La macchina parlante. Barack Obama e l’ascesa delle illusioni

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La macchina parlante. Barack Obama e l’ascesa delle illusioni

04 Agosto 2010

Il 14 dicembre 2007 usciva sugli schermi americani “I Am Legend”, interpretato da Will Smith. La storia è sin troppo nota: un nero, in compagnia di un cane, nella New York spopolata a causa di un’epidemia, è l’ultima speranza di salvezza per la specie umana. Il film ebbe un successo grandioso, e neppure un anno dopo Barack Obama vinse le elezioni presidenziali a valanga. Lo schermo aveva anticipato (volontariamente o involontariamente è materia sulla quale si può discutere) l’incubo e la fiducia nel «salvatore» da parte degli americani. Lo stesso era successo quattro anni prima. Il 25 febbraio 2004 era uscito, preceduto da una coda velenosa di polemiche, “The Passion of the Christ” di Mel Gibson. Il 2 novembre dello stesso anno George Bush vinse a valanga le presidenziali. Gli americani inchiodati alla croce delle Torri Gemelle affidavano le proprie speranze di redenzione ad un altro «salvatore». Ma torniamo a Barack Obama. Chi è veramente il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti?

I giudizi sono davvero difformi. Le interpretazioni oscillano, come un  pendolo impazzito: è un santo! Macché: è l’Anticristo! Karl Rove ha deciso di tornare in politica proprio per metterlo fuori combattimento alle elezioni di medio termine del prossimo novembre, convinto che stia facendo danni gravi. Robert Kagan lo accusa di favorire il declino americano e di non saper più difendere la libertà nello scacchiere intrenazionale. Giudizio di conservatori, certo. Dall’altro lato Oprah Winfrey continua a giurare ovunque sui suoi poteri taumaturgici. E se restringiamo il campo alla pubblicistica di casa nostra, sul bancone delle librerie possiamo trovare una serie di ritratti più che favorevoli, talvolta osannanti. Insomma, è chiaro. A chi piace è il bene, e chi non piace il male.

Fortunatamente è arrivato fresco di stampa un agile e prezioso saggio, scritto da due giovani, preparati e simpatici giornalisti: Martino Cervo (in prima fila nella quotidiana confezione di “Libero”) e Mattia Ferraresi (corrispondente del “Foglio” negli Stati Uniti). Il titolo del saggio è “Obama, l’irresistibile ascesa di un’illusione” (128 pagine, 10 euro), pubblicato da Rubbettino, grazie al fiuto di un editor anche lui giovane ma dalle lunghe vedute, Maurizio Serio. Questa fatica intellettuale (sarebbe troppo riduttivo considerarla solo giornalismo) ci libera d’un colpo di Severgnini e del severgninismo, di Riotta e del riottismo, di Zucconi e del zucconismo. Detta con altre parole è il salutare rimedio alla sapienza del corrispondente (e sociologo, e antropologo, e estetologo, e cartomante)  liberal e di sinistra che dell’America sa tutto, ma proprio tutto, pur se difficilmente ne azzecca una, confondendo i propri convincimenti (politici) con la realtà.

Diciamolo subito: a Cervo e Ferraresi Obama non piace. Però non cadono nell’errore della demonizzazione. Ai loro occhi Obama non è l’Anticristo, o il «padrone del mondo». Anche se gli somiglia. Il fascino che emana il protagonista del romanzo di Robert Hugh Benson, scritto nel 1907, è lo stesso di Obama. A chiacchiere non lo frega nessuno. Quindi attenti a credere che presto sarà disarcionato dalla marea nera della Louisiana, dall’economica scricchiolante, dalla tante promesse fatte e non mantenute. Hillary Clinton, in un momento acuto dello scontro alle primarie, disse: «quando ci sarà lui anche l’aria che respireremo sarà più pulita». Prometteva tutto. E continua a farlo, firmando con sicurezza un po’ goffa (usa la mano sinistra) ma con regale solennità carte e carte, impegni su impegni. E ogni tanto si scalda, minacciando calci nel fondoschiena. Poi nulla. Cambia argomento.

