La pena capitale in Texas complica le cose fra Usa e Messico

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La pena capitale in Texas complica le cose fra Usa e Messico

19 Luglio 2011

I problemi diplomatici  tra il Messico e gli Stati Uniti continuano a complicarsi. La recente esecuzione di un cittadino messicano da parte dell’Alta Corte dello stato del Texas ha fatto tornare a galla alcune questioni serie riguardanti gli Stati Uniti ed suoi impegni internazionali. Il recente ed ennesimo caso si riferisce a Humberto Leal che è stato giustiziato la scorsa settimana per l’omicidio di Adria Sauceda, una ragazza sedicenne assassinata nel 1994. L’omicidio avvenne nella città di San Antonio in Texas, dopo una festa cittadina, Leal diede un passaggio alla ragazza  la quale fu trovata morta poche ore dopo. Il condannato a morte si è sempre dichiarato innocente ma la giustizia Texana lo ritenne ugualmente colpevole e lo condannò alla pena capitale.

Fin qui tutto regolare per la giustizia statunitense, se non fosse per una questione estremamente delicata e seria che riguarderebbe la frequente violazione del trattato internazionale da parte degli Usa. In particolare si tratta della violazione dei diritti consolari dei cittadini stranieri arrestati in America. Queste sono accuse serie che provengono non solo dagli avvocati di Leal e dal governo Messicano, ma anche da moltissimi politici americani che riconoscendo tali violazioni in merito chiesero più volte la sospensione temporanea della pena per tutti gli stranieri condannati a morte ai quali fu deliberatamente negato il diritto di assistenza consolare. Addirittura, fu Obama stesso a chiedere una sospensione di sei mesi, per poter portare il caso davanti al congresso e cercare di ottenere la possibilità di rivedere tutti i casi in questione.

Come di consueto, lo stato del Texas non permise neanche al presidente Barack Obama di influenzare il verdetto finale e portò avanti l’esecuzione del Leal senza aspettare alcuna decisione politica. Stessa risposta che venne data alla richiesta di George W. Bush nel 2005, che aveva promesso alla corte della giustizia internazionale di far rivedere tutti i casi dei condannati a morte, ai quali sarebbero stati negati i diritti consolari in America. Anche allora, la corte suprema statunitense non prese in considerazione gli obblighi internazionali del paese e non permise nessuna variazione o verifica dei casi in questione. Ovviamente, non può sapere nessuno se l’assistenza consolare avrebbe fatto qualche differenza a favore degli imputati giustiziati e non avremo più modo di saperlo, ma fatto sta che si tratta pur sempre di un obbligo internazionale che deve essere concesso a tutti i soggetti arrestati. Soprattutto perché gli Usa esigono il rispetto totale di tale obbligo internazionale da parte di tutti i paesi firmatari e cercano di far valere al massimo i benefici del suddetto accordo per i propri cittadini in situazioni simili all’estero. Questi sono dei precedenti estremamente spiacevoli per gli Usa che potrebbero portare ripercussioni negative per i propri cittadini all’estero in cerca di assistenza legale/consolare.

Nel frattempo, mentre i parenti messicani di Leal hanno criticato il sistema giudiziario americano e hanno addirittura bruciato la bandierina americana, il ministero degli affari esteri messicano ha appena trasmesso una nota di protesta ufficiale al dipartimento di stato americano dove promette di andare in fondo alla questione e di far valere le proprie ragioni. Considerando il fatto che gli Stati Uniti sono uno degli ultimi paesi occidentali al mondo che ancora oggi applicano la "capital panishment" come pena capitale per determinati reati gravi, sarebbe preferibile che le procedure processuali fossero rispettate alla lettera, onde evitare ogni tipo di strumentalizzazione da parte dell’opinione pubblica mondiale. Suddetta affermazione acquisisce un ulteriore importanza quando si tratta di cittadini stranieri condannati a morte, ai quali potrebbero essere stati negati i diritti importantissimi come l’assistenza del proprio paese di cittadinanza.