La Lega punta su Milano per cambiare la sua immagine nazionale

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La Lega punta su Milano per cambiare la sua immagine nazionale

30 Giugno 2008

Le mosse della Lega intorno all’Expo di Milano 2015 meritano una certa attenzione anche perché aiutano a capire quale è il ruolo politico che il movimento di Umberto Bossi vuole esercitare più in generale. Un momento ci si schiera con Roberto Formigoni con cui pure si vuole costruire un buon rapporto in vista di un possibile “cambio” al Pirellone. E in questo senso si propone un sistema di guida duale dell’Expo: una parte esecutiva più morattiana e una di programmazione e controllo che faccia più riferimento alla Regione.

Un momento dopo Bossi in persona incontra Letizia Moratti, con cui ha da sempre un rapporto affettuoso, in via Bellerio, e la campana leghista sembra suonare più per il sindaco di Milano, anche con una sottolineatura del ruolo di Roberto Castelli, in qualità di sottosegretario alle Infrastrutture (i patti erano che sarebbe diventato viceministro ma poi si è rimandata la scelta) nel coordinamento delle opere pubbliche al Nord.

Il problema non sono le singole mosse, ma il senso generale di queste, l’immagine che si vuole trasmettere. Al centro dell’iniziativa politica pare esserci la volontà di trasmettere un’idea della Lega come forza tranquilla, capace di far decidere un centrodestra spesso litigioso al proprio interno.

C’è chi sostiene che in questo posizionamento leghista tutto sommato nuovo – un tempo si affidava ad altri la funzione della mediazione continua – vi sia anche la perfetta armonia con Giulio Tremonti e la funzione di guida che questi ha assunto nel governo Berlusconi.

Quale che sia l’elemento decisivo nel determinare questo orientamento, è certo che la Lega punta oggi molte carte sulla coesione e così Roberto Maroni si sbraccia per Roma e Napoli. Mentre Bossi fa il saggio, cerca di ricucire con Walter Veltroni, loda Giorgio Napolitano, si accoda al Trattato di Lisbona e invita a tenere sempre i toni bassi.

Naturalmente non si è in presenza di un movimento che vive solo di santità, anche nelle mosse sull’Expo si leggono ricerche di posizione di potere: si diceva di quelle per il ruolo di Castelli. Nel complesso gioco, poi, sulla futura esposizione una delle partite che si verranno ad aprire è quella della Fiera di Milano dove il movimento nordista cerca più spazio. Infine tutta la partita Expo ha una diretta influenza sulla crescita e il ruolo della Sea, società di gestione degli areoporti di Linate e Malpensa, dove comanda un fedelissimo di Bossi, Giuseppe Bonomi (senza il parere del quale la Moratti non fa una dichiarazione su Malpensa e dintorni).

Bonomi ha avuto un lungo percorso tra politica e amministrazione, arrivando a essere perfino in un certo periodo presidente di Alitalia, con alterne fortune. Ma sempre con un rapporto stretto con Bossi: d’altra parte il ruolo che ha avuto di tesoriere della Lega non era possibile senza una fiducia reciproca assoluta. Ora con la Sea è tornato sugli altari con grande gioia di Bossi che spinge per farlo crescere ancora di più.

Dopo avere ricordato con questi esempi che Bossi è tutto tranne che un profeta disarmato, restano però alcuni dubbi sui suoi comportamenti. In tutte le mosse che abbiamo analizzato si coglie un certo gioco nazionale non però una precisa strategia per esercitare non una mediazione ma un’egemonia su Milano o sulla Lombardia. Sulla città della Madoninna si può dire che la disastrosa esperienza fatta con il sindaco leghista Marco Formentini (il dormiglione) ha spento velleità di conquista di una metropoli ancora troppo complicata per un movimento che ha una cultura politica assai semplificata. Fa riflettere maggiormente il fatto che i bossiani sembrano quasi avere rinunciato a seri tentativi di conquista della presidenza della Regione, tentativi che pure potevano avere successo, e che alla fine non esprimano una strategia di lungo periodo su questo obiettivo. Qualche commentatore malizioso pensa che Bossi consideri un presidente della Lombardia (ma forse anche del Veneto) un’incognita troppo rischiosa per un movimento così nettamente leaderistico.