Obama è una macchina parlante. Quindi un ciarlatano? Non scherziamo. Cervo e Farraresi lo spiegano bene. È un perfetto interprete della democrazia svuotata di significato, basata sul carisma, sulla iperbole azzeccata, sul vestito indossato con disinvoltura. Che Hillary avrebbe perso con Obama, inaspettatamente, divenne palese quando la moglie di Bill iniziò a salire saltellando la scala della tribuna per il comizio. Obama si muoveva come un rapper: la povera Hillary come l’orso ballerino. Promesse, infinite, e sicurezza illimitata di rappresentare il bene. Obama è convinto che la sua sola presenza rappresenti innovazione e positività. Questo punto il libro di Cervo e Ferraresi lo chiarisce senza margine di dubbio. Il fenomeno Obama sarebbe stato definito da Antonio Rosmini (e certamente da Augusto Del Noce) un esempio di «perfettismo». Il condottiero nero ha rappresentato per i media americani l’arcangelo del progresso, mentre il rovescio negativo è stato Sarah Palin, l’impresentabile Giovanna d’Arco dei ghiacci. Nessuno ancora ha avuto il coraggio di intaccare il profilo della figura salvifica di Obama. L’opera di chiarificazione, e di  demolizione intelligente, inizia con Martino Cervo e Mattia Ferraresi. L’indice di popolarità del «prescelto» è in netto ribasso. Ma è un dettaglio. Le pastoie della quotidianità, dell’avversa fortuna, della cattiveria altrui, del mondo che non cambia, del lavoro che non si trova, sono fastidiosi dettagli, appunto.

Barack Obama è il figlio della secolarizzazione americana cominciata negli anni Sessanta, con lo sconquasso dei valori operato dalla «controcultura». Le somiglianze dell’attuale inquilino della Casa Bianca con un illustre predecessore, Jimmy Carter, sono sorprendenti. Ma su un punto i due divergono: entrambi  appartengono alla famiglia cristiana, ma Obama ha una visione religiosa prettamente terrena. Pochi hanno puntato l’obiettivo su questo tratto della personalità di Obama, incarnazione della «religione americana» capovolta da un atteggiamento gnostico. Il «nuovo profeta» del mondo senza guerre, senza poveri, senza prigioni e con l’aria pulita, ha una ben altra natura, come Cervo e Ferraresi descrivono nel loro libro. Nel profetico romanzo di Benson entra in scena, con regalità, un personaggio affascinante, misterioso e onnipotente: Giuliano Felsemburgh, 33 anni e capelli bianchi. Abilissimo nell’arte della diplomazia, il «salvatore» riesce a mettere a riparo l’umanità, scivolata nel baratro della guerra imminente. Non ci saranno più lotte, violenze. Non scorrerà più sangue. Il «salvatore» del mondo parla di una «grande fratellanza universale», necessitante l’istituzione di un nuovo culto: lo «spirito del mondo». Per il futuro non ci sarà più bisogno di rivolgersi ad un Dio: l’umanità deve soltanto affidarsi al suo profeta. Ma è una falsa illusione: l’Armaghedòn è dietro l’angolo.

