La guerra civile siriana ha almeno il merito di rinsaldare il fronte anti-Iran

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La guerra civile siriana ha almeno il merito di rinsaldare il fronte anti-Iran

25 Febbraio 2012

Quello che sta succedendo in Siria ha ripercussioni immediate in tutta l’area, coinvolgendo un arco di paesi notevole. La Siria infatti è il crocevia per lo meno di tre assi politico religiosi e geografici: quello tra sciti e sunniti, tra Iran- Iraq- Siria e Libano, tra Israele e mondo musulmano. Il rischio di una sua esplosione, mette in discussione, senza nessun ammortizzatore, il precarissimo ordine dell’area.

Quello che è certo, è che sta emergendo un asse in opposizione all’Iran (per l’attività terroristica di Teheran si veda il seguente report); questa linea di rottura comporta anche l’opposizione tra sciti e sunniti vista la consequenzialità che vi è nel mondo mussulmano tra religione e politica. E’ anche chiaro che l’alleanza anti iraniana non è qualcosa di omogeneo, infatti essa contiene per lo meno tre gruppi che a loro volta si suddividono in altri attori: paesi arabi, con in testa l’Arabia, preoccupati dalla corsa egemonica degli ayatollah, la Turchia il paese più autorevole e potente sul piano militare, politico ed economico (ma non arabo!), i fondamentalisti armati – in testa Al Qaida e i salafiti – alla ricerca sempre di nuovi nidi e fronti; vari stati occidentali, in testa Stati Uniti e Francia, entrambi in campagna elettorale, con ognuno un gioco tutto loro.

La Francia sempre alla ricerca del ruolo di leader europeo, della perduta grandeur fuori casa (si veda il caso Libia) dato il predominio tedesco nel Vecchio continente, il braccio armato della Nato nel Mediterraneo; infine gli Stati Uniti con alcune idee ben chiare: bloccare l’Iran e la sua corsa al nucleare, pagare la cambiale all’Arabia Saudita, togliere di mezzo Assad. Come ha già riportato la stampa italiana, gli USA non prendono in considerazione nessun intervento diretto, perchè la Siria è comunque uno stato super armato che richiederebbe un impegno enorme, per esempio gli stati maggiori americani stimano che per mettere in sicurezza e neutralizzare i siti di armi chimiche sarebbero necessari ben 75.000 uomini.

Il fatto è che da questo caos non si capisca che ordine possa riuscire – certamente non certo la democrazia di twitter – sembra non solo importare a qualcuno, ma anche non dispiacere. E intanto la paura nella zona cresce.

La Giordania (fonte le Figaro) ha iniziato a riarmarsi e dotarsi di missili antiarei comprati dalla Germania (quindi con permesso americano); le quattro batterie Patrol saranno dislocate proprio al confine nord, quello con la Siria, e serviranno da scudo anche in caso di attacchi ad Israele; in pratica costituiscono un avan posto di Tel Aviv contro eventuali lanci di missili Scud M-600 da parte del regime di Damasco. In Giordania, dall’inizio delle proteste hanno già trovato rifugio duemila cittadini siriani e ben centocinquanta soldati dell’esercito di Assad. Come ha affermato uno dei cugini del presidente siriano, Rami Makhlouf, “all’inizio della rivolta i vertici del regime hanno dichiato che il conflitto avrebbe potuto diffondersi al di là dei confini, se Damasco si fosse sentita minacciata: se non c’è stabilità qui non ci sarà nemmeno a Gerusalemme. Nessuno può garantire che cosa succederà; non costringete Assad a compiere gesti estremi”.

Intanto nel caos, Al Qaida gioca in casa e le bombe a firma dello”Stato Islamico dell’Iraq” sono ricominciate ad esplodere a Baghdad (ben 50 morti)per vendicare i martiri sunniti torturati e uccisi dall’attuale regime iracheno.  Al Qaida con in testa lo sceicco Ayman al-Zawahiri ha siglato un’alleanza con il gruppo somalo al-Shabaab, proprio all’indomani dell’incontro a Londra dei paesi occidentali in appoggio al Governo provvisorio somalo e alla Missione dell’Unione africana, costringendo a rivedere, al rialzo, gli aiuti dedicati a quel paese che gioca un ruolo chiave nella pirateria internazionale. Per capire il personaggio al- Zawahiri e qualcosa sulla mentalità dei fondamentalisti, si legga questa intervista dove si capisce che la parola “terrorista” non rende l’idea né della logica, né della mentalità.