La ragione e la fede insieme sono fattori di libertà, parola di Benedetto

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La ragione e la fede insieme sono fattori di libertà, parola di Benedetto

20 Gennaio 2008

Le vicende dei giorni scorsi
hanno gettato una luce particolare sul testo del discorso che il papa avrebbe
tenuto alla Sapienza e che è astato reso noto dai giornali.

Ne è risultata
maggiormente, data l’aggressività dei toni di chi ha impedito la sua presenza
all’università,  l’umiltà
dell’argomentazione, la sobrietà che nulla toglie alla densità, della proposta.

Rispetto ai toni urlati delle parole e delle scritte, rispetto all’irriverenza
e al disprezzo, le parole del papa – a leggerle “dopo” quanto le ha precedute –
brillano maggiormente per pacatezza e forza. Tutto il discorso del papa sarebbe
stato incentrato sull’invito a “restare in cammino”, a continuare a lottare per
la ragionevolezza, a non tirarsi fuori 
dal “grande dialogo della sapienza storica”, a non “arrendersi davanti
alla questione della verità”.  Nessuna
condanna o imposizione – “non devo cercare di imporre agli altri in modo
autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà” – ma solo un invito
a tutti, agli uomini di ragione e agli uomini di fede, di non “perdere la
sensibilità per la verità”. Proprio quello che, purtroppo, i contestatori
avevano dimostrato di aver perso, rifiutandosi al dialogo e al confronto, ossia
rifiutandosi alla ricerca.

Due domande emergono esplicite
dal testo del discorso del papa. La prima è la seguente: chi deve tenere viva
la passione per la verità? La ragione o la fede?  E’ la ragione ad aiutare la fede a purificare
se stessa e a restare in cammino, oppure il contrario? La tesi di Benedetto XVI
è nota, ed è stata ribadita in questo discorso: di ambedue. Si è trattato e
deve trattarsi di un incontro. Il Cristianesimo, alla sua nascita, ha guardato
più a Socrate che alle altre religioni del mito di cui il medio oriente
pullulava. Socrate, a sua volta, cercava un Dio di  verità, di cui non trovava  traccia nelle religioni del tempo. E’
interessante che Benedetto XVI citi il dialogo platonico “Eutifrone”. Socrate
chiede ad Eutifrone, sacerdote ed esperto di cose sacre, cosa sia il santo e
cosa l’empio.  Eutifrone risponde che
sacro è ciò che piace agli dei. Ma Socrate fa notare che gli dei sono di pareri
diversi e pone la questione delle questioni: “il santo è santo perché piace
agli dei o piace agli dei perché è santo?”. Il vero santo non può essere che
quello che piace agli dei perché è santo. Socrate cerca un Dio di verità, non
un mago, un prestigiatore, una forza oscura ed arbitraria. Un Dio che rispetta
la verità delle cose. Lo stesso è stato per la religione ebraica e poi
cristiana, che hanno messo da parte le religioni dei Baal e di Moloch alla
ricerca di un Dio che è Logos.  Questo
incontro – tra ragione greca e cristianesimo – è fondamentale per entrambe,
perché questo rapporto salvaguarda da reciproci integralismi: della ragione che
si fa assoluta e intollerante, della fede che si fa integralista ed
intransigente. La libertà di entrambe è legata al loro rapporto reciproco:
stanno in piedi insieme o affondano insieme.

L’altra domanda suona invece
così: contro cosa devono lavorare insieme ragione e fede? Per quale obiettivo
concreto? Benedetto XVI è stato chiaro nel Discorso alla Sapienza, forse di più
che non in passate occasioni:  per
evitare che venga considerato solo l’utile, le visioni di parte, i gruppi di
interesse.  Ragione e fede non devono
“permettere che l’uomo sia distolto dalla verità”. Questo ha una finalità
pratica e addirittura politica. L’uomo oggi “può