La ‘putinizzazione’ georgiana rischia di creare imbarazzi con gli Usa
27 Giugno 2012
Come già ampiamente raccontato dalle colonne di questo Giornale, le elevate aspettative dell’Occidente dopo le rivoluzioni pacifiche dell’Ucraina e della Georgia sono terminate in frantumi. Le dinamiche interne di questi due Paesi iniziarono ad assomigliarsi già a partire dal 2003-2004, quando i due nuovi governi giunti al potere dopo le rispettive rivoluzioni pacifiche cominciarono un’agguerrita lotta contro la brutale influenza della Federazione russa, peraltro subita già da molti decenni.
Per guadagnarsi l’appoggio occidentale, entrambi gli Stati post-sovietici tentarono di avviare delle riforme di democratizzazione, per un lento cammino verso la tanto ambita integrazione euro-atlantica. Conosciamo molto bene i recenti avvenimenti ucraini. La mancata democratizzazione è dovuta a molteplici fattori che spaziano dalle questioni di politica interna fino ad arrivare alle interferenze del Cremlino, volte ad avvantaggiare le forze politiche filo-russe (che tra l’altro godono di un notevole supporto nell’Ucraina centro-orientale) ed agevolare in questo modo la loro ascesa al potere.
Le ambizioni di entrambi i Paesi di voler guadagnare l’ingresso accelerato e preferenziale alla Nato sono state definitivamente accantonate dopo gli avvenimenti politici internazionali del 2008. Ma, anche senza le pressioni esterne della Russia, le reali possibilità della loro integrazione negli spazi euro-atlantici sono state estremamente esigue poiché la qualità delle istituzioni democratiche di questi Paesi erano difficilmente compatibili con gli standard odierni della Nato.
Per quanto riguarda la Georgia, tali limiti divennero nel tempo ancora più marcati e, nell’ultimo anno, la tipologia di governance locale ha acquisito un carattere estremamente autocratico. La cosiddetta democratizzazione della Georgia si è rivelata solamente un’operazione mediatica appositamente confezionata, ma un reale processo in tal senso non è mai neppure cominciato.
Inoltre, per noi Occidentali è molto facile riconoscere la tipologia delle dinamiche interne della Georgia che, infatti, sono tipiche di un Paese in cui latitano libere istituzioni. Mentre una volta, in Georgia, si pensava che i cambiamenti iniziati da Saakashvili andassero a vantaggio del Paese, oggi, alla vigilia dello scadere del suo ultimo mandato presidenziale (Marzo 2013) appare evidente che l’intero gruppo delle istituzioni statali toccate e ‘modernizzate’ da Saakashvili sono al servizio del governo e del partito, e non dello Stato. È fin troppo palese quanto possa esservi stata una sorta di ‘privatizzazione’ delle istituzioni, tendente ad ottenere un controllo totale della Georgia, a spingere alcuni Paesi dell’Europa occidentale a sottrarre il proprio appoggio politico attivo a Tbilisi.
Dopo aver ascoltato numerosi analisti politici dell’opposizione, si scopre altresì che, in realtà, l’attuale governo è riuscito a dividere il paese tra ‘i buoni’ (simpatizzanti del regime) e ‘i cattivi” nemici dello Stato (ossia tutti coloro i quali la pensano in maniera differente). Alti esponenti del corpo della polizia georgiana paiono un’estensione del partito di Saakashvili e risultano estremamente politicizzati a favore del governo. Lo stesso dicasi per il sistema giudiziario, senza neanche un minimo di autonomia e di libertà nell’operare in modo indipendente dal governo.
Tale meccanismo perverso è diventato chiaramente visibile dopo l’ascesa improvvisa di un nuovo leader politico dell’opposizione, il miliardario franco-georgiano, Benzina Ivanishvili, che è riuscito a ottenere un forte appoggio popolare. La sua creazione di una grande alleanza di forze politiche dell’opposizione per sfidare il partito di governo alle elezioni parlamentari di Ottobre ha agitato l’intero apparato dello Stato e il partito di Saakashvili, scatenando nel contempo una guerra totale contro chiunque fosse considerato una minaccia.
Il partito di Saakashvili, chiaramente, si è ormai abituato al funzionamento del parlamento in regime quasi mono-partitico e non appare più disposto ad accettare che il potere sia realmente ridistribuito con le prossime elezioni. Si cerca di cancellare ogni genere di opposizione politica soprattutto perché la diversa composizione del parlamento nazionale metterebbe a rischio il piano (non) segreto di Saakashvili, teso a tentare di ripetere le medesime mosse politiche di Vladimir Putin e di diventare il primo ministro della Georgia con il suo ruolo potenziato a dismisura.
Le pressioni denunciate dagli attivisti delle altre forze politiche del Paese e dagli stessi politici dell’opposizione, sono talmente numerose e variegate da lasciare perplessi anche i rappresentanti diplomatici stranieri accreditati a Tbilisi, che seguono con estrema attenzione le ultime vicende georgiane. Con la giustizia interamente nelle mani del governo, le forze dell’opposizione stanno combattendo una guerra quasi persa.
A tutto ciò si aggiungono altri mali cronici della Georgia che spaziano dall’assenza di mass media liberi (in realtà esistono un paio di emittenti tv locali ancora parzialmente libere, ma sono tutti sotto la forte pressione dell’apparato dello stato), alla presenza di un forte programma propagandistico pro-governativo (in stile sovietico) in onda su ogni canale tv nazionale controllato dallo Stato o dai politici del partito di Saakashvili. Quindi, la possibilità per i Georgiani di seguire fonti d’informazione alternative appaiono molte limitate.
Di conseguenza, non esiste alcun pluralismo d’informazione e non v’è neanche un minimo equilibrio garantito per l’accesso ai mezzi d’informazione per tutte le altre forze politiche del Paese, che faticano a far sentire le proprie iniziative se non mediante le grandi manifestazioni di piazza.
Con questa politica interna, la Georgia sta rischiando non solo di essere definitivamente abbandonata dall’Europa occidentale, ma anche di trasformarsi velocemente in una dittatura anti-democratica. Tuttavia, per la sua importanza strategica, gli Stati Uniti cercano di mantenere la loro presenza in Georgia e stanno osservando attentamente la situazione interna per poter prendere le decisioni più appropriate sul da farsi. Purtroppo, rimane innegabile un dato: la strada intrapresa dal governo di Saakashvili può imbarazzare, e non poco, Washington.