La libertà nell’era del dominio della tecnica (di M. Saccone)

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La libertà nell’era del dominio della tecnica (di M. Saccone)

24 Agosto 2021

A mezzogiorno il sole picchia forte sui prati del passo Gardena, l’ultimo, il più duro dei quattro che circondano il gruppo del Sella, uno spettacolo unico al mondo nella luce d’agosto. 

Ansimo, la bicicletta sembra sempre più pesante, l’aria è fredda, la maglia ormai fradicia, la borraccia vuota, come le gambe. I polmoni bruciano, il cuore ridotto a singhiozzi e la testa erratica, persa com’è nell’estasi della fatica. 

D’un tratto, alle mie spalle, un ronzio sommesso si fa sempre più vicino e in un attimo mi affianca quello che, con stupore, riconosco essere un ciclista. Un signore tedesco sulla settantina, baffuto e sorridente, risucchiato nella sua tutina multicolor: “grüß gott” tuona soddisfatto, e scivola via, senza sforzo.

Mi lascia di stucco, ferito nel mio orgoglio di amatore esaurito, senza armi con cui rispondere all’affronto: è una maledetta bicicletta elettrica, una delle migliaia che in questi giorni brulicano per queste strade di montagna, un tempo impervie e per i più irraggiungibili. Un’altra di quelle diavolerie moderne che sta distruggendo il mito delle scalate impossibili, che appiattisce i sentieri impraticabili, doping meccanico per muscoli rammolliti, 500 watt di pura potenza meccanica gratuita. 

Io che metto la libertà davanti ad ogni cosa, che ho profonda fiducia nelle capacità dell’uomo, nel progresso, nell’innovazione e nella scienza, mi ritrovo contrariato, e non è solo un rigurgito di testosterone per l’affronto subito, ma un malessere istintivo, come se intuissi qualcosa di sbagliato, quasi immorale. Credo che Gunther Anders si riferisse proprio a questo quando parlò di “dislivello prometeico”, descrivendo l’asimmetria tra la nostra possibilità di comprensione e la capacità di produzione della tecnica.

Siamo sicuri che questa potenza tecnica sia davvero gratuita? Oppure ha un costo nascosto?  

I fatti tecnologici sfuggono spesso alla comprensione individuale, perché non sono direttamente collegati alle categorie del pensiero umano: come si può pensare di scalare lo Stelvio senza aver fatto nemmeno un’ora di allenamento? O di poter partecipare al Tour de France senza avere un briciolo di talento? Non è umano, non ha senso. Ma allora il senso dove è andato a finire? La tecnica cancella i limiti, ma senza limiti non siamo più in grado di attribuire un senso. Commetteremmo un errore enorme se pensassimo che tecnica e progresso coincidano: la tecnica, di per sé, non fa che autoalimentarsi all’infinito, mera esecutrice di una volontà di potenza estranea.

Prima che la tecnica dominasse il mondo, i limiti erano affare umano, l’orizzonte verso cui navigare muniti di talento, sacrificio, dedizione, tenacia, curiosità, immaginazione e un poco di follia. Questo viaggio umano e sociale forniva un senso, i greci direbbero un’etica che orientava il progresso. Oggi è la tecnica che stabilisce il senso e l’unico senso che è in grado di attribuire è la propria efficienza. Il resto non conta. L’uomo non è più produttore di senso, costruttore di progresso. Questo è il prezzo che paghiamo: la libertà di decidere del nostro destino.