La mia ventunesima Maratona dles Dolomites

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La mia ventunesima Maratona dles Dolomites

La mia ventunesima Maratona dles Dolomites

07 Luglio 2022

In una splendida giornata di sole si è svolta il 3 luglio la 35esima edizione della Maratona Dles Dolomites, la granfondo ciclistica più famosa al mondo. Dedicata quest’anno alla flora, quasi 8mila cicloamatori (con vari ex professionisti al via) si sono sfidati sui passi dolomitici lungo tre diversi percorsi: corto (55 km e 1.780 metri di dislivello), medio (106 km e 3.130 metri di dislivello) e lungo (138 km e 4.230 metri di dislivello).

Si tratta comunque, anche nel caso del percorso più abbordabile, di una corsa impegnativa per i dislivelli da affrontare. Il percorso più corto si snoda sul classico giro dei quattro passi chiamato Sellaronda: Campolongo, Pordoi, Sella e Gardena. I cicloamatori che dopo il primo passaggio a Corvara hanno proseguito per il percorso medio hanno scalato dopo i quattro passi una seconda volta il Campolongo, quindi il Falzarego (da Cernadoi) e il Valparola.

I più allenati, i corridori del percorso lungo (138 km per 4.190 metri di dislivello) hanno affrontato un vero “tappone dolomitico” degno di un Giro d’Italia: infatti, dopo il secondo Campolongo, hanno dovuto superare il Colle di Santa Lucia, il passo Giau, il Falzarego (da Pocol) e il Valparola. ). Prima di finire, i corridori del medio e del lungo hanno dovuto confrontarsi anche con il Mur del Giat (muro del gatto) una salita che definirla poco simpatica è fin troppo carino.

Lungo i tre percorsi a gestire e a garantire la sicurezza dei partecipanti – a questo proposito va detto che la Maratona delle Dolomiti è l’unica gara su strada per i cicloamatori con traffico completamente bloccato – sono stati schierati 1.500 volontari.

Alla Maratona ognuno pedala seguendo il proprio ritmo, assecondando il proprio respiro, facendo i conti con il proprio motore e grado di allenamento. I primi pedalano al ritmo di corridori professionisti, gli ultimi faticano a stare dento i tempi imposti dall’organizzazione. Per tutti il piacere di pedalare sulle montagne patrimonio dell’Unesco senza traffico e senza il frastuono delle motociclette che rimbalza da un passo all’altro.

Nella consapevolezza che un nuovo equilibrio fra natura e uomo sia più che mai necessario, va ricordato che la Maratona da anni si impegna a coniugare sport e attenzione per l’ambiente. E quest’anno a sottolineare questa assoluta priorità, è stato il ghiacciaio della Marmolada. Mentre i cicloamatori concludevano la propria sfida con le salite, infatti, un blocco di ghiaccio ci ha ricordato che la natura è sempre più forte dell’uomo.

Ogni anno la regina delle corse ciclistiche amatoriali realizza sempre nuovi progetti per diventare un evento sempre più green, come dimostra la certificazione ottenuta green event. L’obiettivo di quest’anno è stata la riduzione drastica dell’utilizzo della plastica al ristoro finale di Corvara: con l’acquisto di 16mila piatti in vetroceramica e stoviglie riutilizzabili è stato infatti ridotto del 70% l’impiego di platica.

A tutti gli iscritti è stato offerto un gilet tecnico completamente sostenibile in quanto realizzato con ecotessuti generati da materiali di scarto pre e post consumer come reti da pesca, fluff dei tappeti e tulle rigido. Anche la sacca del pacco gara, concepita da Enervit insieme alla Cooperativa Selyn dello Sri Lanka (certificata Wfto), è realizzata in cotone ecologico per essere riutilizzata più volte.

Ho corso quest’anno la mia ventunesima edizione della Maratona. La mia prima esperienza nella gara dolomitica risale al 1999. Allora il percorso era molto più impegnativo: misurava 180 km e comprendeva il duro passo Fedaia, proprio al cospetto della Marmolada e del blocco di ghiaccio che quest’anno ha causato la tragedia.

Nel 1999, il caffè costava al bar 1200 lire, Lance Armstrong vinceva il suo primo Tour (vittoria poi cancellata come le sei successive per le note vicende di doping) e Marco Pantani veniva estromesso da un Giro d’Italia praticamente vinto dopo la vittoria a Madonna di Campiglio. Nelle ventuno edizioni della Maratona ho visto l’evento crescere passando da qualche centinaio di iscritti alle quasi 30mila richieste di partecipazione provenienti da 67 paesi del mondo di quest’anno.

