La pensione per le donne a 65 anni: per loro un diritto, per l’Italia una necessità

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La pensione per le donne a 65 anni: per loro un diritto, per l’Italia una necessità

16 Dicembre 2008

 

Nella mia rubrica, questa settimana, volevo trattare della crisi mondiale dell’auto e della Fiat e dell’industria italiana dell’indotto automobilistico, polemizzando con Veltroni, che ha preso il tema dal lato sbagliato, ma urge un altro argomento, quello dell’età di andata in pensione delle donne, che è stato reso di attualità politica dal Ministro Renato Brunetta che ha ripreso la proposta di elevamento a 65 dell’età di pensione di vecchiaia delle donne, che io e Salvatore Repecchini, abbiamo elaborato per Magna Carta e lanciato nella pubblica opinione con un nostro piano, ripreso dalla stampa e dagli altri media.

E’ d’obbligo che se ne parli su l’Occidentale. Mi si perdonerà se, simultaneamente, ne tratto anche nella stampa cartacea, non solo per “non perdere la priorità acquisita”, ma soprattutto per creare un fuoco di sbbaramento, il più intenso e vario possibile, contro chi , in modo arrogante, dice che di alzare l’età pensionabile delle donne a 65 anni “non se ne parla nemmeno”.

Coloro che lo affermano non sanno di che cosa sta parlando.  E comunque non hanno  alcun desiderio di migliorare la condizione femminile in Italia , ma  fanno una battaglia sindacale di retroguardia maschilista . .Oppure (ed anche) questo niet ottuso deriva  la solita opposizione  da sinistra pietrificata alla Casa della libertà . Di alzare l’età di pensione delle donne a 65 anni non si può non parlare, dato che la Alta Corte di Giustizia Europea, con una sentenza da poco pubblicata, ha dichiarato illegittima perché discriminatoria la norma italiana che stabilisce a 60 anni la pensione di vecchia per le donne, mentre per gli uomini è a 65 anni. Il caso trattato dalla Suprema Corte Europea riguarda specificamente il pubblico impiego , anche se ha portata più generale.

E ciò spiega perché ne ha parlato il Ministro Renato Brunetta. Per altro, la proposta di elevare l’età pensionabile delle donne in Italia può essere formulata in vari modi . E chi scrive assieme a Salvatore Rebecchini, ha elaborato una proposta, che Magna Carta intende sottoporre a pubblico dibattito, di aumento graduale di questa età di pensionamento di vecchiaia delle donne, ferme restando le attuali finestre di prepensionamento, che  può svolgersi in 5 anni dal 2009  al 2013, con l’innalzamento di un anno di lavoro all’ anno, per le classi di nate dal 1949 al 1953, oppure in un massimo di 8 anni sino al 1917 che  comporta, a regime. un risparmio di spesa di 8-10 mila euro annui. La conservazione delle attuali finestre di prepensionamento, fa si che nel 2009 , se tutte le donne ne fruissero, si avrebbe un mero risparmio di spesa di 227 milioni di euro.

In altre parole, il sistema può andare a regime, in modo soffice. Invece il successivo innalzamento di un anno di pensione comporterebbe già un risparmio di 1,7 miliardi di euro, che salirebbero a 3,5 con quello successivo, per superare poi i 5 mila e salire poi a 6,5 e infine andare sugli 8 mila. Secondo la proposta Forte Rebecchini, si potrebbe intanto accrescere la dotazione di ammortizzatori sociali per il lavoro non strutturato. Va notato che nei contratti a termine di lavoro subordinato le donne sono occupate sono 1,2 milioni e gli uomini 1,1 milioni. Inoltre si dovrebbero aumentare le provvidenze per la maternità, mediante una Cassa speciale gestita dagli Istituti previdenziali, per lo sviluppo degli asili nido e di detrazioni fiscali per le spese di natalità. Inoltre si può gradualmente detrarre l’onere di Irap sul lavoro dall’Ires, con un costo complessivo a regime stimabile in 4,5 miliardi. Infine si può pensare aLa discriminazione rilevata dai giudici i europei a danno del lavoro femminile italiano ha gravi conseguenze strutturali, essendo fra le cause dell’inadeguato impiego del lavoro della donna. In Italia le donne hanno un tasso di occupazione molto più baso degli uomini e molto più basso della media europea. Gli occupati uomini, nel nostro paese,  sono 14 milioni e le donne occupate solo 9,4 milioni. Il tasso di inattività degli uomini compresi fra in 15 e i 64 anni è il 25 per cento, per le donne il 48 per cento, ossia circa la metà non fa parte della popolazione attiva. Assumendo per ogni lavoratrice attualmente occupata che la sua età di pensione si innalzi di cinque anni , potenzialmente si ha un incremento del 14 per cento circa dell’occupazione femminile. Il tasso di inattività delle donne fra 15 e 64 anni potenzialmente, scenderebbe dal 48 per cento al 41,2 per cento. Ma va aggiunto che un forte ostacolo al lavoro femminile è anche dato dal problema della cura dei piccoli, in relazione alla insufficienza di servizi sociali, come gli asili nido, a cui si dovrebbe destinare, a regime, una parte notevole delle risorse risparmiate con l’innalzamento dell’età di pensione delle donne. Il reddito delle donne , con l’innalzamento dell’età di pensione migliora doppiamente: far i 60 e i 65 anni esse hanno un reddito di lavoro maggiorato,anziché una pensione; quando escono dal lavoro, la loro pensione sarà più alta, dato il maggior numero di anni di contributi.

La proposta Forte-Rebecchini ha anche altri vantaggio per le donne. Con la legge attuale che sarà applicata ai pensionati del regime contributivo,quando esso entrerà in vigore, le donne possono scegliere se allungare sino a 65 anni la permanenza nel lavoro, ma i contributi versati fra i 60 e i 65 anni dalle donne,valgono la metà che per gli uomini. Inoltre poiché la scelta di stare al lavoro di più,da parte delle donne,è una loro facoltà, essa è subordinata anche al gradimento dei datori di lavoro. Questa doppia discriminazione viene eliminata con l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni come per gli uomini.

Attualmente  i datori di lavoro, considerando che le donne vanno in pensione a 60 anni, salvo eccezione,sono meno interessati a fornire a loro occasioni di specializzazione e  carriera, come  agli uomini. La proposta di alzare l’età di pensionamento delle donne a 65 anni lede alcuni privilegi maschilisti. Infatti aumenterebbe la percentuale delle donne nelle posizioni dirigenziali e di capo ufficio, in particolare nel pubblico impiego in conseguenza dei loro scatti di grado e avanzamento di carriera e penso che ciò dia fastidio a chi difende le prospettive di carriera degli uomini. Tramonterebbe finalmente la erronea percezione di un invecchiamento delle donne, maggiore degli uomini, che è la sola ragione per cui per le donne c’è la pensione a 60 anni e per gli uomini a 65. Le donne non sono il “sesso debole”: non solo non hanno un invecchiamento anticipato rispetto agli uomini, ma al contrario sono più resistenti degli uomini alle insidie della vecchia . Infatti, in Italia, a 60 anni una donna ha un speranza di vita media di 5 anni di più d’un uomo. Può vivere in media altri 25 anni,contro i 20 d’un uomo. Nella società. la quota di donne sopra i 60 e molto maggiore di quella degli uomini, mentre nei posti di lavoro è zero, sicché gli uomini possono avere più spazio per comandare sulle donne.

E’ forse giusto questo regime, che deriva dalla diversa età di pensionamento delle donne rispetto agli uomini?