
La rete di potere di Walter è la sua vera debolezza

28 Febbraio 2008
Da quel che
si è avuto modo di vedere fino ad ora, la ricetta con cui Veltroni ed il suo
variopinto sistema di alleanze pensano di uscire dalla “crescita quasi piatta”
che ormai da lustri attanaglia l’Italia, è quella di una ‘razionalizzazione’
dell’attuale sistema. In tutte le sue componenti. Da quella
politico-istituzionale, a quella economica (tanto imprenditoriale, bancario,
quanto sindacale) e a quella della cultura, istruzione e ricerca.
Il Pd è
troppo coinvolto nella “rete di poteri” che caratterizza l’Italia, e che ne ha
frenato e ne frena lo sviluppo, perché possa pensare a qualcosa di diverso da
un approccio di razionalizzazione tecnica. Ogni innovazione sostanziale
rischierebbe infatti di far saltare quel debole e precario equilibrio sul quale
son stati costruiti il Pd, le sue alleanze elettorali, e la possibilità (remota
ma da non escludere) di future sinergie con la Sinistra arcobaleno; soprattutto
a livello locale.
Tale rete di poteri si è
consolidata in questi ultimi anni, allorché lo Stato centrale ha dovuto
delegare alle regioni e agli enti locali molte competenze, col risultato di
produrre una varietà di normative non sempre favorevoli allo sviluppo, ma
sempre favorevoli alla moltiplicazione di poteri e di cariche. Non a caso,
l’incontrollabilità a livello centrale delle conseguenze delle decisioni
normative, fiscali (sovente vessatorie: si pensi ai tentativi di Soru di
introdurre ‘tasse sul lusso’ in Sardegna, o alla pratica di tanti comuni di
trasformare semafori ed autovelox –talora appaltati a società private– in fonti
di reddito) e di spesa del potere locale, viene annoverata tra le principali
cause di quell’incertezza istituzionale. Uno stato d’animo diffuso che genera
sfiducia nella politica e nelle istituzioni, ne aumenta il costo di
funzionamento e che quindi, sempre più spesso e velocemente, si trasforma in
incertezza sociale e quindi, ancora una volta, in freno allo sviluppo.
Ne è venuto
fuori un articolato sistema di reti di poteri, spesso legato ad interessi
contingenti e tangibili, che nella pratica sarebbe in grado di ridurre
notevolmente, e di neutralizzare, ogni ipotesi innovativa proveniente dal
potere governativo e legislativo statale. Al tradizionale conservatorismo delle
varie associazioni di categoria, la sinistra, tramite soprattutto il suo
controllo di molte delle amministrazioni e delle istituzioni locali, è riuscita
così ad affiancare una vasta costellazione di poteri locali legati (soprattutto
per via di una privatizzazione non ‘liberalizzante’ di servizi pubblici e di
reti) ad interessi contingenti, a rendite di posizione e, come tali, avversi ad
ogni cambiamento. Ciò che è testimoniato dai ricorsi al Tar, al Consiglio di
Stato e alla Corte Costituzionale che tali ‘poteri’ fanno ogni qualvolta il
‘potere centrale’ tenta di metterne in discussione o più modestamente di
riformarne i privilegi acquisiti all’epoca delle privatizzazioni non
liberalizzanti.
Non essendo
riuscito a fare a meno di Di Pietro e dei Radicali, è impensabile che Veltroni
ed il suo Pd possano in futuro fare a meno del sostegno di quella ‘rete di
poteri’. Ciò che è da chiedersi è quale sia la sua responsabilità nello ‘sviluppo’ quasi piatto dell’Italia;
ovvero se quello che per molte persone ad esso legati è indubbiamente un
fattore di stabilità e di reddito possa essere anche, o diventare, un fattore
di sviluppo per l’intera società italiana.
Ma la
‘debole razionalizzazione’ veltroniana non è soltanto l’esito dell’avere le
mani legate nei confronti di quella paralizzante rete di poteri, ma anche di
una cultura politica che da tempo ha interrotto il ciclo creativo ed
innovativo.
Non più in grado di produrre idee
nuove, eliminate le scorte e le scorie di magazzino (per lo meno quelle non
palesemente ‘sovietiche’), Veltroni, con indubbio garbo, inizia così la
campagna elettorale, riciclando, ammantate di un po’ di vernice di ‘sinistra’,
idee e progetti che, quando non sono sbagliate, non sono neanche originali.
Il punto è rappresentato dalla
domanda se la rassicurante prospettiva di una razionalizzazione sia una
soluzione ai problemi o un soporifero placebo. Se sia possibile una via diversa
da quella dell’introduzione nel sistema di innovazioni che hanno generato
soltanto rendite parassitarie e che quindi ne hanno favorito il declino
competitivo.
Il tentativo veltroniano di
coinvolgere imprenditori, responsabili di enti locali, ricercatori ed operatori
sociali, sindacalisti e quant’altro, in un progetto comune mostra il proprio
limite proprio quando esso raccoglie molte adesioni. Che tutte quelle categorie
siano sinceramente interessate ad un progetto politico comune diverso da quello
del mantenimento dei privilegi delle proprie corporazioni, è, se non
impensabile, difficilmente credibile. I privilegi delle mille corporazioni che
stringono l’Italia d’oggi sono infatti il più forte ostacolo al suo sviluppo.
Ed è difficile trovare qualche esperto di questioni legate allo sviluppo (per
dirla in termini assai generici) pronto a dire che l’Italia potrà averne uno
anche mantenendo, o razionalizzando, gli attuali assetti di potere corporativi.
Per di più, dopo l’esperienza Prodi, non si potrà più fare ricorso neanche a
quella bella favola che per decenni aveva illuso la sinistra, chi la votava, e
che in qualche modo e misura era anche accreditata tra chi non votava per la
sinistra: vale a dire che essa avesse un personale politico tecnicamente capace
ed agguerrito.
La ‘debole razionalizzazione’ è
quindi l’espressione di una cultura politica altrettanto ‘debole’, riguardo
alla quale ci si può chiedere se sia una soluzione realistica al problema
italiano.
Certamente è vero che in una società divisa tra chi
vuole mantenere le proprie posizioni di potere, chi se ne sente schiacciato e
chi è consapevole del fatto che per uscire dal vicolo cieco e crescere è necessario
squarciare quella rete di poteri, proporre programmi rivoluzionari, anche se
‘liberalmente rivoluzionari’, è un azzardo dal punto di vista elettorale. Le
situazioni complesse, ed il modo in cui quella rete si è realizzata ed in cui
opera, non sono sempre facili da spiegare e da comprendere. Ma è anche vero, se
non obbligato, che a situazioni complesse bisogna contrapporre soluzioni
semplici.
Dunque se il proposito ed il
destino del veltronismo è di razionalizzare la complessità, ci