Per spiegarci chi è veramente Barack Obama ci volevano due giovani giornalisti lontani dai luoghi comuni del “politicamente corretto”. Le loro considerazioni sono particolarmente chiarificatrici per la cultura cattolica, largamente favorevole, per principio e non per ragionamento, ad Obama. Dalle pagine di Cervo e Ferraresi dell’uomo nuovo emerge l’altra faccia della medaglia: la falsità del personaggio e l’eresia strisciante che rappresenta. La notte del 4 novembre 2008, nel discorso pronunciato a Chicago subito dopo la sua vittoria elettorale, Obama in un passaggio ha detto: «La vera forza della nostra nazione non scaturisce dalla potenza delle nostre armi o dalla misura delle nostre ricchezze, ma dal richiamo intramontabile dei nostri ideali: democrazia, libertà, opportunità e una speranza indomita». Ovviamente non mancarono richiami alla forza di Dio. Con un gesto regale, quanto astuto, Barack Obama volle giurare come nuovo presidente degli Stati Uniti su una Bibbia appartenuta ad Abraham Lincoln. Un atto di devozione verso un predecessore che conosceva larghi tratti della Bibbia a memoria, e cercava di orientare ogni scelta politica in base ai principi morali contenuti nel libro sacro. In questo gesto c’è tutto Obama: la preminenza della forma sulla sostanza. Del resto nel corso dell’intera campagna elettorale (primarie e presidenziali) Obama  aveva largamente attinto al valore simbolico della religione. Ogni discorso era tagliato sulla misura retorica, e  con tempi e significati equiparabili a prediche e sermoni. Poi, ottenuto il risultato voluto, ha iniziato a far emergere, senza bisogno di troppi mascheramenti, la «nuova morale» americana e universale.

Su aborto e ricerca sulle staminali si è capito immediatamente chi era il vero Obama. Egli  ha rappresentato l’ennesimo abbaglio di un’ampia frangia (se non la quasi totalità) dei cattolici italiani. L’odio contro Bush li ha accecati. La guerra e la catastrofe economica li ha spinti ad illudersi che la fine della presidenza Bush significasse la conclusione di una stagione disgraziata. Il viaggio di Benedetto XVI negli Stati Uniti, la cordialità dell’incontro e la palese vicinanza di idee tra lui e Bush, hanno rotto ogni indugio: il «messia nero» farà pulizia. Grande scalpore mediatico suscitò la notizia che un’ultracentenaria suorina residente a Roma, curva sotto il peso dell’età ma lucidissima, scrittrice di missive stilate con la vecchia macchina da scrivere, aveva votato per Obama via posta elettronica, aiutata da una ben più giovane e tecnologica consorella. Il suo voto indicò la linea con lungimiranza. La suorina nella lunga esistenza aveva espresso una preferenza solo due volte: per Roosevelt e Obama. Ma il fatto non dovrebbe stupire. Nel sostengo alla riforma sanitaria le suore americane sono scese in campo, senza tentennamenti, al fianco di Obama. Obama appartiene alla famiglia liberal. Servirsi della religione pubblicamente, e poi fare il contrario Hillary e il marito Bill Clinton hanno la più grande considerazione della religione. Leggono la Bibbia, vanno tutte le domeniche a messa, i loro discorsi pubblici non di rado si avvicinano a prediche; ma è forma, puro esercizio retorico. Sono capaci di organizzare un esclusivo e costoso  matrimonio per la figlia che convola a nozze, smettendo, finita la kermesse, l’abito da cerimonia, pronti a raccogliere fondi per la fame nell’Africa. La retorica è il loro pane quotidiano. E della retorica Obama è il vero maestro.

Figlio ideale del visionarismo profetico di Martin Luther King, e della compostezza della figura e scioltezza di linguaggio di Malcom X, Obama con la giusta intonazione trova sempre una citazione biblica azzeccata, e soprattutto le parole giuste per attualizzarla. Barack Obama rappresenta un’eresia. Nei suoi discorsi si nasconde, come Cervo e Ferraresi ben evidenziano, il veleno di sincretismo e relativismo, e  la visione di una religione prettamente terrena, con l’uomo unico asse sul quale tutto ruota, compresa la salvezza. Discorso antico. Lessing nell’atto di fondazione dell’illuminismo tedesco, elaborava addirittura un trattato di “Educazione del genere umano” (1777), recuperando la pericolosa profezia di una “terza età dello spirito”, lanciata da Gioacchino da Fiore, nella quale si annuncia l’imminente arrivo di un tempo in cui ogni uomo conoscerà la verità ricorrendo a se stesso, senza mediazione della chiesa. Il libro di Martino Cervo e Mattia Ferraresi parla certo di Obama. Ma ha un respiro maggiore. E apre, nella speranza di pulirla, o perlomeno di renderne evidente la gravità, la ferita del neo-modernismo cattolico contemporaneo.