La nuova strategia di Al Qaeda dopo l’Iraq: colpire l’India e l’Occidente
06 Maggio 2010
Ci vorranno anni per incrinare il muro del politically correct, forse decenni, pure è ineluttabile che a un certo punto si prenda atto di una verità fattuale incontrovertibile: la strategia di George W. Bush, la sua decisione di invadere l’Iraq ha avuto un effetto positivo e clamoroso per l’Occidente. Ha infatti imposto che il terreno dello scontro fosse la Mesopotamia e non più l’Occidente già dilaniato a New York, Londra e Madrid. Migliaia e migliaia sono i kamikaze che si sono fatti esplodere nelle città irachene in quella che per i jihadisti è diventata – e l’hanno subìta – la frontiera principale dello scontro. Di quelle migliaia di esplosioni, di quelle migliaia di sciagurati assassini, molti, moltissimi, se non vi fosse stato il fronte iracheno avrebbero continuato a premere sull’Occidente.
Questa non è una tesi astratta, è una semplice constatazione obbiettiva, fattuale, che peraltro è perfettamente interna ad una delle prime regole della strategia militare: imponi tu il terreno di battaglia, non fartelo mai imporre dall’avversario. La controprova della assoluta verità di questo assunto si è avuta in questi mesi. In Iraq l’offensiva terroristica non è affatto finita,per la semplice ragione che la Siria –inutilmente corteggiata da Obama e Sarkozy – continua ad essere il santuario degli “ultimi giapponesi”, ma è sicuramente stato troncato ogni rapporto di consenso tra il mondo sunnita e l’iniziativa kamikaze e non solo nella provincia di Anbar. L’esito elettorale, il ridimensionamento drastico dei partiti apertamente confessionali, il fatto che i due principali contendenti, al Maliki come Allawi si siano presentati con liste miste – sciiti-sunniti-laici, dimostrano che pur nel sangue il processo democratico iracheno si è ormai impiantato e sta crescendo.
Bene, esattamente dall’inizio di questa fase, è iniziata una lunga serie di attentati tentati ma falliti in Occidente, l’ultimo dei quali in Times Square. Prima c’era stato nel 2007 il complotto sventato dei “medici pakistani” in Inghilterra, poi, tra gli altri, l’attentato dell’autunno scorso alla caserma Santa Barbara di Milano da parte di Mohammed Game, poi il fallito attentato sull’aereo Amsterdam Detroit del 26 dicembre, poi lo sventato attentato nella metropolitana di New York scoperto il 24 aprile. Sono attentati portati a termine da terroristi a maggior o minor titolo integrati nella struttura internazionale di al Qaida, ma che testimoniano una tendenza ormai chiara e netta: dopo le batoste prese in Iraq, e mentre continua lo scontro in Afghanistan il terrorismo islamico ha deciso di aprire due nuovi fronti di iniziativa. Il primo è l’India, che tutti i Servizi danno per teatro imminente di nuove stragi, il secondo è l’Occidente.
Sinora è andata bene, anche perché il caso ha impedito che per ben due volte l’innesco –raffinatissimo quello sull’aereo del 26 dicembre – arrivasse all’esplosivo. Ma purtroppo va ricordato che fare attentati richiede non solo grande professionalità – e questi kamikaze paiono difettarne, perché sono letteralmente carne da macello su cui non val la pena investire energie e denaro per farne dei professionisti – ma anche una buona dose di fortuna (basta andare con la memoria alla purtroppo ricca casistica del terrorismo in Italia). Sinora, l’una e l’altra hanno difettato. Ma non c’è da farsi illusioni. Purtroppo.