Tra i partecipanti numerosi Vip appassionati di ciclismo che condividono la fatica con gli 8mila iscritti, come – tra gli altri – il ministro Vittorio Colao e i manager Francesco Starace (Enel, che è anche azienda sponsor dell’evento) e Alberto Sorbini (Enervit). Al via anche tanti ex sportivi professionisti come il bomber Fabrizio Ravanelli, gli sciatori Manfred Molgg e Christof Innerhofer, la biatleta Dorotea Wierer e gli ex corridori Miguel Indurain, Paolo Bettini e Filippo Pozzato.

La faticosa cavalcata sulle montagne patrimonio dell’Unesco non mostra quindi segnali di crisi, ma anzi cresce anno dopo anno grazie all’ottimo lavoro del Comitato organizzatore – capitanato dal poliedrico albergatore di Corvara Michil Costa – e garantisce un considerevole indotto turistico in un periodo ancora di media affluenza. Partecipanti e accompagnatori occupano mediamente 15mila posti letto in alberghi e residence della Val Badia e zone confinanti per tre notti di media. Chiaramente gli stranieri provenienti da più lontano si trattengono anche per una settimana partecipando agli eventi collaterali promossi in occasione della Maratona (questo spiega perché la metà dei pettorali è per regolamento riservato a loro).

Dall’indotto turistico a quello industriale, al via della Maratona è schierato un valore di 40 milioni di euro, calcolato moltiplicando 5.000 euro – valore di una bicicletta di medio alto livello, ma i prezzi possono superare anche i 10.000 euro – per gli 8.000 iscritti. A questa cifra va aggiunto tutto l’indotto relativo all’abbigliamento sportivo, dalle scarpe ai caschi e quello relativo a integratori, barrette e altro ancora.

Ho gareggiato in oltre 100 granfondo, con esperienze anche all’estero in Canada, Germania, Austria e Cipro. Ma la Maratona delle Dolomiti rimane la corsa più bella e affascinante in cui un cicloamatore possa cimentarsi. Le montagne sono uniche e l’ospitalità dei ladini è sempre meravigliosa. L’atmosfera poi è quella di un grande evento internazionale e lo standard dell’organizzazione è quella di una tappa del Giro d’Italia.

Quest’anno, come nelle ultime tre edizioni, ho optato per il percorso medio. Le fasi che precedono il via della gara sono sicuramente le più stressanti. La sveglia suona presto per tutti e alle 4 e 30 si è già a fare colazione. Mettendo il naso fuori dall’albergo si ha la conferma delle previsioni meteo: presto sorgerà il sole e non fa neanche freddo. Sarà l’edizione più calda cui ho partecipato.

L’attesa del via, previsto per le 6 e 30, è il momento più odioso: se hai qualche ambizione di classifica devi entrare in griglia di partenza almeno 30-40 minuti prima dello start, rischiando di prendere freddo e rimanere bloccato allo sparo. Finalmente il via. Si parte ai 40 all’ora, il gruppo è ancora compatto e spesso chi viene da dietro più veloce non chiede strada con troppa cortesia. All’inizio del Campolongo, comunque, la salita obbliga ognuno a seguire il proprio passo. Dal momento che ho optato per il percorso medio devo considerare che mi attendono 7 passi alpini da scalare. La salita del Pordoi è forse – ciclisticamente parlando – la salita perfetta: il sole delle 7 inizia a scaldare, la pendenza è regolare e mai troppo impegnativa, la vista da ogni angolo è emozionante. La picchiata verso Canazei richiede molta attenzione. La discesa è veloce, a tratti sconnessa ed è tutta in ombra. Si superano anche i settanta all’ora e la concentrazione deve essere massima. Ho la sensazione di vedere meno bene degli altri anni. Gli alberi che costeggiano la strada scorrono via veloci. Sono passate da poco le 8 e devo già affrontare la terza salita: corta e irregolare. Incontro l’ex professionista Filippo Pozzato e scambio due parole con il vincitore della Milano Sanremo 2006. Sono in cima al Passo Sella. Mi tuffo in discesa sul filo degli ottanta all’ora. Rallento perché conosco bene le ultime curve insidiose di questa discesa. E infatti qualcuno che mi precedeva è a terra. Dopo il Gardena, ancora il Campolongo, la valle di Livinallongo ancora segnata dal disastro della tempesta Vaia. Quindi sul Falzarego raggiungo niente di meno che Paolo Bettini e Miguel Indurain, due miti del pedale che vanno più piano di me, ma loro ciclisticamente parlando “hanno già dato”. Concludo la mia corsa, dopo le ultime salite del Valparola e Mur del Giat, in poco più di 4 ore e 40 minuti.
Cara Maratona, ogni anno è dura. Ma ci vediamo nel 2023. Spero.