La Puglia tra eccellenza e medioevo
14 Luglio 2016
Pubblichiamo l’intervento del senatore Gaetano Quagliariello durante la discussione in parlamento avvenuta ieri dopo la informativa del Goveno sul disastro ferroviario in Puglia dei giorni scorsi.
Signor Presidente, signor Ministro, del suo intervento io ho apprezzato il riconoscimento che tutti dobbiamo a quanti, dalla parte dello Stato o con un’attività volontaria, ieri hanno dato una prova di dedizione e di collaborazione che fa onore non solo a loro, ma a tutto il Paese. Inoltre, nella chiusura della sua relazione, ho apprezzato anche la volontà del Governo di non scaricare la responsabilità per vie amministrative. Sinceramente credo che questa volontà imponga anche di fare qualcosa di più che aspettare l’inchiesta della magistratura, cercando di accertare come sono andate le cose e se ci sono responsabilità. Credo che questo sia un compito della politica e non solo della magistratura quando avvengono fatti come quelli accaduti ieri.
Con la stessa chiarezza le dico che invece alcuni punti del suo intervento non mi hanno convinto. Non mi convince il fatto che, poiché da sessant’anni il sistema dell’avvertimento attraverso telefono ha funzionato, questo non sia un elemento critico da segnalare come un inaccettabile ritardo.
Vede, signor Ministro, nella mia Regione, a pochi chilometri dal luogo dove è avvenuto quel disastro, c’è una impresa, la MERMEC (che credo il Presidente del Consiglio conosca bene e abbia anche visitato), che è la più importante al mondo nell’ambito della sicurezza ferroviaria. Quando la si visita si rimane sbalorditi e ci si chiede come sia possibile che da un piccolo centro del Sud d’Italia si possa controllare lo stato della metropolitana di Parigi o di Tokio. Questa è l’immagine di un Sud che vanta simili eccellenze e d’altra parte ha ritardi che in sessant’anni non si sono riusciti a colmare. Tutto ciò non ci può far stare tranquilli, né possiamo semplicemente limitarci a registrare il fatto che per sessant’anni sia andata bene. Questi sono ritardi dei quali dovremmo farci carico, dei quali il Governo dovrebbe farsi carico.
Allo stesso modo lei ha assolutamente ragione nel dire che il binario unico non implica di per sé insicurezza, però implica mancanza di sviluppo e di investimenti e a me non ha mai convinto la tesi per cui questi investimenti siano legati unicamente all’utenza. Questo, infatti, è un gatto che si morde la coda: probabilmente nel Sud c’è meno utenza perché ci sono meno infrastrutture, perché i treni funzionano peggio, perché c’è molto più binario unico che altrove, anche in alcune tratte dove ciò non è storicamente giustificabile.
A questo proposito io credo che noi avremmo il dovere di porre all’ordine del giorno due questioni e prendo il suo intervento solo come l’anticipazione di comunicazioni molto più corpose. Si tratta di due questioni che emergono in tutta la loro portata strategica ed epocale da quello che lei ha detto.
Da una parte c’è il tema del rapporto tra Stato e Regioni, di fronte a una istituzione regionale che è oggi all’interno di un limbo, in una situazione indefinita: non è più l’organo irresponsabile, anche dal punto di vista economico, delle origini (della legge n. 281 del 1970), ma non ha trovato ancora una sua definizione di autonomia e dunque di responsabilità. E questo dato viene tragicamente alla luce da quanto lei ci ha riferito e dal tentativo di trovare degli accordi che non sono affatto scontati.
Dall’altra parte, vi è la questione del trasporto ferroviario nel Mezzogiorno. Chiunque prenda un treno da Roma in giù si rende conto che quella è la metafora di una questione più grande, di un divario tra il Nord e il Sud che è tornato a crescere, come ci è stato detto dalla SVIMEZ in maniera “clamorosa” non molto tempo fa. Quella denunzia – ripeto, clamorosa – non ha avuto risposte all’altezza del problema, che è oggi più che mai un problema nazionale. In un momento di difficoltà come quello attuale, infatti, se il divario cresce vuol dire che l’Italia non potrà uscire dalla crisi. Non è pensabile, infatti, che la crescita sia soltanto sulle spalle di quelle parti del Paese che sono più sviluppate. Il nostro Mezzogiorno produce più del 30 per cento del PIL nazionale, non il 3 per cento come la Corsica rispetto alla Francia: non possiamo trattarlo allo stesso modo.
Devo dire che ho visto le conclusioni dei primi tavoli tra il Governo e le Regioni e gli obiettivi che si sono dati; è veramente difficile, anche con la buona volontà, rintracciare una strategia. Negli anni passati vi sono stati grandi dibattiti sulla questione meridionale, sulla necessità di lasciarla allo spontaneismo dei territori e delle Regioni oppure di avere una strategia di tipo centralistico. Quelle opzioni potevano forse essere un po’ ideologiche, ma erano opzioni e linee di sviluppo; oggi non c’è niente. Non si può dire che la nostra politica meridionale sia una cattiva politica, perché in realtà una politica non c’è.
Se quanto avvenuto – al di fuori delle polemiche – ci porterà a porre all’ordine del giorno questo problema come problema nazionale e come problema di coesione nazionale, forse quello sarà il modo migliore per onorare le vittime innocenti che ieri hanno perso la vita anche per un’arretratezza lontana. Quel popolo delle formiche, che è stato schiacciato da qualcosa di più grande, potrà tornare ad essere un popolo fiero, laborioso e pacificato perché ha avuto le risposte che si aspettava di avere.