La Moratti e Formigoni hanno capito che devono agire insieme
20 Ottobre 2008
Alla fine Roberto Formigoni e Letizia Moratti hanno ripreso ad agire di concerto per la preparazione di Expo 2015. Un’ottima notizia. Anche se è evidente come questa scelta dovesse essere compiuta sin dall’inizio, prima della pretesa morattiana di imporre Paolo Glisenti come amministratore unico della società che gestirà l’esposizione internazionale. Con un’impostazione unitaria di Regione e Comune si sarebbero ottenuti a luglio non a fine ottobre le risoluzioni necessarie per far decollare l’iniziativa. Si sarebbe potuto trattare con tutti gli altri soggetti fondamentali nel prendere le decisioni (dalla Lega a Giulio Tremonti, da An a Silvio Berlsuconi) con ben altra forza e capacità persuasiva.
Non sfugge come nel mondo berlusconiano, ogni tanto i processi risolutivi prendano strade sotterranee, non facilmente scrutabili. Se l’azione dell’esecutivo è oggi nelle sue linee generali assai realizzativa, in un modo innovativo rispetto alla tradizione italiana di esecutivi a cui spesso si intrecciavano “i diti”, non mancano le questioni che, in un sistema politico molto più carismatico che partecipato, scompaiono dalla vista di tutti, insabbiate, in attesa d’improvvisi risvegli.
Formigoni conosce bene ed è stato talvolta oggetto di questo modo carsico – e in qualche caso sgradevole – di decidere di Berlusconi. Però un buon principio nel fare politica è prendere atto della realtà per quel che essa è, magari proponendosi di cambiarla anche radicalmente, ma senza mai nascondersene le caratteristiche.
Una scarsa attenzione a questa “realtà” ci è parsa di cogliere soprattutto nelle prese di posizione della Moratti. Mettersi a fare a spallate con Tremonti in una fase in cui il ministro dell’Economia – colui che deve tra l’altro regolare i flussi di cassa necessari al decollo dell’Expo – è al massimo del suo prestigio, appare una tattica singolarmente inopportuna (e l’ultimissima idea balzana che mi pare intravedere è quella di lanciarsi in singolari elogi di Romano Prodi). Un ministro, non solo particolarmente potente ma anche popolare, va incalzato con intelligenza non sfidato. Né mi è sembrato particolarmente azzeccato, poi, da parte del sindaco di Milano sollevare il “caso Catania”. Tra l’altro in un periodo in cui tra i cittadini di cui è sindaco la Moratti il più sentito caso Catania, è quello di Elio Catania, presidente di un’Atm protagonista di una serie di guasti che hanno non poco infastidito i milanesi. Catania, i soldi a Roma, alcuni compromessi con le regioni rosse fanno parte nel loro insieme del lavoro svolto con grande intelligenza politica da Roberto Calderoli per portare a casa una cornice riformatrice al federalismo fiscale. E’ sensato indebolire questo ministro e la sua preziosa opera di costruzione di un nuovo assetto istituzionale dell’Italia? Dove si spera di andare scavalcando la Lega nella protesta? Non ci si rende conto che così si rinsalda immediatamente gli eventuali ostacoli tremontiani? Umberto Bossi che in una fase iniziale aveva fatto il mediatore, è passato anche lui a criticare le Moratti. Si era considerato questo possibile esito?
Il punto è che da Milano non si può fare politica, al di là dell’avere o non avere la genialità bossiana, come da Cassano Magnago o da Ponte di Legno, bisogna sapere esprimere nei processi politici e in quelli decisionali un’iniziativa anche culturalmente all’altezza della città. La protesta, che qualche volta ci vuole, va calibrata su questo stile. Altrimenti diminuisce solo l’autorevolezza di chi la esercita. Il nuovo asse Formigoni-Moratti è un buon inizio, deve servire però per attaccare (culturalmente) non per difendersi (localisticamente).