La rara felicità di un autore ignoto

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La rara felicità di un autore ignoto

30 Novembre 2008

 

E’ l’inizio degli anni Ottanta – ricorda Gianni Celati nella presentazione di una rassegna di pezzi delfiniani (“Autore ignoto presenta”) – quando l’editore Einaudi decide “di ristampare i libri di Antonio Delfini, ma dopo i primi due volumi” è costretto ad “abbandonare” l’impresa: “Delfini non vende. La sua figura di letterato irregolare” al massimo attira “un po’ l’attenzione della stampa” ma niente di più. A quei tempi i “libri in voga erano altri, tutti inclusi negli annuali elenchi di minestroni romanzeschi”.

Da allora, i testi dello scrittore modenese hanno trovato accoglienza, disordinatamente, presso piccole sigle editoriali, “con circolazione molto limitata” e per “un pubblico ridotto”. D’altronde, spiega ancora Celati, “è giusto dire subito che Delfini non è un autore che si possa diffondere largamente attraverso campagne pubblicitarie, attraverso le spiegazioni o la buona volontà dei critici. Delfini si legge perché si resta contagiati dalla sua freschezza”. Il narratore e critico che ora cerca di rilanciarlo dice che per avvicinarsi a Delfini, come ad altri irregolari del Novecento come Carlo Emilio Gadda piuttosto e Federigo Tozzi, serve qualcosa di differente dalla solita reclame o da un buon servizio della critica. Occorre un sesto senso che chiamiamo per convenzione empatia piuttosto che simpatia. Sull’imprendibilità delfiniana, del resto, si è scritto molto. Celati tenta un percorso, magari di stampo differente rispetto a quello tracciato, appunto in occasione della ristampa dei primi Ottanta, dal competente e affettuoso Cesare Garbali. Tanto per cominciare bisogna dire della singolare biografia dello scrittore. “Autodidatta”, lettore onnivoro quanto disordinato. Osservatore caustico di riti della società colta, ma soprattutto ex ricchissimo finito in bolletta. Delfini, classe 1908, spesso passa per naif, in realtà “ha lasciato alcuni racconti”, peraltro presenti in “Autore ignoto presenta”, “tra i più belli, più innovativi e freschi di tutta la letteratura contemporanea”. Si tratta di pezzi “d’una rara felicità narrativa, con una lingua altrettanto rara: non la lingua del ‘si scrive così’, ma quella del nostro orecchio interno…”.

I testi in questione sono poco noti fuori dalla ristretta cerchia dei fan. Hanno titoli elementari e semplici: “La modista”, “Il fidanzato”, “Il ricordo della Basca”. E ancora “Il Ricordo del Ricordo”, che è una specie di introduzione alla ristampa nel 1956 della “Basca”, ma che in realtà è una composizione bellissima ( e forse la più perfetta dell’autore) e del tutto autosufficiente.

Delfini è scrittore di grazia e di misura. Dotato di una naturalezza che continua a sorprendere. Ha contratto però il neo, per pubblico e addetti ai lavori, di non aver mai sfornato un vero romanzo. I suoi raccontini, però, hanno  appunto quella “rara felicità” espressiva di cui si diceva. Non appartengono “a nessun genere ben definito” e perciò spiazzano assai. Sono dei fuori quadro nella stessa misura dello scrivente. Un letterato atipico la cui musa per eccellenza, osserva il solito Celati, è l’angoscia, “più ancora della noia e dell’eros”. In poche parola uno smarrito doc. Un tipo che, appena ventenne, precisamente, nell’aureo anno di grazia millenovecentoventinove, così poteva in proposito, in una pagina del diario, essere franco, quanto ingenuo e lampante: “Che poi, se vogliamo, l’angoscia è la esplicazione dell’umanità: L’angoscia non è che il raggrupparsi dei momenti stupidi, profondi, passionali, ecc., che si scorrono giorno per giorno nella vita”.

Antonio Delfini, “Autore ignoto presenta”, Einaudi, pagine 370, euro 24