La “nuova destra” di Sarkò non piace ai conservatori e alla Francia profonda
19 Ottobre 2009
Tempo di bilanci all’Eliseo, nel momento in cui Sarkozy si appresta a tagliare il traguardo di metà mandato. Il suo quinquennato sta entrando nella fase decisiva, quell’ultimo anno e mezzo che aprirà poi le porte alla corsa presidenziale del 2012. E’ lecito riflettere sulla strada percorsa dall’iper-presidente cercando però di non farsi condizionare dal turbolento clima mediatico che ha caratterizzato la sua rentrée dopo le vacanze estive.
I precedenti della Quinta Repubblica parlano chiaro: passare indenni il primo biennio presidenziale è da sempre compito arduo per gli inquilini dell’Eliseo. De Gaulle, dopo la prima elezione diretta del 1965, nel 1967 dovette affrontare complicate elezioni legislative, vinte dai gollisti per pochi seggi. Giscard nel 1976 ruppe con il suo Primo ministro Chirac e da quel momento il fronte gollista-giscardiano si mostrò sempre meno compatto. Cosa dire poi di Mitterrand, che a due anni della storica elezione del 1981, dovette abbandonare il suo interventismo statale e il programma socialista per sposare quel rigore economico che avrebbe impedito al Paese la bancarotta e l’uscita dal nascente sistema monetario europeo?
Per Chirac infine il passaggio del primo biennio presidenziale si è rivelato un doppio incubo: come dimenticare il dissennato scioglimento dell’Assemblea nazionale, con successivi cinque anni di coabitazione con il socialista Jospin? D’altra parte dopo la plebiscitaria elezione del 2002 contro Le Pen, proprio con le elezioni regionali del 2004 (20 regioni su 22 ai socialisti), il suo quinquennato mostrò di aver perso tutta la carica propulsiva.
Dunque se ci si ferma a confrontare la situazione odierna con quella passata, Sarkozy può legittimamente dormire sonni tranquilli. L’opposizione praticamente non esiste. I socialisti sono impegnati in un lento quanto irrilevante tentativo di rifondazione. Bayrou è risultato perdente nel farsi catalizzatore di tutti gli oppositori dell’inquilino dell’Eliseo. La sinistra estrema è incapace di trasformare in patrimonio politico le tensioni sociali comunque presenti nel Paese e il movimento ecologista non è stato in grado di dare seguito all’ottimo risultato alle europee.
Se a questo vuoto sul fronte politico si aggiunge poi la lunga crisi di rappresentanza e di iscritti che stanno vivendo i sindacati, è impossibile non rilevare gli ampi spazi a disposizione del presidente per dispiegare la sua azione di governo. È vero che il suo livello di popolarità, pur salito rispetto ai picchi disastrosi dello scorso anno, non ha mai superato con convinzione il 50% e non è mai riuscito a staccare quello del suo Primo ministro Fillon, ma la situazione sembra comunque essersi stabilizzata e non c’è dubbio che, nelle condizioni attuali, la sua rielezione sarebbe garantita. Basti pensare che, secondo un recente sondaggio, lo sfidante preferito per contrastare Sarkozy è de Villepin, mentre Royal si trova staccata di sei punti percentuali, allo stesso livello dell’anticapitalista Besancenot e il segretario del Ps Aubry è considerata la sfidante ideale solo dal 4% degli intervistati.
Eppure, nonostante una situazione invidiabile, il clima politico transalpino è avvelenato da una serie di questioni particolarmente spinose per il Presidente. Innanzitutto la contrastata “tassa ecologica”, con i critici che hanno accusato Sarkozy di voler essere “più verde dei verdi”. In secondo luogo la vicenda Frédéric Mitterrand, prima con la difesa (peraltro insieme a Kouchner) di Polanski, poi con il ritorno su un libro pubblicato dall’attuale ministro della cultura, nel quale si parla esplicitamente della sua omosessualità e del suo turismo sessuale in Estremo Oriente. In terzo luogo il progetto di abolizione della taxe professionelle (una sorta di Irap francese) che si lega in maniera stretta all’ambizioso progetto di riforma delle collettività territoriali. Infine la nota vicenda della probabile nomina del figlio Jean alla guida dell’istituto di gestione del quartiere d’affari de La Défense.
Uno è il dato che accomuna i malumori sorti su queste quattro delicate questioni: ben più degli strali lanciati dai socialisti o da quelli provenienti dalla stampa, il Presidente deve preoccuparsi del “mal di pancia” che attraversa il suo partito e il suo elettorato, in particolare quello tradizionale, più conservatore e della Francia profonda.
