La questione idrica non risparmia l’Occidente

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La questione idrica non risparmia l’Occidente

La questione idrica non risparmia l’Occidente

26 Aprile 2007

L’oro blu e’ news ormai da parecchi anni. Siccita’,
cambiamenti climatici, competizione per le risorse e disastri ecologici hanno
dato vita a una disciplina autunoma dal nome rivelatore: idropolitica. E la
“geopolitica dell’acqua” si e’ affermata come uno dei settori chiave degli
studi strategici per il XXI secolo.

Tuttavia, l’attenzione degli
studiosi troppo spesso e’ stata catturata da scenari estremi e da luoghi
lontani: future guerre per l’acqua in Medio Oriente, Africa e Asia Centrale;
deserti che avanzano nell’immensa periferia del mondo; approvvigionamento di
cibo a rischio per centinaia di milioni di persone. Tutte minacce di primo
piano per la stabilita’ mondiale, certo. Ma la realta’ e’ che la “questione
idrica” non e’ soltanto l’ennesima piaga che affligge i poveri della Terra. E’
piuttosto un’ipoteca che gia’ grava sul presente dell’Occidente. E’ arrivata
alle porte delle nostre opulente citta’, irrompe senza convenevoli nelle
fertili terre che fanno la ricchezza dell’agricoltura europea, e minaccia di
sconvolgere le abitudini quotidiane di milioni di cittadini, troppo abituati a
credere che l’acqua venga da un posto solo – dal proprio rubinetto.  

Da dove l’acqua venga – o
piuttosto, da dove ha smesso di venire – lo sanno invece particolarmente bene
gli australiani. Lo sanno perche’ vivono nel continente piu’ arido del mondo, e
vi hanno ricostruito a opposte latitudini tutti i piaceri, e i dolori, delle
societa’ occidentali. Da almeno 6 anni l’Australia e’ nella morsa di una
siccita’ che condiziona la vita della nazione giorno per giorno. Perche’ non
basta che i due terzi del continente siano abitati da un deserto rosso,
struggente e inospitale. Il cielo degli antipodi e’ ormai troppo terso anche
sopra con le terre che sono il cuore del settlement
australiano, dove si produce il vino che rivaleggia con gli antichi vigneti
d’Europa, dove crescono il grano e la frutta, dove i cowboy australi allevano
le loro mandrie colossali. E dove sorgono le grandi citta’ – Sydney, Melbourne,
Adelaide, Brisbane.

Sullo sfondo c’e’ un fiume, il
Murray Darling, che non e’ un fiume qualunque: il 40% del cibo che si consuma
in Australia viene dal suo bacino. E’ l’anima dell’agricoltura nazionale, il
“granaio dell’Impero”, per parafrasare una storia da qui assai lontana. Il
fiume, oggi, e’ in agonia rispetto ai tempi in cui la forza propulsiva dello
spirito pionieristico europeo decise di trasformarlo da luogo selvaggio in una
riproduzione dell’Europa agricola. Come una gigantesca pianura padana, per
intenderci.

Ora, pero’, e’ la siccita’. Gli
Stati australiani che condividono il fiume litigano sull’allocazione della poca
acqua che rimane, mentre il governo federale cerca di avocare a se’ i poteri di
gestione delle risorse idriche. Lo fa a suon di dollari, promettendo 10
miliardi in interventi di emergenza. Emergenza che e’ davvero tale: interi
ecosistemi rischiano di sparire, inghiottiti da un sole invincibile; l’economia
rallenta per gli effetti della crisi idrica; i prezzi dei prodotti alimentari
crescono e potrebbero schizzare alle stelle dato che l’Australia e’ molto
vulnerabile sotto il profilo degli approvvigionamenti alimentari (l’anno scorso
in questo periodo, ad esempio, gli australiani non mangiavano piu’ banane. Per
proteggere il fragile ambiente autoctono, il paese ha in vigore una rigida
politica di quarantena, che vieta l’importazione di molti generi alimentari.
Quando nell’aprile 2006 un terribile ciclone devasto