La responsabilità del dragaggio non è politica

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La responsabilità del dragaggio non è politica

12 Maggio 2011

La responsabilità? Ma è della Regione. Anzi no, serve un Commissario ad hoc. Anche se un po’ potrebbe farsene carico lo Stato. O forse è meglio il presidente della Provincia? Ma no, c’è il sindaco.

Una patata bollente. Che non si può tenere troppo tra le mani, altrimenti ci si scotta. E quindi conviene passarla a chi sta affianco. Che a sua volta dovrà presto liberarsene. Ma poco importa. Sarà un suo problema.

E così si è andati avanti fino a che la questione del dragaggio del Porto di Pescara non è esplosa in tutta la sua gravità.

Tanto che adesso il Pd si arroga anche il diritto di salire in cattedra invitando le istituzioni, ovviamente di Centrodestra, a chiedere scusa ai cittadini.

Che la situazione sia giunta al limite lo sappiamo bene, non c’era bisogno che qualcuno lo ricordasse. E infatti da sempre l’impegno di tutti, dal presidente dellla Regione, a quello della Provincia, per arrivare al sindaco di Pescara, è stato massimo.

E se non si è riusciti a sbloccare prima la situazione il motivo è semplice. Si è fatto quel che si è potuto – sensibilizzando il governo nazionale, trovando i fondi, fino ad incatenarsi con i pescatori – nei limiti delle proprie responsabilità e possibilità. Di più davvero non si poteva.

E il motivo è semplice. Nessuno, a qualunque livello, poteva, pur volendolo, poichè non aveva la competenza. Che, in realtà, non ha neppure il Commissario straordinario.  Figura, quest’ultima, unica nel suo genere per un porto, creata appositamente per gestire un’attività, quella del dragaggio, che rappresenta un momento ineludibile della vita dei porti periodicamente affrontato, seppur con tutte le difficoltà del caso, dalle Autorità portuali ovvero, laddove non istituite, dalle Autorità marittime.

A rileggere bene codici e leggi, infatti, in un porto come quello di Pescara, che ha rilevanza nazionale, ma dove non ha sede un’Autorità portuale, tutti i compiti affidati a quest’ultima devono essere svolti dall’Autorità marittima. Con un solo limite: non gestendo direttamente il profilo economico, la manutenzione delle strutture e l’affidamento dei lavori ricade nei compiti del Provveditorato Opere Marittime, quale articolazione operativa del ministero delle Infrastrutture e Trasporti.

In termini pratici, il dragaggio a Pescara ha già un suo “Commissario”: il Direttore Marittimo, nella sua veste di Comandante del porto. E’ lui il responsabile del procedimento dal punto di vista amministrativo cui compete l’onere di gestire l’escavazione dei fondali che, da attività di normale amministrazione, è divenuta emergenza solamente a causa dell’inerzia di chi avrebbe potuto e dovuto, avendone le cognizioni tecniche, prevedere e provvedere.

Questo stabiliscono le leggi. Tutto il resto è esercizio di stile che provoca confusione e conseguente rabbia per chi sta subendo sulla propria pelle – vedi tutti gli operatori del comparto – le conseguenze della cattiva gestione e manutenzione di un’infrastruttura strategica come il porto.

Questo nulla toglie all’impegno con cui le amministrazioni locali stanno affrontando la questione. I fondali del porto insabbiati sono lo specchio di una negligenza imperdonabile.

Ma quel che più conta è aprire un serio confronto sul futuro della nostra regione. Il porto è solo un tassello di una questione ben più ampia, rappresentato dallo sviluppo infrastrutturale.

Non si può continuare a mettere pezze di qua e di là, quando si apre una falla. Occorre un piano strategico, uno sforzo di programmazione che consenta alla nostra regione di crescere, di progettare e di riprogettarsi. Tenendo conto delle proprie caratteristiche e specificità.

A cominciare dai porti. Qualcuno suggerisce di ripartire dalle categorie. I porti della nostra regione hanno una rilevanza diversa. E’ giusto? Ma soprattutto, è conveniente?

Forse, se la materia portuale risultasse interamente di competenza regionale potrebbe essere meglio gestita, per esempio attraverso un’apposita Autorità portuale regionale in grado di operare una programmazione unitaria ed integrata. Se l’iter di approvazione della riforma della legge n. 84/1994, attualmente al vaglio del Parlamento, dovesse andare a buon fine, le Regioni vedrebbero riconoscersi spazi molto più ampi nel settore.

E non si tratterebbe di un declassamento, ma al contrario, di una valorizzazione.