Il discorso diventa più complesso e va al di là della polemica quotidiana: fino a che punto Sarkozy può spingersi nell’imporre la sua nuova idea di destra? Sul banco degli imputati è innanzitutto la strategia d’ouverture, che con l’arrivo di un Mitterrand al governo ha messo a dura prova il livello di sopportazione sia dell’elettorato che degli eletti post-gollisti. È certamente vero che l’inquilino dell’Eliseo ha favorito una cultura del merito e dell’eccellenza in base alla quale il governo del Paese deve associare i migliori. Ma l’elezione di Sarkozy nella primavera del 2007 era stata caratterizzata anche da una vera e propria offensiva valoriale, in cui cultura d’impresa, insistenza sul valore-lavoro e promozione individuale si contrapponevano ai dis-valori della cultura sessantottina.
La promessa di più efficienza e di un nuovo “modello francese” è stata l’asse portante della sua lunga campagna presidenziale. È certamente giusto ricordare che la crisi economico-finanziaria dello scorso anno ha rimesso in discussione larga parte del programma di Sarkozy. Resta il fatto che proprio l’elettorato e i simpatizzanti di destra sono i più critici sulla questione Mitterrand, così come su quella Jean Sarkozy e sulla svolta ecologista.
Se dall’elettorato si passa poi agli eletti dell’Ump il livello di malumore cresce. Il processo Clearstream, fortemente voluto dall’Eliseo, sta in realtà rivelandosi un’arma a doppio taglio. Da un lato le responsabilità di de Villepin sono probabilmente destinate ad essere accertate, ma dall’altro si sta riaprendo la competizione tra sarkozisti e villepenisti all’interno dell’Ump. Se a questo dato si aggiunge la sempre più accentuata autonomia del capogruppo Ump all’Assemblea nazionale Jean-François Copé e il probabile scontro tra l’ex-fedelissimo Patrick Devedjan e il figlio Jean nell’Hauts-de-Seine, il clima non è quello auspicabile in vista delle decisive elezioni regionali del 2010, vero e proprio trampolino di lancio in vista dell’appuntamento presidenziale del 2012.
A preoccupare ulteriormente l’inquilino dell’Eliseo sono state le dichiarazioni di due pesi massimi del centro-destra transalpino come Raffarin e Juppé. Il primo ha espresso le sue perplessità sulla gestione istituzionale del quinquennato, arrivando a proporre una riforma in senso presidenziale, che eliminerebbe il Primo ministro ma anche il potere di scioglimento presidenziale dell’Assemblea nazionale. Il secondo, al momento al lavoro nella commissione Juppé-Balladur per il grande “prestito nazionale”, è intervenuto più volte polemicamente sia sulla riforma delle collettività territoriali che sulla tassa verde.
I segnali sono chiari: Sarkozy deve concretamente rassicurare la destra. È vero, come ricordano molti suoi fedelissimi, che è lui l’artefice della vittoria del 2007, così come di quella alle europee del 2009 e sarà ancora a lui che si dovrà un’eventuale vittoria nel 2012. Ma è altresì importante ricordare che la storia della Quinta Repubblica è ricca di autorevoli faide a destra: Chaban-Delmas nel 1974 e Balladur nel 1995 (entrambi “silurati” da Chirac) sono due esempi da non trascurare. Sarkozy può al momento vantare un bilancio complessivamente in attivo. Oltre agli ottimi successi sul fronte internazionale (ritorno francese nella Nato, rilancio del Trattato di Lisbona e ottimo semestre di presidenza dell’Ue), sul fronte delle riforme interne il suo attivismo ha portato anche ad interessanti risultati. Scudo fiscale, riforma dei regimi speciali (e in genere numerose riforme della sécurité sociale), snellimento del personale amministrativo, riforma della giustizia minorile, riforma istituzionale, fiscalità “verde” e autonomia universitaria possono essere ascritti al fronte dei successi.
Ecco allora che l’intervista rilasciata a «Le Figaro» sabato scorso è un ritorno al puro stile di Sarkozy. Poco spazio per i bilanci e molto per il rilancio. Difesa dell’industria francese, priorità alla crescita (senza ascoltare chi, come Nicolas Baverez, attacca la cultura del debito pubblico), rifiuto di aumentare la pressione fiscale, severità sui temi dell’immigrazione e accentuazione di quelli della sicurezza. Sulla nuova riforma pensionistica, la lotta alla microcriminalità, il contenimento della disoccupazione e la riforma dell’istruzione secondaria Sarkozy si giocherà l’esito delle regionali 2010 e le sue chances di rielezione nel 2012. Sul fondo resta una difficoltà comune alle forze di centro-destra europee. I punti di contatto con la proposta politica di Cameron in Gran Bretagna e di Fini in Italia sono evidenti. È lecito però chiedersi fino a che punto possa spingersi e secondo quali modalità possa proseguire il processo di modernizzazione della destra continentale. Il laboratorio francese rimane certamente un interessante punto di osservazione.