La moratoria non servirà ad abolire la pena morte

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La moratoria non servirà ad abolire la pena morte

20 Dicembre 2007

Avanti. Un passo. I
numeri raccontano verità che non passano alla storia. La moratoria sulla pena
di morte è una bella favola di Natale. E’ una presa di coscienza che nessuno si
sogna di sminuire, ci mancherebbe. E’ un segno di civiltà, la sacrosanta affermazione
della basilare teoria per la quale nessuno stato può ammazzare per legge. E’
una vittoria dell’Italia, che è stata tra le promotrici. E però è diplomazia e
politica, è una coccarda da appuntare al petto e da presentare agli elettori
meno scafati che si fanno abbindolare da un titolo. Perché lo sa l’Assemblea
generale delle Nazioni Unite e lo sanno i singoli stati (sia quelli che la pena
di morte la vogliono abolire, sia quelli che vogliono continuare a uccidere):
la moratoria lascia tutto com’è. Non cambia la sostanza, come ogni volta che
arriva una moratoria: la debolezza strutturale dell’Onu non permette di imporre
leggi soprannazionali. Il voto schiacciante a favore dell’abolizione della pena
capitale resta un’indicazione, un auspicio, un augurio. Una favola, appunto. E’
difficile che la Cina decida di non condannare a morte i dissidenti e i
criminali. E’ quasi impossibile che l’Iran elimini le sue agghiaccianti
impiccagioni. E non sarà l’Onu a far svoltare gli Stati Uniti d’America. Se e
quando arriverà la fine della pena di morte in America, sarà grazie a un
processo interno di consapevolezza, alla rielaborazione di un “diritto” che per
la gran parte delle democrazie occidentali è una ignominia, mentre per molti
stati della federazione Usa resta un’opzione praticabile. Le voci post
moratoria suonano stonate per questo. Perché sembra che il problema della pena
di morte nel mondo sia il Texas o il Mississippi.

Invece no. Gli
omicidi di stato sono gravi ovunque. E nei regimi lo sono di più: perché in America,
la pena di morte è un insulto al futuro oltre che al passato, ma quantomeno se
ne può parlare, discutere. Si può tornare indietro, come ha fatto il New
Jersey, prima che l’Onu desse la sua generica indicazione. Semplicemente la
popolazione e i suoi rappresentanti legittimamente eletti hanno deciso così:
basta iniezione letale. Pena massima: ergastolo. A Teheran non possono
decidere, a Pechino neanche. La morte c’è 
e basta. E ci sarà. Senza l’intervento delle Nazioni Unite, del quale se
ne frega, l’America sta ripensando le sentenze capitali. La Corte Suprema ha
già in agenda un verdetto sulla costituzionalità dell’iniezione letale. E
questo potrebbe allargare molto le prospettive: se la Corte dovesse per caso
dichiarare incostituzionale questo sistema, allora cambierebbero diverse cose.
Molti boia si dovrebbero fermare per cambiare l’iniezione letale con un altro
tipo di esecuzione. Ma la sedia elettrica è già praticamente scomparsa: viene
usata solo nel Nebraska, mentre gli altri stati l’avevano abolita tenendo solo
l’iniezione letale. In attesa del pronunciamento della Corte Suprema ora molti
stati (Alabama, Virginia, Arkansas, Mississippi e Texas), hanno sospeso le
esecuzioni. Se i giudici diranno che l’iniezione è inumana, la pena di morte
sarà praticamente finita. Senza l’Onu. Senza la moratoria. Purtroppo resterà
altrove, dove nessuno riuscirà mai a sapere quanto e perché lo stato uccide.