La privacy è un diritto fondamentale, basta con le violazioni

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La privacy è un diritto fondamentale, basta con le violazioni

14 Marzo 2012

Dopo sette anni di attività il Garante della privacy tira le fila e fa un bilancio, con la pubblicazione di un volume che raccoglie l’impegno profuso nel corso del settennato. E coglie l’occasione della presentazione del volume per lanciare un forte monito contro il Governo e la sua azione di lotta all’evasione fiscale, con specifico riferimento alle violazioni della riservatezza causate dalla virulenza dell’indagine e dall’eccesso di “spionaggio”. Ha ragione, senza dubbio. Ricordiamolo e sottolineamolo: la riservatezza è un diritto fondamentale, che non tollera nessuna limitazione; anche quando vi è da condurre una battaglia sacrosanta come quella contro l’evasione fiscale.

Sostiene il Garante: «Siamo in presenza di strappi forti allo Stato di diritto e al concetto di cittadino che ne è alla radice». Ha ragione, senza dubbio.

Stupisce però che questo forte e condivisibile monito arrivi soltanto alla fine di un percorso di sette lunghi anni di attività a tutela della riservatezza nel nostro Paese. Nel frattempo, però, la riservatezza è stata più volte violentata a danno del cittadino; e mi riferisco alla pubblicazione sulla stampa e on line delle intercettazioni, spesso contenenti dati che la legge chiama “sensibili”, ovvero intimi, e pertanto suscettibili di una tutela assoluta. Come non ricordare quelle lenzuolate giornalistiche volte a solleticare la morbosità dei lettori in cui si resocontavano le notti hard di uomini e donne, senza che avessero nessuna rilevanza penale? Oppure le conversazioni telefoniche in cui emergevano dati religiosi, politici e sanitari: tutti dati, sensibili per l’appunto, che devono godere di riservatezza assoluta?

Bene ha fatto, allora, il Presidente del Senato a richiamare la necessità di approvare una legge sulle intercettazioni, non certo per limitarne l’uso ai fini delle indagini penali ma per impedirne l’abuso nella diffusione al pubblico.

Ci sarebbe piaciuto che proprio in quelle circostanze di incredibile abuso della diffusione “urbi et orbi” delle private conversazioni telefoniche tra liberi cittadini, si fosse alzata forte l’autorevole voce del garante della privacy. Il compito dell’Autorità è prevalentemente di sorveglianza rispetto alle violazioni della riservatezza, che oggi possono accadere in vari ambienti: da facebook ai siti internet, dai giornali alle banche dati pubbliche e private. Il compito dell’Autorità è quello di salvaguardare un diritto fondante la democrazia costituzionale, a tutela della libertà dell’individuo caposaldo di una società liberale. Quel diritto che nel lontano 1890, dalle colonne della prestigiosa Harvard Law Review, Samuel Warren e Louis Brandeis teorizzavano: The right to be let alone. Che nella versione contemporanea vuol dire non solo e non tanto il diritto a essere lasciato solo ma anche il diritto alla libertà informatica: cioè all’uso personale dei propri dati e alla tutela degli stessi contro le intrusioni di terzi. E’ un diritto che si espande in quello a tutela della dignità umana.

Leggete come chiudevano l’articolo Warren e Brandeis: «Il diritto  ha sempre riconosciuto che la casa di un uomo è il suo castello, spesso inaccessibile anche a coloro che sono incaricati di eseguire i suoi stessi ordini. Vorranno forse i tribunali sbarrare l’ingresso principale alle autorità costituite per poi spalancare le porte di servizio alla curiosità oziosa e pruriginosa?».

Un periodare che andrebbe ripreso pari-pari anche nella relazione introduttiva al disegno di legge, sollecitato dal Presidente del Senato, in materia di limitazione delle intercettazioni al fine di tutelare il diritto alla riservatezza. Un provvedimento normativo, vale la pena ricordarlo, che era stato già fatto proprio dall’esecutivo Berlusconi nel liminare della XIV legislatura, a ridosso della conclusione del mandato di governo, e che andrebbe ripreso e sostenuto con forza e convinzione. Un provvedimento, vale la pena ricordarlo, che non è affatto orientato a limitare le indagini della magistratura: vuoi perché deve consentire di utilizzare il metodo delle intercettazioni nei casi di reati gravi, quali terrorismo e criminalità organizzata, vuoi perché la magistratura non ha, come ovvio, soltanto il sistema delle intercettazioni per svolgere le indagini sui crimini. Ci sono i metodi tradizionali, che mantengono la loro capacità investigativa.

Non c’è conflitto fra intercettazioni e riservatezza. Perché nel bilanciamento dei diritti, prevale sempre e comunque il diritto fondamentale del cittadino, anche di fronte al diritto allo svolgimento dell’indagine penale. Questo non è garantismo, ma piuttosto costituzionalismo.

Insomma: la privacy o è un diritto fondamentale oppure no. Ma siccome lo è, e vogliamo tutti che lo sia sempre più, allora occorre impedire che venga violato. La legge frena gli arbitrii, limita gli abusi, circoscrive l’accorto uso (e il Garante per la privacy deve essere più tempestivo e rigoroso). Vivere in uno Stato costituzionale vuol dire godere pienamente dei diritti di libertà, senza se e senza ma. Come è dimostrato nei Paesi di democrazia liberale; come ci hanno insegnato i giuristi americani già due secoli fa.