente alla guerra. Il panorama culturale dell’Italia
di quegli anni – probabilmente troppo influenzato dagli eventi che vi fecero
seguito – è effettivamente molto schiacciato su una sola parte dello
schieramento. E’ vero che i socialisti si divisero, che i pacifisti non
riuscirono a essere efficaci, che l’appoggio alla partecipazione alla guerra
travolse gli oppositori: ma non corrisponde affatto al vero l’immagine di un
paese in preda all’ebbrezza bellica. Resta vero tuttavia che quella parte,
avida di riscatti e ricongiungimenti con il popolo vero oltre e contro le
istituzioni, rappresentava l’area più significativa: quella che doveva essere
indagata.

Di rilievo era il metodo scelto da Isnenghi per affrontare
il suo tema: un incrocio fra la classica storia degli intellettuali e la storia
delle mentalità che era arrivata all’epoca anche in Italia, con una attenzione
particolare a due temi che sarebbero venuti in auge in anni immediatamente
successivi: quello dell’identità, e in particolare dell’identità italiana, e
quello della memoria. Era importante la sua scelta di lavorare su opere di
fiction senza schiacciarle come fa talvolta la sociologia della letteratura
quando si comporta in modo determinista, ma considerandole tuttavia come fonti
della storia.

In qualche modo è purtroppo un libro che ha fatto scuola.
Diciamo purtroppo perché non solo negli anni successivi il tema della Grande
Guerra è stato affrontato utilmente da più parti dissodando un terreno di
ricerca ricco e diversificato, ma perché il tema della guerra, della memoria,
dell’identità (non solo italiana) sono diventati così presenti da trasformarsi
prima in una moda e ben presto nel prezzemolo che accompagna ogni pietanza. Colpisce
quello che confessava Isnenghi nella Avvertenza per l’edizione del 1997: “I
libri scritti da giovani, se durano, accompagnano tutta la vita di uno
studioso; e dell’uomo con lo studioso.” Il nostro augurio è che gli editori
italiani scoprano gli altri libri che sono “durati” e che hanno accompagnato i
loro autori e noi lettori per tutta la vita.

M. Isnenghi, Il mito
della Grande Guerra
, Il Mulino, 2007, pp. 450, 25 euro