La manovra di Mario Monti è tutt’altro che lacrime e sangue
06 Dicembre 2011
La manovra attuata dal governo Monti non è affatto lacrime e sangue, nel suo complesso in quanto consiste, sia ben chiaro, in una operazione lorda di 20 miliardi di maggiori entrate e di 10 di minori spese, in un biennio, cioè 15 annui, ma con riduzione di imposte per 10, nel biennio. Si tratta, dunque, di una manovra correttiva netta annua di 10 miliardi pari a 0,6 punti di Pil, metà in maggiori entrate e metà in minori spese.
L’unico settore che si deve lamentare è quello delle case, su cui è caduto quasi tutto il nuovo peso fiscale. Ma anche qui ci sono colpe gravi, perché da anni non si fanno le revisioni degli estimi catastali e il nostro patrimonio immobiliare è largamente sconosciuto, sicché i tributi sugli immobili cadono sui “soliti noti”. Nel giorno in cui si annunciava questa manovra, lo spread sui nostri titoli pubblici è sceso dall’area dei 500 punti e oltre, in un’area poco sopra i 350. Direi che questa discesa, che si spera non temporanea, si dovuta per il 30% dell’effetto macro economico della manovra in questione.
Un altro 30% consiste nel fatto che si è attuata una moderata e cauta modifica strutturale del sistema pensionistico, come da richiesta della Bce e della Commissione europea, vincendo le resistenze dei sindacati, che per la verità, per CISL e UIL solo in parte minore dipendevano dal contenuto, in parte dipendevano dal fatti che non c’è stato negoziato. Va anche notato che l’equiparazione dell’età di pensionamento delle donne agli uomini non è perle donne un danno, ma innanzitutto un diritto. Ciò non lo sostengo solo io, in uno studio per Magna Carta, lo sostengono anche economisti che hanno fatto battaglie contro la discriminazione delle donne come Fiorella Kostoris ed è sostenuto dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza con cui ha essa condannato l’Italia, perché nel pubblico impiego, le donne andavano in pensione 5 anni prima degli uomini, con conseguenti minori probabilità di carriera, minore accesso ai ruoli di comando, minore cura da parte loro e della loro amministrazione per una qualificazione della loro formazione.
La sentenza si occupava delle donne nel pubblico impiego, perché questo era il caso che essa giudicava, ma ha una portata più generale. Probabilmente il fatto che bisogna rattristarsi perché le donne vengono equiparate agli uomini, nei diritti e nelle opportunità di lavoro , è segno del fatto che in Italia abbiamo una cultura sociale di natura assistenzialistica. E ciò non solo nella sinistra , anche nei salotti culturali delle elite dominanti . Ma torniamo agli spread, questi segnali che , per quanto spesso balzani, ci hanno dato, sin qui, lo stimolo a prendere decisioni, che in questa epoca di pensiero debole, sembra che si possano prendere solo se c’è una emergenza. E che vengono presentati come “sacrificio”, non come mezzo per realizzare la nostra autonomia, per costruire il nostro benessere, con le nostre scelte responsabili.
Un altro 10 per cento della rilevante riduzione dello spread è probabilmente dovuto alle parche misure di liberalizzazione e privatizzazione adottate dal governo, che hanno effetti strutturali sulla crescita e che segnano una via, che è irta d ostacoli, per una parte della coalizione che lo sorregge, quella di sinistra. La quale oltre la liberalizzazione delle farmacie che piace alle coop fa fatica ad andare, perché abbarbicata a tabù, come quello che l’acqua non si può gestire con le imprese di mercato. Il restante 30% della riduzione dello spread, sia ben chiaro, è dovuto al fatto che si sta modificando il quadro europeo, a favore di una maggiore unione fra gli stati dell’euro zona, con maggiori obblighi di bilancio di ciascuno. Ciò ha come contropartita un maggiore ruolo dell’Unione europea e della Banca centrale europea, nell’intervento per la salvaguardia dei debiti pubblici degli stati membri, del sistema bancario e, per conseguenza, dell’euro.
In particolare non sfuggirà che le banche hanno ottenuto che Merkel e Sarkozi abbiano dichiarato che il taglio al valore dei titoli pubblici greci da esse possedute è una eccezione .E che d’ora in poi non sarà mai richiesto ai creditori di pagare una quota sui titoli pubblici dell’euro zona, che essi hanno sottoscritto. In altre parole, d’ora in poi gli stati membri dell’euro zona dovranno onorare il loro debito o ciò sarà fatta dal complesso degli stati membri o, alla fine, dalla Bce. Ciò sulla base di una nuova struttura istituzionale, essenzialmente basata su misure preventive, rivolte a impedire debiti eccessivi. Come tutto ciò sarà costruito, non è ancora chiaro.
Due cose sono operò abbastanza evidenti. La prima è che questa è una strada obbligata, dal percorrere la quale non si possono esimere gli stati dell’euro zona con tripla A, perché la caduta di stati membri importanti, privi di tale tripletta, genererebbe per loro una contaminazione economico-finanziaria, che comporterebbe la perdita di varie A, una dopo l’altra, con effetti domino. La seconda cosa chiara è che gli stati, come l’Italia,che hanno un elevato debito, con la nuova costituzione-economico-politico monetaria-bancaria possono evitare di perdere la loro sovranità solo se scelgono l’economia di mercato libero, rinunciando al modello corporativo cha ancora domina e imboccano la strada della crescita economica e dello smagrimento dell’elefantiaco stato del benessere in deficit.
Ciò comporta che il governo Monti deve ora occuparsi della politica della crescita, di cui non si è occupato, se non marginalmente. E deve farlo anche per quanto riguarda il mercato del lavoro, in cui vi è il nucleo forte del modello neo corporativo. Non credo che esso potrò fare, al riguardo, molto, dato che esso si regge su una coalizione eterogenea. Ma questa è la sfida che gli si apre, ora, davanti. Ed è una sfida a cui non è preparata la parte sinistra di questa coalizione. L’alternativa, comunque, a una politica di centro destra, di ritorno al sistema di mercato, è il commissariamento europeo. In parte, del resto, lo abbiamo già.