La linea di coerenza che dall’elezione di Papa Benedetto porta a Durban II

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La linea di coerenza che dall’elezione di Papa Benedetto porta a Durban II

21 Aprile 2009

Nel superare la soglia del suo quinto anno di pontificato, Benedetto XVI è in affanno o procede con sicurezza? E’ contestato e talvolta “solo”, oppure ha in mano la situazione e guida la Chiesa secondo i suoi progetti? La stampa dà interpretazioni diverse, ma spesso nel fare queste valutazioni dimentica cosa sia la Chiesa per i cristiani.

Proprio in questi giorni, il vescovo Silvano Tomasi, Osservatore della Santa Sede a Ginevra, ha deciso di confermare la sua presenza alla tanto contestata “Durban II”, la conferenza Onu di revisione sul razzismo. Domenica mattina, all’angelus, il papa aveva espresso le speranze riposte in questa conferenza internazionale. Sembra una separazione dall’Occidente, dato che alcuni paesi occidentali avevano deciso di non partecipare – e tra essi anche Stati Uniti ed Italia – e propri ieri, dopo l’intervento del presidente iraniano, i delegati dell’Unione europea hanno abbandonato l’aula. Errore politico, quello della Santa Sede? 

Anche il passaggio con i Lefebvriani aveva sulla carta tutte le caratteristiche dell’errore politico e la Lettera ai vescovi con cui il papa in seguito ha chiarito la questione, quasi giustificandosi, poteva benissimo sembrare la correzione di un errore di governo.

Inoltre è di qualche giorno fa la polemica con il Parlamento belga, che ha approvato una mozione di contestazione delle tesi espresse da Benedetto XVI sull’utilità del preservativo nella lotta all’Aids, cui è seguita una piccata precisazione della Santa Sede. Il fatto è solo la punta dell’iceberg di una contestazione scoppiata subito dopo le parole pronunciate dal papa sull’aereo che lo avrebbe portato in Africa.

Prima ancora era divampata la polemica con gli Ebrei, dato che alcuni rabbini italiani contestavano al papa di non credere nel dialogo interreligioso e di averlo di fatto bloccato, dato che nella prefazione del libro di Marcello Pera aveva scritto che il dialogo teologico è impossibile, ma può vertere solo sulle conseguenze culturali ed etiche delle diverse fedi.

In tutti questi “casi”, l’opinionista troverebbe elementi per decretare una certa difficoltà di governo di questo pontefice: atti maldestri, politicamente scorretti, scarsamente previsionali delle conseguenze politiche. Un capo di Stato che si isolasse dai maggiori paesi occidentali, che facesse un passo avanti ed uno indietro nei confronti degli avversari, che esprimesse ai giornalisti affermazioni taglienti su questioni ritenute intoccabili dalla cultura dominante, che, infine, mettesse in dubbio il dialogo quando del dialogo la nostra cultura, che tutto riduce a talk show, fa il proprio totem, un capo di Stato di questo genere verrebbe almeno accusato di inesperienza e superficialità.

Ma per il papa è così? Questi criteri valgono anche per lui? La gente semplice – che non sa di teologia ma “sente” le cose e questo è il suo modo di “capirle” – dice di apprezzare questo papa perché si sente che quando parla dice la verità. Prima ancora di apprezzare la sua intelligenza – che pure è una delle qualità più universalmente riconosciute di papa Ratzinger – la gente, di solito, gli riconosce la libertà di giudizio, improntata prima di tutto alla verità delle cose in ordine alla sua missione evangelica. Gli opinionisti, invece, spesso non distinguono tra la politica della Santa Sede e quella di un qualsiasi altro stato, tra le parole del papa e quelle di un qualsiasi capo di governo. Legittime le contestazioni politiche a Ginevra, legittime e anche doverose le assenze. Ma legittima anche la presenza della Santa Sede che alle considerazioni politiche antepone quelle etiche ed umanitarie e non dispera mai nella possibilità di dialogo tra le nazioni. E così dicasi per tutti gli altri casi visti sopra. La non sufficienza e perfino la dannosità del preservativo nella lotta all’Aids è una semplice verità, contestabile sul piano ideologico e culturale, ma no su quello fattuale.

A volgere lo sguardo indietro, a questi quattro anni di pontificato appena compiuti, si nota che questa è stata sempre la linea di Benedetto XVI, a cominciare da quando nel dicembre 2005 precisò il rapporto con il Concilio, a quando nel settembre 2006 parlò a Regensburg, dicendo che ciò che è contro la ragione non può venire dal vero Dio, a quando, di recente, davanti agli Africani ha condannato le loro culture superstiziose e magiche e le loro lotte tribali ed etniche. Questo papa ha puntato sulla Verità, sulla Parola e non sull’immagine, sul dire, con umiltà e amorevolezza, le cose che contano, rischiando che giornalisti e politici le interpretino secondo copione.