La retorica dell’Intervento e quella tragedia dietro l’angolo
05 Novembre 2013
Come da tradizione di Casa Savoia, anche stavolta re Vittorio non smentì la secentesca frase di Luigi XIV “i Savoia non finiscono mai una guerra sotto la stessa bandiera con cui l’hanno iniziata”. Le numerose e segretissime trattative che il governo italiano da quasi un anno intratteneva con tutte le cancellerie d’Europa stavano per volgere al termine: infatti, Salandra e Sonnino (col re), pur senza particolari entusiasmi, erano ormai convinti che non ci fosse più spazio per il non intervento italiano.
La situazione politica e sociale era molto eterogenea e con stranissimi equilibri e, se pur in minoranza in termini assoluti, gli interventisti, padroni delle piazze e di numerosi organi d’informazione, apparivano all’opinione pubblica come una forza vastissima. In effetti, sia il blocco socialista che quello cattolico, per motivi diversi, erano contrari all’intervento. Oltre le forze popolari poi, vi era la netta contrarietà di Giolitti, che era ancora l’azionista di maggioranza del governo e che poteva contare, almeno sulla carta, di un vasto appoggio parlamentare.
Fu in questo clima che Salandra e Sonnino siglarono il famigerato “patto di Londra” col quale, entro la fine di maggio (del ’15) s’impegnavano ad entrare in guerra contro gli alleati della Triplice a fronte di alcune promesse di allargamento territoriale in caso di vittoria. La notizia rimase per numerosi giorni nota solo al re, a Salandra e a Sonnino che avevano ora il compito non agevole di trovare una maggioranza alla Camera per la dichiarazione di guerra. L’impresa si rivelò ancor più ardua perché Giolitti, d’accordo con l’Austria che cominciava a sospettare dell’atteggiamento italiano, si era fatto mediatore fino a ottenere dalla stessa la promessa di un bottino di guerra molto simile a quello che l’Intesa aveva garantito e al solo patto che l’Italia fosse rimasta neutrale. Ma ormai i giochi erano fatti e Giolitti, all’oscuro di tutto, non poteva saperlo.
Nel frattempo, Salandra, fallito il tentativo di trovare il consenso attorno al suo disegno, rassegnò le dimissioni lasciando il Paese, già diviso in questa guerra psicologica, nel caos totale. Giolitti, che dopo l’impresa di Libia, ben sapeva dell’impreparazione militare italiana, cercò in tutti i modi di far fare al retromarcia al re il quale, tuttavia, arrivò a minacciare l’abdicazione in caso di sconfessione del patto di Londra che aveva personalmente avallato. Fu proprio il re che, preso atto dell’impossibilità di formare un nuovo governo su una maggioranza neutralista, richiamò Salandra il quale stavolta ebbe gioco facile nel trovare un consenso parlamentare che si accodò a quello già ampio nelle piazze che chiedavano l’intervento.
D’Annunzio, che odiava Giolitti (il “boia labbrone”) vide in Salandra l’unico capace di regalare agli “arditi” l’intervento e, alla notizia del reincarico, le piazze scoppiarono in festa. Il 20 maggio la Camera, con un sotterfugio bizantino, concesse i “pieni poteri” al Governo che, nel giro di 4 giorni, esso usò per dichiarare guerra all’Austria-Ungheria. Si badi bene, alla sola Austria: l’Italia, nel giro di un mese, era passata dall’essere alleata con Austria e Germania per poi esserlo con Francia, Inghilterra e Russia. Per ben otto giorni l’Italia (dal 26 aprile al 4 maggio), cioè dalla firma del patto di Londra fino all’uscita dalla Triplice alleanza, risultò ufficialmente alleata di 5 nazioni che, fuori dai nostri confini, si stavano scannando. Non esattamente una bella pagina. La dichiarazione di guerra del 24 maggio era rivolta alla sola Austria: all’Impero germanico e al suo potente esercito, per ora, non venne dichiarata guerra.
Salutata dal giubilo popolare e dai fasti della retorica l’entrata in guerra sembrò in un colpo solo riunire tutti gli italiani: confidando in un breve esito, l’Italia pensava di sedersi a breve al tavolo della pace da grande potenza, un ruolo che da cinquant’anni rivendicava inutilmente. Ben presto, la politica e la popolazione si sarebbero accorte del grave errore di valutazione. La tragedia era dietro l’angolo ma nessuno ne sospettava, ancora, la terribile vicinanza. (Fine della quinta puntata. Continua…)