La partita nazionale del comunitarismo leghista e l’appartenenza cattolica
08 Aprile 2010
I segni di una “Grande Padania all’orizzonte”, come titolano i giornali, impongono anche ai più resistenti l’abbandono di pregiudizi ventennali. E questa svolta varrà anzitutto per quelli cristallizzatisi lontano dalle aree di formazione ed espansione della Lega Nord: con la penetrazione leghista nella cosiddetta ridotta appenninica (le ex regioni rosse, Emilia-Romagna e Toscana) quella protettiva “distanza” si è accorciata e non lascia più pretesti ad una lunga pigrizia.
Propongo due temi, rinviando per il resto alla costellazione di interventi offerti dalla stampa. Anzitutto la strategia e la tattica dell’azione politica leghista recente (almeno dal 2006). Se è vero che sono i ruoli a fare le persone, l’esperienza di governo (già nel secondo governo Berlusconi) ha permeato gli uomini del Carroccio di visione nazionale; ha trasferito loro quelle razionalità speciali e quelle norme (negoziate, condivise) che si apprendono solo dalla pratica legislativa e dell’amministrazione dello stato. Così il partito, uno dei partiti “di opposizione e di governo”, si è mutato in forza politica capace ad un tempo a) di confermare o rafforzare il cosiddetto radicamento locale-comunitaristico, e b) di “pesare” in arene pubbliche di altra natura: quella nazionale e quella delle coalizioni di governo. Operando, a mio avviso, con due pratiche diverse e complementari: quella originaria della “religione civile”, o “religione politica”, settentrionalista, e quella recente o messa in opera recentemente, che consiste nella richiesta di nuove responsabilità alla decisione politica, ai governi. La nuova responsabilità si concentra, mi pare, in una tutela delle vaste comunità di popolo di cui è costituita la nazione, tutela della loro dignità (e relativi interessi) e della loro integrità-sicurezza. La riforma “federalista” ne è il perno costituzionale, ma il gioco, già da anni, è più di questo.
Così la Lega parla agli elettorati con una peculiare libertà e facilità. Non esibisce, infatti, solo richieste o realizzazioni securizzanti (immigrazione, criminalità), né solo politiche fiscali o di servizi, ma le une e le altre, e altre ancora (discipline degli sprechi centralistici) in un orizzonte di “nuova iniziativa” che anche le popolazioni non “settentrionali” sembrano disposte a fare propria. Nessuna forza politica può oggi fare altrettanto: né le sinistre né le mobilitazioni giustizialiste possono adottare punti programmatici “etno-nazionalistici”; mentre le politiche “liberali” e nazionali del PdL non possono spendere né retoriche né idealità, né ipotesi istituzionali ed economiche iper-regionalistiche. In più: in ogni area (quale che sia il peso che vi esercita) la Lega può acquisire seguaci organici, per dire così, o elettori tattici. Ed è da pensare che questi ultimi siano ovunque un parte consistente del suo elettorato: gli elettori tattici sono coloro che intendono dare al PdL (e alle stesse formazioni di sinistra, ormai) un segnale razionale: ‘le vostre azioni e/o le vostre volontà non garantiscono, come quelle della Lega, la nostra sicurezza e la nostra dignità di società civile’. Superfluo aggiungere che non si tratta di contingente “voto di protesta”, e che è errato porre la Lega in questa categoria.
Nella lotta contro una astratta riallocazione individualistica (ingiusta, secondo la Lega) delle risorse, dalle regioni produttive alle improduttive a livello nazionale, dalle collettività produttive agli individui inoperosi a livello locale, si situa il rapporto contrastato con la Chiesa cattolica. Le popolazioni leghiste sono certamente a maggioranza cattolica e sono, in maniera documentabile, popolazioni operose nella carità, ma entro i confini della dura, difficilmente ‘evangelica’, disciplina sociologica della “comunità”: chi non merita la fiducia della comunità è fuori. Clero e vescovi di grande intelligenza hanno cercato di capire e mediare con il comandamento cristiano questi istituti sociali profondi (tollerando l’accusa di “leghismo”). Cattolici e praticanti sono molti uomini e donne del Carroccio. L’esperienza di governo ha fatto slittare ai margini il folklore germanico-celtico e la singolare simbolica delle radici, abili strumenti per animare il “noi” delle origini. La politica di protezione delle dignità comunitarie, nella diagnosi della Lega ignorate dal centro, strumentalizzate dai governi regionali, esige anzi la valorizzazione delle “vere radici” e della vera anima, cattolica, delle popolazioni italiane.
Propaganda? Calcolo politico? Le qualità tattiche del politico leghista (anche in virtù delle sue origini movimentistiche) non permettono dubbi sulla riflessione calcolante che precede le uscite pubbliche, non per questo sempre perfettamente coordinate né ben calcolate. Ma nel muoversi in accordo con il comandamento bioetico cattolico ha peso il potente sostrato, ed anche la molta cultura positiva, dei cattolicesimi settentrionali. Diverso, certamente, il caso dell’Appennino, dove i leghisti “sono di sinistra” o, meglio, secolarizzati. L’aperta tutela della vita da parte dei nuovi Governatori leghisti è, azzarderei, conforme all’anima della Lega di governo con nuova ambizione e responsabilità nazionale. Questo potrà confliggere con l’efficacia della sua penetrazione nelle regioni secolarizzate, ancora governate dalle sinistre. Richiederà cultura e scelte a livello di una politica su scala italiana.
Il PdL resterà a guardare? Se vorrà esistere politicamente, e non solo su questo terreno, non dovrà dimenticare o rinnegare i risultati del lungo, innovativo dialogo laici-cattolici che ebbe protagonisti la rivista “Liberal”, la Fondazione Magna Carta, il coraggio intellettuale di Marcello Pera. La pressione che viene al PdL dall’entourage del Presidente Fini è, in questa congiuntura di enorme importanza per la storia civile italiana, decisamente regressiva. Non solo lascerebbe alla Lega uno spazio di azione fino ad oggi immeritato, ma ve la lascerebbe sola e senza strumenti. Tutto questo non è politica.
(da il Tempo)