La Polonia di Kaczynski all’attacco dell’Europa di Sarkozy
02 Luglio 2008
Dopo
Innanzitutto Sarkozy ha subito tratteggiato le linee dei suoi prossimi mesi di presidenza dell’Ue. I grandi cantieri preparati con attenzione dall’imponente macchina diplomatica transalpina, guidata dal Ministro di Stato con delega agli Affari europei Jean-Pierre Jouyet, sono noti oramai da tempo. Salvaguardia ambientale e riduzione delle emissioni di gas serra, ripartenza del progetto di difesa europea, riforma della Politica agricola comune, patto per l’immigrazione ed Europa per il Mediterraneo. Nonostante la battuta d’arresto irlandese, a Parigi sono convinti dell’estrema necessità che il semestre sia caratterizzato dal volontarismo e non si tramuti in un’altra sterile «pausa di riflessione». Ma nell’intervista concessa a France 3 (non a caso rete pubblica che si occupa di questioni locali, dunque potenzialmente più vicina alle esigenze della maggior parte dei cittadini) nella serata di avvio del semestre Sarkozy ha scelto di giocare la carta della «vicinanza» e della protezione. Il «no» irlandese è solo uno dei segnali, certamente quello più eclatante, del fatto che oggi l’Europa «rende inquieti i propri popoli», non fornisce l’impressione di essere per loro un valore aggiunto. L’obiettivo diventa allora quello di costruire un’Europa come «mezzo per proteggere i cittadini nella loro vita quotidiana», dato che è l’ideale stesso dell’europeismo ad essere in serio pericolo se i suoi cittadini vengono lasciati in balia degli squilibri economico-finanziari della turbolenta fase di globalizzazione.
Torna dunque in campo l’«Europa delle protezioni» così cara a Sarkozy sin dalla sua campagna elettorale, sinonimo di «Europa dei risultati», cioè un’Unione che si conquista ogni giorno la stima e la fiducia degli europei mostrando perlomeno di interessarsi ai rincari su carburanti e generi alimentari e alle difficoltà nell’approvvigionamento energetico.
Nel presentare quest’Unione «efficace» e «performante» Sarkozy non cela i bersagli dei suoi strali polemici.
Accanto a questo avvio volontarista di Sarkozy l’altro evento chiave dei primi due giorni di presidenza transalpina è costituito dalle dichiarazioni del presidente polacco Lech Kaczynski. Dopo aver negoziato numerose sue parti (e aver ottenuto importanti deroghe), dopo averlo firmato per due volte (a Bruxelles nell’ottobre 2007 e a Lisbona nel dicembre successivo), ma soprattutto dopo la ratifica della Dieta polacca, ora Kaczynski ha dichiarato che la sua controfirma al Trattato semplificativo non è più così scontata. Secondo il punto di vista dell’unico dei due gemelli rimasto alla guida del Paese, il primo ministro ha infatti dovuto lasciare il suo incarico al liberale e filoeuropeista Tusk, il «no» irlandese ha cambiato le carte in tavola e il Trattato di Lisbona non è più una priorità. In realtà il Presidente polacco colpisce l’Ue, ma mirando alla politica interna. Il suo obiettivo principale è mettere in difficoltà la maggioranza liberale; vestire nuovamente i panni dell’antieuropeo può contribuire a migliorare la situazione del PiS, oggi partito di opposizione.
La dichiarazione del Presidente polacco si inserisce poi in una tendenza presente nei Paesi di recente ingresso che potrebbe portare a creare un vero e proprio asse dell’euroscetticismo sulla direttrice Varsavia-Praga. Sarkozy e Barroso si sono affannati a gettare acqua sul fuoco e a ricordare che senza Trattato di Lisbona, e dunque restando fermi a Nizza, nessun nuovo allargamento potrà avere luogo. A subirne le conseguenze sarebbero innanzitutto Croazia e Ucraina, sponsorizzate rispettivamente da Praga e Varsavia. Ma il caso polacco, oltre ad essere interessante per dimostrare ancora una volta, se ve ne era necessità, quanto l’allargamento ad Est sia stato gestito in maniera dilettantesca dalle autorità di Bruxelles, mostra quanto le ragioni di politica nazionale finiscono per influire sullo sviluppo della costruzione europea.
Ma allora da questo avvio turbolento di presidenza francese dell’Unione europea sembra giungere un’indicazione di quelle che sono, se confermate nei prossimi anni, ascrivibili alle dinamiche di lungo periodo. Prima i due «no» franco-olandesi, poi il lungo ed elaborato negoziato per giungere al Trattato di Lisbona, ora il «no» irlandese e la vera e propria «frenata» nel processo di ratifica (non a caso anche il Presidente tedesco non ha controfirmato la ratifica, nell’attesa della sentenza della corte di Karlsruhe) sono tutti segnali inequivocabili della fine dell’illusione federale dell’Ue. Prima i leader che contano in Europa se ne renderanno conto e prima l’Ue potrà cercare di svolgere un ruolo di efficiente azione politica globale. L’illusione della fine dello Stato-Nazione e del suo superamento è oggi definitivamente «superata». Con essa dovrebbe anche scomparire il «feticismo istituzionale», l’idolatria verso il rinnovamento dei trattati costi quel che costi. Peraltro un’infatuazione che, come spesso accade per le passioni tardive, sarebbe stata utile a monte del processo di allargamento. Inutile piangere oggi sul latte versato. Se i tempi per l’«integrazione» non sembrano maturi, non altrettanto si può dire per quelli della «costruzione» europea. Su molti singoli dossier più che gli strumenti istituzionali manca la volontà politica comune. Su clima, energia e cooperazione Mediterranea l’Unione può fare grandi cose anche con l’attuale struttura istituzionale. Se arriveranno i primi risultati forse le popolazioni smetteranno di guardare all’Europa con l’odierno scetticismo. Volontarismo e realismo queste le parole chiave per non fare affondare l’Unione europea forse definitivamente. Sarkozy sembra averlo capito. Poter contare su una sponda oltralpe, in questo difficile semestre di presidenza, forse non guasterebbe.